Nelle ombre di Hellblade, e attraverso il sangue che scende copioso dalla guancia di Senua, ho rivisto in parte cosa significhi cercare di salvare qualcuno dall’oblio anche se ormai è perduto per sempre. L’amore è libero, come lo è dannazione, ma ben prima di divenire reale, è la follia a prendere il sopravvento. “Salta, non saltare. Non sei in grado di farlo. Lascia perdere”. È la mente di Senua a parlare, mentre il resto, e soprattutto l’oscurità che ormai controlla ogni parte del suo animo, la domina, la sferza e la umilia. Quelle voci, quelle maledette voci insistenti, picchiettanti, vere e brutali martellano in continuazione la sua ragione. Quelle parole al veleno non le lasciano fiato, non le lasciano speranza, e non c’è una via di fuga per chi è maledetto, estraniato dal resto del mondo sin da quando era piccolo, considerato minaccioso, pericoloso, un vuoto a perdere meritevole di scomparire e venire schiacciato sotto la suola di uno stivale sporco di fango.
La storia di Senua, protagonista della magnifica opera di Ninja Theory, parte da questo canovaccio narrativo e, in particolare, da una sofferenza causata dalla perdita di un amore immortale, scopre sé stessa attraverso le sale ottenebrate di Hel, uno dei Nove Regni norreni, il più periglioso e brutale, casa di Hela e della sua stirpe. Hellblade: Senua’s Sacrifice non è stata un’opera semplice da analizzare quando venne pubblicata ormai sei anni fa, in parte perché la produzione proponeva un’impostazione che ora tutti considererebbero da walking simulator – ovvero un videogioco dove si cammina, cammina e cammina, proprio come Death Stranding e non si altro che questo – ma ovviamente non è soltanto questo.
Un po’ approfittando del successo della Mitologia Norrena, tenuta in piedi dalla letteratura e da una moltitudine generosa di serie televisive, Ninja Theory decise di creare un videogioco che ricalcasse le sofferenze di una giovane Pitta in lotta con il suo lutto, i suoi malanni, i suoi stessi pensieri e la dea della morte, la più spregevole fra le creature del magnifico Pantheon norreno. Se da una parte Vikings primeggiava e banchettava glorioso, dall’altra The Last Kingdom, programma televisivo britannico ispirato dai libri di Bernard Cornwell, prendeva il sopravvento nell’isola, divenendo una nuova serie cult. Era un periodo in cui veniva pubblicato Mount and Blade: Viking’s Conquest e tutti – me compreso – erano ben contenti di seminare panico e morte nelle coste inglesi. Al contempo, però, il mondo conosceva la storia di Senua, del suo disturbo psicotico, delle voci insistenti che si prendevano gioco di lei e di una missione complessa: reclamare la vita di Dillion, massacrato dai norreni attraverso il rituale dell’Aquila di Sangue. Il percorso di Senua, fra incubo e paura, tra sofferenza e incredulità, ha mostrato uno spaccato onirico e brillante, in grado sia di focalizzare la profondità di un racconto quanto di renderlo originale e unico.
SANGUE CHIAMA SANGUE
Quel giorno scese copioso e non si fermò. Per un momento, qualcuno disse addirittura che sporcò gran parte del fiumiciattolo che scorreva nel villaggio, su cui sono adagiati dei corpi. I norreni erano ovunque, certi di poter erigere i loro idoli anche là dove un tempo l’Impero Romano aveva tentato di insidiarsi e prendere il controllo. È strano pensare che gli uomini giunti dalla Scandinavia, invece, siano riusciti a farlo, arrivando in Pittia ben prima che scendere negli sparpagliati reami d’Inghilterra, in costante lotta. Il contesto di Hellblade: Senua’s Sacrifice, in tal senso, è sospeso fra due epoche: la prima è legata al rigore dell’antichità, mentre la seconda si focalizza unicamente sul percorso che ognuno segue nel suo lungo cammino, in un’età oscura che ancora non conosce alcunché e non sa dove sta andando. È consapevole che, però, quel passato è stato rilevante, tanto importante da essere divenuto decisivo. Senua è nata in un mondo spaccato a metà, incerto e privato della bellezza da cui fuoriesce la paura che le hanno liberato addosso quando era solo una bambina, isolata dal resto della sua tribù.
