Nell’azione meccanica di infilare il disco di Gran Turismo nella prima PlayStation, con quelle vibrazioni elettriche nell’aria, quei “clac” di accompagnamento, quasi rituali, si riverbera l’emozione di sedersi per la prima volta al volante di un’auto nuova. Il profumo del libretto d’istruzione come quello degli interni freschi di fabbrica, il CRT abbagliante come un panorama filtrato da un parabrezza.
Il DualShock sembrava essere nato apposta per assottigliare il confine tra giocatore e simulazione, una concreta alternativa casalinga alle prodezze tecnoludiche firmate (soprattutto) SEGA che trasformavano le sale giochi in musei della scienza e della tecnica. La morbidezza degli analogici per pennellare le traiettorie, la vibrazione a sottolineare ogni sportellata, cordolo, perdita di controllo. The Real Driving Simulator nelle case di chiunque avesse quella scatoletta a 32-bit, un motore economico ed estremamente affidabile che Kazunori Yamauchi, allora trentenne, aveva deciso di mettere a punto, elaborare, portare al limite per lanciare il racing game nella corsa alla piena maturità ludoartistica.
APOLOGIA DELLA SUNDAY CUP
La scelta di “Driving” invece che “Racing” può sembrare semplice semantica ma è la chiave di un manifesto che ha ispirato Polyphony Digital a celebrare ogni automobile come un’icona, dandole spazio, tempo, gameplay, background. Non esistevano più solo i bolidi di Formula 1, la Testarossa Spider, i mostri da rally. Quello che Kaz voleva raccontare erano soprattutto le sfumature, gli stadi che separano l’ingegneria delle utilitarie dalle GT da competizione, dalle auto borghesi a quelle di lusso, dalla trazione anteriore alla posteriore, trasformando i tracciati in percorsi d’apprendimento, partendo dalle patenti per poi dominare i campionati più prestigiosi che l’opera nascondeva. Non era più solo “corsa”, tagliare il traguardo per primi senza troppi pensieri come in Ridge Racer (sempre sia lodato, sia chiaro). Si era impegnati in una progressione “evolutiva” che, partendo dall’iconica Sunday Cup, rendeva tangibile l’unicità di ogni auto.
GRAN TURISMO ERA UN’ESPERIENZA AUTOMOBILISTICA PROFONDA, SENSORIALE, GRADUALE E STRATIFICATA
AUTOSALONE VIRTUALE
GT non era più semplicemente lo specchio virtuale dell’automobilismo, una sua emanazione, una versione “giocattolo”, era diventato parte integrante dell’industria con ulteriori prospettive di espansione e perfezionamento. D’altronde i numeri commerciali, alla porte del nuovo millennio, parlavano chiaro, con due titoli che insieme sfondavano il tetto delle 20 milioni di copie vendute (e chissà quante altre pirata, dato il momento storico). Un risultato straordinario che diede inizio ufficialmente alla golden age del genere racing, costruita attorno ad un game design decisamente più stratificato di quanto fossero la stragrande maggioranza dei corsistici dell’epoca, spesso discendenti diretti della filosofia arcade (quando non veri e propri porting), immediati, estroversi e veloci da consumare. Un gameplay nuovo, che vendeva sensazioni “reali” (accompagnate oltretutto dai primi volanti dedicati), ma soprattutto mostrava un’estetica che, vista attraverso un CRT e paragonata con quello che il videogioco offriva in quel momento storico, era quanto di più fotorealistico si potesse sognare su console.
