Apologia di Dark Souls 2

Mancano ormai pochi giorni all’uscita di Elden Ring, e per molti l’impaziente attesa ha significato un preparatorio ritorno ai titoli di From Software che l’hanno preceduto. C’è chi è tornato su Sekiro, e chi ha voluto torna a salutare Andre di Astora. Io invece ho deciso di mettere in download Dark Souls 2.

dark souls 2

Ma perché proprio Dark Souls 2, si starà probabilmente chiedendo qualcuno di voi? Perché proprio il capitolo nato più dall’interesse di Bandai Namco per il successo del suo predecessore che non da progetti narrativi di ampia portata, e che infatti non vide nemmeno la partecipazione di Hidetaka Miyazaki, padre fondatore della serie? Serpeggia forse la follia nella redazione di TGM?

SEEK SOULS, SEEK LARGER, MORE POWERFUL SOULS

Forse qualcuno potrebbe intravedere nella mia scelta una sorta di acuta strategia, e cioè: giochi il figlio reietto, quello ampiamente considerato il peggiore della trilogia, così intanto fai pratica e ti rinfreschi le meccaniche di gioco, e poi in proporzione l’impatto con Elden Ring ti sembrerà ancora più strabiliante. Premesso che a partire dal 25 febbraio prevedo che Drangleic farà ciao ciao con la manina per lasciare il posto all’Interregno, nulla di tutto questo. In realtà a me Dark Souls 2 – chiaramente nella sua edizione Scholar of the First Sin – piacque fin dalla prima volta che ci giocai, nel lontano autunno del 2016. Visto che però cinque anni abbondanti possono tranquillamente portare a memorie un po’ annebbiate, ho deciso che non sarebbe stata una cattiva idea verificare se questa opinione fosse ancora valida nel 2022.

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C’è chi in questo momento sente l’OST di Majula e chi sta mentendo.

Senza andare troppo per le lunghe, la risposta è sì. Non c’è niente da fare: a dispetto degli anni sulle spalle, dei difetti che possono avere, della maledetta telecamera contro cui bisogna sempre lottare, delle morti che avrebbero bisogno di una traccia per le risate sotto, nei Souls – tutti e tre – c’è qualcosa di magico che i loro emuli sembrano faticare a riproporre. Rivisitare Majula e dintorni non ha ovviamente più avuto lo stesso effetto della prima volta: personalmente, credo che nei soulslike il senso di scoperta e meraviglia che riescono ad infondere nel giocatore sia una delle componenti più importanti, ed è per questo motivo che i miei tentativi di NG+ non sono mai durati più di poche ore, in ogni capitolo della serie. Ma il passaggio di qualche anno aiuta a non rendere così “meccanico” il nuovo viaggio. Certo, sapevo già dove trovare il set di Drangleic, so più o meno la conformazione dei livelli e mi ricordo (non tutti…) i momenti in cui il Persecutor viene a trovarci per controllare se abbiamo i sensi dovutamente all’erta; ma mi sono dimenticato abbastanza da non potermi permettere di affidarmi solo alla mia memoria, e dover spesso procedere ancora una volta a tentoni, intimorito di fronte all’ignoto. E il conteggio delle morti ne è inconfutabile prova.

VITA E MORTE A DRANGLEIC

Al di là del tentativo di poetica rimembranza del paragrafo precedente, Dark Souls 2 non è certo un gioco privo di difetti. Anzi: penso che chi lo ritiene il peggiore dei tre Dark Souls abbia buoni motivi per farlo. Manca l’interconnettività degli ambienti che tanto rende speciale il suo predecessore, quello scoprire che alla fine un po’ tutte le strade portano alla Firelink Shrine, ma non c’è solo quello. Anche Dark Souls 3 è privo di questa caratteristica, ma fa un lavoro migliore nel restituire un mondo coerente e tutto sommato plausibile; nel secondo capitolo, invece, capita che a un’area ne segua un’altra senza un senso di coerenza geografica: finisci l’Earthen Peak, prendi un ascensore e ti trovi in mezzo alla lava dell’Old Iron Keep. Sempre per restare nel tema del mondo del gioco, ci sono alcune aree davvero tremende, come Bright Cove Tseldora o il Black Gulch, quest’ultimo evidentemente pensato da qualcuno che odia l’umanità. E poi ci sono particolari del gameplay un po’ strani, come la scelta di associare una statistica alla finestra d’invulnerabilità garantita dalle rotolate o l’introduzione delle gemme vitali, consumabili curativi di facile reperibilità, indubbiamente molto utili ma che vanno ad alterare l’equilibro legato alla gestione delle fiaschette (e di cui infatti non ho sentito particolarmente la mancanza quando mi sono dedicato a Dark Souls 3).

