Quando è profondo lo Spazio? Cosa lega qualcuno a un ricordo? Se fra quegli astri esiste una speranza seppure remota a cancellare degli errori, perché si è pronti a lasciare la propria, intraprendendo l’ignoto a discapito di una strada felice, magari più sicura? Cosa sono la realtà e la finzione in un mondo lontano che non sembra affatto come il nostro, ma che un tempo, invece, aveva una civiltà e la stessa speranza che noi conserviamo tanto gelosamente? Chiunque abbia concluso Returnal, interfacciandosi con la storia di Selene dopo essere sopravvissuto ad Atropo, sa bene di cosa parlo. Ed è al corrente di cosa significhi navigare in una mente contorta, avvolta da un’oscurità senza fine, sorretta dagli istanti perduti nel tempo e nella memoria, lontani per sempre dal sospiro della vita.
Una casa, un figlio, un giocattolo e un incidente, e poco più lontano, ben celato in un soggiorno composto dai rimasugli di una vita spezzata, un pianoforte che attende solo di essere suonato. Le dita di Selene si posano delicatamente sui suoi tasti, e ogni nota emessa è un momento vissuto lontano dagli incubi di Atropo e dalle follie commesse, compreso il genocidio cui ha preso parte. È strano iniziare da metà, specie per uno come me, che le storie spesso le inizia da lontano per arrivare all’obiettivo. Il racconto di Selene Vassos, però, va ben oltre la classica operazione che dettaglia delle situazioni. In una catena di eventi imprevedibili, in un momento che neppure lei comprende, e nell’illusione di una vita raccolta per miracolo, la prima nota che Selene preme è il DO. È dolce e introduce, in tal senso, un cammino.
La musica all’interno di Returnal assume un ruolo fondamentale soprattutto nella seconda e terza parte dell’avventura
SOLO RICORDI FUGACI
C’è solo una strada da intraprendere, anche se non si sa dove condurrà. Quel percorso è occupato da bestie di ogni tipo, pronte ad accogliere Selene con versi alieni brutali e violenti. Selene vede sé stessa, riconosce sé stessa e sa che il tempo, anziché avanzare nel suo regolare ciclo, è invece perpetuo, e lo resterà per sempre. Mentre il DO scandisce l’inizio della sua avventura, Housemarque dà voce al suo game design, e ne spiega l’imprevedibilità, in un coro fatto di sopravvivenza, miseria e ricordi frammentati, sfilacciati l’uno con l’altro, nonché ridotti a un’agonia senza fine. Abbandonarsi a un suono dolce, familiare e romantico, e intanto uccidere, sporcarsi le mani e scendere in un patimento costante è la peggiore delle pene esistenti.
Selene siamo tu, io e chiunque altro: quando una prigione s’instaura, cambiando addirittura i modi con cui si affronta la vita, diviene così a livello personale che ogni arto diventa immobile e il cuore perde della gioia di vivere. Di quella casa resta poco, di quegli affetti e di quel tempo rimangono memorie sbiadite. In un vortice che prosciuga via la vita, esaurendone la linfa, non resta che avanzare. “Forse tornerò a casa”, pensa Selene. Qual è, tuttavia, il concetto di casa all’interno di Returnal? Perché diventa importante? Cosa significa ritornare? O cosa significare restare?
La differenza, però, è che non c’è niente a cui tornare, neanche se quegli affetti sono già via
RETURNAL: UN CORO PERFETTO E BRUTALE CHE SPINGE A SOPRAVVIVERE
In passato, lo ammetto, amai terribilmente Sekiro: Shadows Die Twice di FromSoftware. Mi trovai così tanto a mio agio in quel videogioco che appresi ogni tecnica possibile e immaginabile per interfacciarmi al meglio con le sfide che Lupo avrebbe dovuto affrontare. Con Returnal è accaduto lo stesso, con la sola differenza che ho fatto affidamento al caso, come una sorta di roulette russa che non è mai come prima e muta in base alle situazioni. Mentre il capolavoro di Hidetaka Miyazaki è un classico action in stile Tenchu, quello di Housemarque è un roguelite in cui ogni bioma cambia, come le scale di Hogwarts.
Il game design di Returnal è superlativo, ed è costruito a strati, è diversificato e va dritto all’obiettivo per spingere il giocatore a sopravvivere, portandolo al limite
Armata di una pistola, di zero difese e di tanto coraggio per scendere in un abisso senza fine, Selene intraprende quel viaggio inconsapevole di cosa incontrerà. Quando la sua navicella spaziale si ritrova su Atropo, e si domanda cosa sta accadendo, non immagina affatto che qualcuno – e chissà chi – abbia già percorso quel tipo di strada, in passato. Sapere che è proprio lei, dopo tutto ciò che ha passato, l’ha terrorizzata a tal punto da comprendere l’origine stessa della Pallida Ombra, per poi proseguire e tornare a casa. Ma è mai tornata a casa, oppure è soltanto un’altra tiepida illusione? Intanto che scopre verità sul pianeta e, in generale, sul resto delle creature e dei popoli, entrando in contatto con delle biblioteche all’interno dei vari biomi, impara a sopravvivere, a uccidere e a usare ogni materia che le capita per sopravvivere. Già, sopravvivere.