Polyphony diventò in quel momento un metro di paragone tecnico, i nuovi Gran Turismo attesi con la bava alla bocca tanto dagli appassionati quanto da chi voleva una prova tangibile della qualità hardware di Sony. Avere GT in casa era uno showcase, qualcosa di cui vantarsi con gli amici “nintendari”, “segari” o con cui far cadere la mascella anche agli atei del videogioco in visita di cortesia. Una conseguenza dell’amore con cui i designer giapponesi plasmavano i modelli poligonali come fossero artigiani a Maranello, per poi metterli sempre sotto la luce giusta per esaltarne forme, colori, materiali: inscalfibili pezzi di design. Andate a vedere, così, per curiosità, un qualsiasi gameplay di Gran Turismo 3: A-Spec, 2001. È ancora oggi un titolo di una solidità pazzesca, a cui basterebbe semplicemente essere portato in HD per essere goduto alla grande sui televisori moderni. Non sto dicendo che sarebbe al livello dell’imminente GT7 (ma neanche del successivo quarto episodio), sto dicendo che quando si fanno le cose con una cura così maniacale, anche un prodotto delicatissimo e soggetto ben più di altri medium all’invecchiamento tecnologico, meccanico, ludico come il videogioco, riesce a resistere con un’eleganza straordinaria alla prova del tempo. Fatto ancora più eccezionale visto quanto le simulazioni dipendono dal progresso tecnologico, con i 128-bit di PlayStation 2 che diventarono il setup della svolta in un percorso che portò a quello che, ancora per molti, è il capitolo più glorioso della serie.
Un Gran Turismo 4 al quale si arrivò passando per 3 mini-capitoli concettuali che accompagnarono altrettante fiere automobilistiche dal 2001 al 2002. La collana Gran Turismo Concept era qualcosa di innovativo e capace di fondere perfettamente videogioco e marketing, che andava a cementare il rapporto tra Polyphony e l’industria diventando compendio interattivo delle novità presentate dalle case a Tokyo, Seoul e Ginevra.
LA COLLANA GRAN TURISMO CONCEPT DIMOSTRAVA LA CAPACITÀ DI YAMAUCHI DI RESTARE AL PASSO CON L’INDUSTRIA
GRAN TURISMO 4: PARADIGMA DELL’AUTOMOTIVE CULTURE
In un certo senso il quarto capitolo fu sia un punto di arrivo che di ripartenza, uno step evolutivo capace di mettere un punto fisso nella timeline del genere e contemporaneamente lanciarsi verso un futuro che non avrebbe (quasi) più dovuto fare i conti con i compromessi tecnici. Al di là dei numeri, dei miglioramenti generali e tangibili, dell’aggiunta di modalità inedite come la manageriale B-Spec, GT4 aveva proprio un respiro più ampio e rinfrescante che si rifletteva in nuovi tracciati pazzeschi e indimenticabili, come Città d’Aria, ispirato ad Assisi, o il circuito di Amalfi a picco sul Tirreno. Una meraviglia paesaggistica che affondava le radici in una padronanza dell’hardware sempre più totale e faceva esplodere il piacere di guida, gran turismo nel vero senso della parola, tracciando anche involontariamente una strada che avrebbe poi portato a Test Drive Unlimited e, di conseguenza, a Forza Horizon, titoli legati a doppio filo ai loro panorami.
Ma questa voglia di smarcarsi da scenografie più tradizionali trovava una forma definitiva nella rivoluzionaria modalità fotografica, anticipando e sdoganando una feature che oggi diamo per scontata. Ennesimo atto d’amore di Kaz, tanto verso l’automobile reale quanto quella virtuale, che andava qui ad inserirsi con naturalezza all’interno di vere fotografie (ma era anche possibile scattare foto in-game), con le carrozzerie pronte a riflettere la luce nel modo più plausibile per dare vita ad una vera e propria illusione. E forse, nonostante una mole di contenuti gigantesca, quella era proprio la modalità trainante dell’intera opera, quella che spingeva a collezionare auto per poi esaltarle, glorificarle, salvando centinaia di scatti ancora archiviati nei meandri di polverose memory card. Un modo di fare cultura trasversale e vincente, che parte dalla presentazione (fin dal filmato introduttivo) e passando per le didascalie dedicate ad ogni auto, correndo e sperimentandone le doti meccaniche, per poi dedicarle scatti unici, personali, intimi. Era nato un nuovo modo di vivere i racing game.