“Oh, che bello, un boss multiplo, non vedevo l’ora” – letteralmente nessuno nella storia dell’universo

I boss (e la strada per tornare da loro dal falò: già temo quando arriverò allo Smelter Demon…) sono un altro degli aspetti criticati di questo gioco, ed è qua che però secondo me inizia anche il riscatto di Dark Souls 2. Certo, il gioco ha di media tanti, forse troppi boss umanoidi, e come dimenticare il Covetous Demon, probabilmente uno degli avversari più tristi dell’intera serie, la cui arena per qualche misterioso motivo include anche una meccanica che ci permette di distrarlo per rendere più facile (!!) lo scontro? Ma non prendiamoci in giro: i boss mediocri ci sono anche nel primo e nel terzo capitolo. Il Bed of Chaos, i quattro-cinque recolor dell’Asylum Demon, il Centipede Demon, il Curse-Rotted Greatwood, High Lord Wolnir; sfiderei chiunque a dirmi che i duelli contro questi avversari sono testimonianze brillanti di ciò che Miyazaki e i suoi sono in grado di creare.

ANCHE QUESTO CAPITOLO DELLA SAGA NON MANCA DI PUNTI MOLTO ALTI

Ma sono forse questi i momenti che segnano l’esperienza? Secondo me no, secondo me è molto più importante quanto sono alti i punti più alti, e non penso che qui il figlio cadetto di casa From Software abbia molto da invidiare agli altri due: fra Demon of Song, Looking Glass Knight, Ivory King, Sir Alonne, Fume Knight e Sinh the Slumbering Dragon gli scontri carichi di epicità non mancano di sicuro. E poi, boss a parte, ci sono gli NPC che ti invadono. A metà fra interessante modo di aggiungere un po’ di pepe alla situazione e suprema scocciatura nel gioco base, vengono invece utilizzati in maniera semplicemente geniale nel DLC Crown of the Ivory King. Chi sa, sa, e chi non lo sa spero che un giorno lo scopra.

L’IMPORTANZA DI CHIAMARSI DARK SOULS 2

E se c’è qualcosa che non manca anche a questo secondo capitolo è la magia che ha caratterizzato i suoi fratelli più benvoluti. C’è un mondo di gioco grande, ricco di percorsi secondari e misteri, e che sopratutto ti spinge sempre ad andare avanti: arrivi a un focolare e guardi incuriosito alla strada che prosegue pensando, sì dai vado avanti giusto qualche passo per vedere dove porta, e non te ne rendi conto ma sei già perduto. Non è una cosa da dare per scontata: non tutti gli emuli riescono a creare questo misto di timore e curiosità nei confronti delle sfide che ci attendono. Senza scomodare i soliti noti, un recente esempio virtuoso è Ender Lilies: Quietus of the Knights (che verte più verso il metroidvania, ma sempre dalle stesse parti siamo), mentre invece il pur discreto Mortal Shell fatica a tenere il passo dei suoi colleghi più rinomati.

dark souls 2

Lucatiel ha un passato drammatico, e un futuro non tanto migliore. Ma il vero motivo del nostro interesse è il suo set, che è davvero figo!

IL VERO PROBLEMA DI DARK SOULS 2 È IL NUMERO DOPO IL TITOLO DEL GIOCO

Alla resa dei conti, credo che il vero problema di Dark Souls 2 sia il numero che c’è dopo il titolo del gioco. Essere il seguito di uno dei giochi più amati degli ultimi quindici anni, a proposito del quale sono state scritte migliaia e migliaia di parole, la cui storia ha tenuti impegnati content creator di tutto il mondo per così tante ore, e che ha dato il via a un genere a sé (non perché sia stato il primo, chiaro, ma di sicuro il più influente), è un compito davvero ingrato. Sicuramente si poteva fare meglio. Sicuramente alcune scelte fanno alzare il proverbiale sopracciglio. Sicuramente Drangleic, terra maledetta qual è, non riesce sempre a reggere il confronto con Lordran, né tantomeno con Yharnam o Ashina. Ma va bene così. Non esistono solo capolavori capaci di influenzare l’industria videoludica per una decade e oltre. Esistono anche giochi che se la cavano tutto sommato bene, e Dark Souls 2 in questa categoria ci rientra a pieno diritto. Anche perché la Faraam Armor del Bearer of the Curse è la migliore delle tre iconiche, e sappiamo tutti che fashion souls equivale a best souls.

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