Il soulslike alla fine del soulslike: il futuro del genere dopo Elden Ring

Dallo scorso 25 febbraio il mondo dei videogiochi si chiede ossessivamente come cambierà il concetto di open world dopo Elden Ring. Si discute di dungeon, quest design, narrativa. Quasi come ci fossimo dimenticati che Elden Ring è un soulslike, e il figlio di Demon’s e Dark Souls. Quasi non ci fossimo accorti che è per loro quello che Half Life è stato per Doom.

soulslike elden ring

Soulslike è una buzzword che nasce sulle pagine di qualche sito di settore. Un virtuosismo, né più né meno che un calco linguistico ad effetto per definire un “genere” che all’epoca esisteva solo all’interno della lineup From Software. Non è un unicum, nel Grande Libro della Storia dei Videogiochi. Rogue ha dato il là al filone dei roguelike, e ad un certo punto – in modo quasi jihadista – chi si è discostato di più dall’antico progenitore ha coniato l’etichetta roguelite. Metroid e Castlevania hanno codificato quel sottostrato di platform dalla forte vena esplorativa, una ribellione contro il diktat miyamotiano che voleva il personaggio muoversi esclusivamente da sinistra a destra. Doom per anni ha stabilito il canone per quello che ha avuto poi il coraggio di evolversi in sparatutto in prima persona solo con Half Life.

L’ETICHETTA SOULSLIKE È RESA PARTICOLARE DAL FATTO CHE DEFINISCE UNA SENSAZIONE, PIÙ CHE UN SET BEN CODIFICATO DI MECCANICHE

La differenza tra Soulslike e tutte le altre etichette citate qui sopra è che nasce come termine vago per provare a definire quella che è più che altro una sensazione pad alla mano, senza interrogarsi più di tanto su quali siano le caratteristiche che poi comunicano davvero quella sensazione. Sono gli anni della reductio ad Miyazakium continua, dove Cuphead diventa immediatamente il Dark Souls dei run ‘n gun e basta l’introduzione del parry per parlare dell’influenza di From Software in God of War, e finanche in Dying Light. La definizione attecchisce, prima ancora che sia possibile attribuirle un significato. Il risultato è che esistono scuole di pensiero per cui Nioh è un Soulslike, altre per cui non lo è perché non ha una mappa interconnessa sullo stile di Dark Souls. Per qualcuno Hollow Knight fa parte del “genere”, per altri è semplicemente un metroidvania, e i punti di contatto sono giustificati dal fatto che il design proposto da From Software prende a piene mani dal metroidvania. In tutto questo la scena indie prova ad appropriarsi di ciò che ha reso l’opera di From Software pop riproponendone alcune idee e meccaniche al di fuori del loro corpus originario. E mentre sulle stesse pagine di qualche sito di settore da cui è iniziata questa storia si propone (per fortuna con scarso successo) il termine souls-lite, Elden Ring abbraccia finalmente lo scaffale. E forse possiamo per la prima volta provare a togliere le virgolette attorno alla parola “genere”, quando si parla di souslike.

I GOTTA FEELING

È chiaro che da qualche parte un filo rosso tra le opere debba esserci. Per anni ho ritenuto l’etichetta inutile, ma se si è sentita la necessità di tenerla viva nonostante i suoi confini sfumati un motivo deve esserci. E quindi deve esserci per forza anche un minimo comun denominatore, qualcosa che poi preso il controller in mano porta a decidere se si è davanti ad un soulslike o no. È lo stesso processo che hanno subito anche le altre etichette game-based citate in apertura, perché oggi un metroidvania (lo insegna Control) non è necessariamente un platform e soltanto i più fondamentalisti riconoscono come roguelike i videogiochi in ascii con visuale isometrica e movimento sulla griglia, a immagine e somiglianza di Rogue.