Rompere il ciclo, ricominciarlo e fallire. Non c’è scampo: Returnal ha un tempo infinito. La pietà qui non esiste
Apprendendo le contromisure per avere la meglio sulle creature e i boss, Selene decide come interfacciarsi con i biomi. Si attacca al corpo dei parassiti, ognuno di esso utile per avanzare, costringendo la protagonista a perdere una parte di sé stessa. Atropo richiede un sacrificio, non importa quale e di che entità. Intanto che esplora, apre scrigni, accetta addirittura che la sua tuta venga compromessa, raccoglie silfio consumato dalla corruzione e flagella il suo corpo con l’unico obiettivo di proseguire. In questo modo, il game design di Returnal si collega alla storia e alle vicende che si affrontano, ed è un tipo di racconto orizzontale che coinvolge in primo luogo il giocatore e poi la stessa protagonista dell’avventura. Lasciarsi andare all’oscurità, infrangere le proprie memorie e decidere cosa fare con quanto accade, è l’unico modo per affrontare al meglio i terrori di Returnal. Forte di una struttura ludica che spinge il giocatore a prendere decisioni complesse, l’opera di Housemarque eleva i roguelite e, al contempo, mostra la maturità necessaria per convogliare un tipo di racconto di sacrificio, umiliazione e di espiazione.
UN TEMPO FERMO A UN CICLO ININTERROTTO IN RETURNAL
I vari tasti del pianoforte sono precisi. Un suono non cambia mai, ma l’insieme di ogni tasto, se premuto con l’intensità necessaria, dà vita a un coro unico nel suo genere, lo stesso che si ode una volta varcata la soglia del secondo atto di Returnal. Il tempo è bloccato, come se non andasse mai avanti e non procedesse nella direzione prestabilita. Quando cerca di farlo, illude, lascia sgomento e travolge con brutalità, mettendo il giocatore a strenuo contatto con una follia totale e straniante, così crudele e nuda che s’infrange sui ricordi stessi di Selene, costretta ad andare avanti senza sapere perché, o per cosa, e con quale obiettivo. Morire significa ripetere, ricominciare e, probabilmente, anche compiere le stesse scelte. L’ho fatto un numero di volte incalcolabile. Sulla Terra, guardando il conta-ore di PlayStation 5, superavo le cinquanta ore di gioco. In Returnal, invece, restavo bloccato a quel momento. Il tempo agisce in modo perpetuo, come se le note del pianoforte, invece che cambiare, emettessero sempre gli stessi suoni, con la medesima intensità. L’opera di Housemarque coinvolge generi su generi, riuscendo a unirli in una sorta di matrioska da svelare man mano, con la consapevolezza che niente sarà come prima. La struttura di gioco, in tal senso, spinge a esplorare, a raccogliere più segreti possibili su Atropo e la contorta mente di Selene.
Qualunque sia il significato di “Casa” all’interno di Returnal, copre assolutamente ben più luoghi di quanto si possa immaginare
Uccidere su Returnal diventa una danza accompagnata da un coro, e il genocidio che si commette, raccontato nei messaggi ritrovati in uno dei tanti corpi di Selene, è la dimostrazione che niente è effettivamente come appare, neppure la pace che dovrebbe condurla a momenti più lieti. L’oscurità raccontata da Housemarque non fa sconti a nessuno: la sua difficoltà, funzionale al racconto e alla struttura ludica, si sorregge su intenzioni precise. Selene, affrontando quel patimento, immersa in una colpa senza fine, costretta a seguire quella crudeltà, viene messa davanti a una realtà che però ne apre tante altre, con illusioni, finzioni e percezione della propria mente. Viene da domandarsi, quasi per senso d’ironia, se Atropo esista davvero o se è frutto di un’allucinazione dovuta dalla depressione. Qualunque sia il reale messaggio, Returnal è quel coro di un pianoforte che coinvolge il tempo, lo spazio, il videogioco e la musica. Quest’ultima dovrebbe dare un minimo di conforto, rilassare la mente, ricongiungere con la propria famiglia e portare, così, a un’elevazione umana. Al contrario, conduce Selene verso un reale abisso, oltre gli oggetti simbolici che ritrova nella sua casa, ad Atropo, e nella sua casa sulla Terra. La sua casa, però, è quell’abisso. Ed è quel ciclo ininterrotto.
UN’OPERA CHE MERITA OCCASIONI E ULTERIORI CICLI
Non credo affatto che esista una nicchia di giochi o di giocatori. Dark Souls e altrettante opere hanno superato quella soglia qualche tempo fa, divenendo per forza di cose, e mi scuserete per il termine, addirittura mainstream. Ciò è avvenuto con Returnal, che al tempo della pubblicazione proponeva una sfida a conti fatti estremamente complessa, specie sulla progressione e i presunti salvataggi. Ecco, è proprio questo il punto: implementando i salvataggi, Housemarque ha cercato di sottolineare l’importanza del ciclo. È tremendo pensare che per noi il ciclo s’interrompa quando lo vogliamo, mentre per Selene è una costante, tanto che non può uscirne.
Si pensa spesso a cosa significhi originalità, creatività e inventiva nel panorama dei videogiochi. Returnal è stato il cavallo giusto su cui puntare, nonché quel tipo di produzione di cui si aveva un gran bisogno, dopo il successo straordinario di Hades e di altre opere analoghe. Al momento, non esiste una produzione così profonda, magnificamente costruita e proposta nel panorama dei videogiochi. Complice una mancata e giusta comunicazione su cosa fosse realmente la produzione nel periodo antecedente al lancio effettivo, Returnal non ha ottenuto il successo meritato. Eppure, eccoci qui: è il videogioco migliore cui attaccare la toppa di “Capolavoro”
Returnal non ha ottenuto il successo meritato. Eppure, eccoci qui: è il videogioco migliore cui attaccare la toppa di “Capolavoro”
NB. Tre immagini – la prima, quella appena sopra e lo shot di apertura – sono tratte da questo articolo e sono opera del fotografo virtuale e nostro redattore Daniele “Alteridan” Dolce, terzo al TheVPAwards, esposto a Londra nel Virtual Photography Showcase 2022.