IL MOTORSPORT PER TUTTI
Nel frattempo Microsoft aveva inevitabilmente studiato Polyphony, gli aveva preso le misure e nel 2005, proprio l’anno di lancio di GT4 in occidente, Turn 10 presentò al mondo il suo “gemello” americano, Forza Motorsport. Yamauchi, lo sappiamo, è uno che non si pone scadenze e Sony lo lascia lavorare in totale libertà, ma se dal 2007 al 2011 escono tre Forza e un solo Gran Turismo, il sorpasso è dietro l’angolo, complici anche le difficoltà che Polyphony aveva incontrato nei lavori di sviluppi svolti sul controverso CELL di PlayStation 3, che ne rallentarono ulteriormente la produzione. Chiaramente figlio di GT, il bolide Microsoft poteva però vantarsi di un nuovo livello di realismo fisico e cattiveria agonistica, dall’IA rivoluzionaria a una forte componente online, laddove Gran Turismo 5 denunciava un certo immobilismo strutturale (ancora più chiaro con l’arrivo del sesto capitolo nel 2013) in parte addolcito dalla solita stratosferica presentazione tecnica, dalla nuova visuale in soggettiva all’interno dell’abitacolo e dall’attesissima partnership con Ferrari.
Ma quello che parallelamente Polyphony stava sviluppando avrebbe cambiato per sempre il modo di intendere il videogioco competitivo. Nell’attesa del quinto capitolo, in un 2008 che ne aveva concesso un piccolo assaggio tramite il Prologue, l’icona GT Academy fece capolino nella home page del PS Store, rivelando al mondo un progetto incredibilmente ambizioso, pionieristico, nato da una stretta collaborazione tra Nissan e Polyphony Digital. Un tracciato (Eiger Nordwand), un’auto (Nissan 350Z) e migliaia di partecipanti da tutto il mondo intenti a limare millesimi su millesimi nel time attack più significativo che fosse mai stato sviluppato. Perché la posta in palio non era la gloria di una leaderboard o un trofeo in-game, ma la possibilità di essere selezionati per fare il salto nel motorsport, dal salotto alla pista. Quattro step dal virtuale al reale, partendo dalle qualificazioni per poi arrivare al race camp, distruggendo le barriere che rendono da sempre le competizioni automobilistiche uno sport per pochi, elitario, trasformandolo in un sogno alla portata di chiunque abbia in casa una copia di Gran Turismo.
Emblematico il caso di Brian Heitkotter, vincitore dell’edizione 2011 della GT Academy che, dopo aver perso il lavoro durante la recessione ha deciso di provare il tutto per tutto per diventare un pilota professionista, trovando nel progetto una possibilità concreta per dimostrare la propria abilità. Il resto è storia, con una carriera assolutamente dignitosa, condita da vittorie e podi in vari campionati professionistici, per poi reinventarsi, negli ultimi anni, come uno dei pro player di punta di Assetto Corsa Competizione, all’interno del quale la stessa Ferrari ha creato un’accademia, L’FDA Esport Team, per crescere giovani piloti, usando l’esport come una sorta di vivaio, oltre che un’opportunità per raccogliere dati e simulare gare. Yamauchi come comun denominatore di questa straordinaria e vincente evoluzione della simulazione motoristica, capace di infondere in questo mondo tanto la sua esperienza di pilota quanto quella di geniale game designer, anticipando ancora tutti nel 2016, quando GT Sport venne inizialmente accolto da un generale scetticismo.
GT SPORT è UN CAPITOLO ATIPICO, PIÙ ORIENTATO ALLA COMPETIZIONE, AL MOTORSPORT COME PIACE A KAZ
The Real Driving Simulator è tutto questo, un luogo d’incontro, studio, competizione, meditazione e ambizione, un ecosistema emozionale nato per esaltare ogni aspetto dell’automobilismo e sfumarne sempre più i confini, unendo tecnica e passione per portare tutto il medium ad un nuovo livello tecnico e culturale, accogliendo tanto i fanatici che lavano la macchina dopo ogni corsa e quanto i profani che ne godono come videogioco pop, sotto un’unica bandiera a scacchi.