Unshighted riprende tanto da Dark Souls, eppure è più simile a Zelda. Questione di feeling…

Uno degli elementi tipici dell’RPG in salsa From Software è la corpse run, quella meccanica per cui in caso di morte è necessario tornare lì dove è rimasto il proprio cadavere per recuperare risorse. Non è un’idea inventata da Demon’s Souls – diversi MMO facevano sfoggio della meccanica già nei primi anni ‘00 – ma è sicuramente un aspetto caratteristico. Tanto più che è stato ripreso non solo da emuli e successori del gioco, ma anche da titoli che si discostano da questa formula. Unsighted per esempio sfrutta la meccanica, ma rimane comunque più fortemente connotato dalle influenze del genere metroidvania e dagli echi di The Legend of Zelda. È difficile tracciare una linea netta, anche perché lo stesso Dark Souls riprende molto da entrambi gli immaginari, ma nel caso specifico Unsighted riesce a marginalizzare gli echi di Miyazaki perché è molto più importante la sua esplorazione basata sull’unlock di nuove armi e la presenza di dungeon tematici per queste, chiari richiami all’epoca Miyamoto di Link.

IL COMBATTIMENTO È UNA PARTE IMPORTANTE DI COSA DEFINISCE UN SOULSLIKE, MA NON L’UNICA

L’esempio di Unsighted prova due cose. Primo: la corpse run da sola non basta per poter parlare di soulslike. Secondo (e più importante): molto dipende anche da quanto queste meccaniche sono centrali per l’esperienza. Unsighted non ha solo la corpse run, ma riprende anche molto a livello di battle system dal canone di Dark Souls. C’è una barra della stamina che si consuma man mano che si eseguono colpi o quando si scatta/rolla, la possibilità di pararsi ed eseguire i famigerati parry se ci si difende col giusto tempismo. Eppure l’allure da Zelda della prima ora è comunque più forte, pad alla mano, i richiami sono più esplicitamente rivolti all’opera di Nintendo che a quella From Software. Ad ogni modo questo sistema di combattimento va inserito nell’elenco dei requisiti minimi per poter parlare di souslike. È molto difficile immaginare di poter ricondurre qualcosa ai Souls senza questo tipo di impostazione. Non deve esserci necessariamente un combattimento all’arma bianca – Remnant: From the Ashes ha provato per esempio a integrare il combattimento strategico con lo sparatutto in terza persona – ma l’aspetto strategico del battle system è fuori dubbio una componente del DNA del genere.

FRANTUMARE L’ANELLO

C’è invece un elemento che pareva dovesse mancare a tutti i costi all’interno della definizione del genere. Demon’s, Dark, Bloodborne e praticamente tutti i loro emuli sono accomunati da qualcosa che non c’è, ovvero la mappa di gioco. From Software ha abituato i giocatori a navigare a vista, a non fare affidamento su elementi che nella produzione media della scena ormai sono dati per scontati. La sola idea dell’introduzione della mappa era eresia, per i fan della serie, seconda solo all’introduzione di una easy mode come segnale dell’Apocalisse, di un mercato che ormai bussa in modo troppo invitante alla porta e va lasciato entrare. Elden Ring (in un certo senso) ha introdotto entrambe le cose mostrando in modo abbastanza ovvio che no, non sono questi gli elementi su cui From Software ha costruito.

La mappa della discordia.

La mappa è un elemento palese in Elden Ring. Non poteva non esserci, trattandosi di un gioco open world. La differenza rispetto a quanto mostrato da quella che si potrebbe definire la narrativa dominante nell’open world moderno è il come questa viene presentata a video. In prima battuta è necessario sbloccare il frammento di mappa che mostra a schermo una data area trovandolo nel mondo di gioco. Una volta fatto poi il vero game changer è l’assenza di concetti simili ai punti di sincronizzazione a la Assassin’s Creed, col risultato che ogni palmo di terra dell’Interregno va battuto per poterne carpire i segreti. I segnalini sono scarsi, limitati essenzialmente ai punti di grazia e alle sparute indicazioni elargite da qualche NPC. Tutto il resto è affidato al giocatore e agli indicatori personalizzati che può mettere sulla mappa.

DOPO AVER CREATO IL GENERE, FROM SOFTWARE SEMBRA INTENZIONATA A GUIDARNE L’EVOLUZIONE

Prima dell’uscita di Elden Ring una mossa del genere sarebbe stata infrangere un tabù, e inevitabilmente venire rigettati dall’etichetta soulslike. È il primo grosso intervento di rottura dell’ultimo From Software, che non paga di aver codificato un genere adesso sembra avere tutte le intenzioni di guidarne l’evoluzione in mancanza di altri candidati all’altezza. Le patch successive al 25 febbraio hanno addirittura potenziato lo strumento, facendo in modo che – dopo averli incontrati – gli NPC vengano annotati e segnalati in automatico sulla mappa. La caratteristica principale, per bocca degli stessi sviluppatori, sembra essere legata più a come le indicazioni sulla mappa vengono sbloccate che alla necessità di doverle inserire “analogicamente” a video. Una gestione della mappa in stile The Witcher 3, piena di indicatori già da subito (per quanto rappresentati come punti di domanda) è e rimane molto lontana dall’idea di soulslike. Ma il concetto di mappa tout court non è da aborrire, anzi. Come non sembrerebbe da aborrire un livello di difficoltà più inclusivo rispetto a quanto visto in Demon’s e Dark Souls: lontano dall’essere un titolo facile o per tutti Elden Ring viene diverse volte incontro al giocatore, in particolare quando si parla delle zone che formano l’open world. Torrente è un notevole aiuto, un vantaggio tattico contro diversi dei boss dell’overworld e alla bisogna anche un modo semplice per scappare dalle situazioni più complicate. L’esplorazione stessa è incentivata – per esempio la stamina fuori dalle sezioni di battaglia non scende quando si corre – e prova a ricompensare chi sta dall’altra parte dello schermo con armi, amature ed evocazioni. Ecco, le evocazioni sono poi probabilmente l’elemento che ha maggiormente smussato le ruvidità di From Software, aggiungendo un secondo personaggio evocabile quasi a piacere che trasforma l’Interregno in qualcosa che è spesso meno minaccioso di quanto sia in solitaria.

soulslike elden ring

Tunic è un altro di quei giochi che riprende tantissimo da Dark Souls, dai metroidvania e da Zelda, giusto per complicarci le cose.

È difficile immaginare un soulslike “facile”, o come più correttamente bisognerebbe dire dal design meno punitivo. Ma d’altronde per qualcuno era difficile immaginarne anche uno con la mappa, e tutto sommato Elden Ring è un deciso passo verso qualcosa di più nazional popolare, come raccontano gli oltre dodici milioni di copie vendute. Elden Ring per tanti versi è stata una ribellione dai dettami di un canone codificato dai suoi sviluppatori stessi, un lavoro di affrancamento da quello che era l’immaginario dietro l’etichetta prima della sua release che nella mia testa è molto simile a quello portato avanti dal pluri-citato Half Life. Nel 1998 ero troppo piccolo per poter vivere con la consapevolezza del medium che ho oggi l’atto di sovversione di Valve che avrebbe portato via via ad abbandonare la definizione di Doom Clone in luogo di quella di sparatutto in prima persona. È qualcosa che mi è stato tramandato attraverso le testimonianze di chi c’era, una tradizione orale che ha viaggiato attraverso il tempo e lo spazio grazie alla Rete.

Pensando a Elden Ring mi sento così. Spettatore pagante di una nuova pagina di quel Grande Libro della Storia dei Videogiochi di cui parlavo prima. Una pagina probabilmente meno importante di quella occupata dai moti carbonari contro Carmack e Romero, perché è limitata ad un genere più piccolo. Ma d’altra parte Dark Souls è stato così influente da costringerci a creare un genere che non capivamo e che ancora non abbiamo codificato fino a fondo, pur di poterne parlare. Per cui chi dice che non accadrà? Chi può dirmi che le mie fantasie non si avvereranno… almeno questa volta?

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