Solo Dillion cercò di darle amore, mentre tutti – a causa delle voci che udiva – la evitavano. E quel giorno, quando entrambi conobbero quell’amore, non si lasciarono più, abbandonati per sempre ai filamenti di un legame forte e vero, di un sentimento sincero. Poi giunsero le tenebre, e infine tutto cambiò. Il rituale dell’Aquila di Sangue, che condannò per sempre Dillion a una morte lenta e dolorosa, portò Senua a intraprendere il suo viaggio. La pubblicazione di Hellblade: Senua’s Sacrifice non fu certamente semplice per Ninja Theory, tanto che dovette informarsi adeguatamente su cosa mostrare a schermo e trattare la tematica della malattia mentale nel modo più diretto possibile
IL FATO GOVERNA OGNI COSA (The Last Kingdom, Bernard Cornwell)
Senua concentra la sua energia e la sua visione interiore, l’unica capace di vedere oltre e di scoprire la meraviglia che si cela nell’incubo che è pronto per farsi largo nel suo cuore. Sangue chiama sangue. “Non ce la farai; hai perso Dillion. Dillion non lo rivedrai più”: le voci continuano e non cessano. Sono lame affilate che s’infilzano dappertutto, anche nelle carni, sanguinolente e sfilacciate, ancora attaccate alle ossa di chi è morto fra atroci sofferenze in balia della sofferenza. L’aria è densa e irrespirabile; non c’è altro, neanche la consapevolezza di morire bene. Il sangue sul volto di Senua scende copioso, un rivoletto alla volta, piano piano; al contempo, il sudore s’insinua nella ferita e apre a ulteriori possibili orrori. Tamburi, urla e lacrime; silenzi rotti da voci, più voci e altre brutalità, e intanto si scende nell’orrore, in un altro errore. È il buio, un buio asfissiante e totale. Un buio colmo di sangue.
SEI LIBERATO DAI LEGAMI CHE TI LEGANO
Helvegen è una canzone dei Wardruna che racconta di un funerale di un antico re norreno morto a causa di una vendetta colmata nella follia. Senua è sospesa in una sorta di estasi che la conduce in una strada disseminata di mistero, mentre apprende le abilità che possono condurla alle porte di Hel, dove si trova Dillion, in attesa di essere liberato. E intanto che Senua affronta gli orrori dei corvi di Valvarn e la rabbia scatenante di Surtr, il Gigante del Fuoco, le voci sono legami da cui Senua non può sfuggire. Le appartengono, sono sue, dentro di lei e fuori, capaci di incastrarsi nei rimasugli della sua mente vacillante, mentre la sua missione continua, con le lacrime che le rigano il volto assieme al sangue, e i legami che legano ad altro, forse ad altri legami. Chissà. E continuano imperterriti a rafforzarsi quanto le voci che la disturbano, annichilendola e indebolendola
I FIUMI DI SANGUE CHE SENUA ATTRAVERSA VALGONO PER TUTTA UNA VITA
Ninja Theory, oltre ad aver dato spessore alla protagonista, è stata capace di proporre un game design tanto semplice quanto efficace, dedicato interamente a enigmi e soluzioni da trovare. Avrebbe potuto essere un classico un videogioco come tanti altri, con uno stile di combattimento marcato, e invece il videogioco ha preferito seguire la semplicità, arrivando al complesso obiettivo di raccontare una storia e allo stesso tempo di renderla efficace e ben scritta. Le rune che Senua vede e sfiora con la mano, osservandole per aprire dei passaggi nel level design lineare, parlano unicamente della natura che la circonda e dei patemi del suo animo. Alcune di esse, infatti, ricalcano spesso dei passaggi dei testi sacri degli scaldi e dei bardi, presenti ancora oggi nei libri del simbolismo norreno. Dall’antico linguaggio degli uomini del nord, runa deriva da “Run –“, che significa “Segreto” o “Sussurro”. Se si riflette su questo concetto, espresso in maniera particolareggiata dal team, si comprende cosa si celi nel patema stesso della giovane e cosa veda nel corso del suo viaggio in questo infinito senza fine
Dall’antico linguaggio degli uomini del nord, runa deriva da “Run –“, che significa “Segreto” o “Sussurro”
Se Dante raccontava l’Inferno, tempo addietro gli scaldi raccontavano di grandi battaglie e guerre, e Hellblade: Senua’s Sacrifice non è da meno. Cosa vede Senua, quindi, sono le parole contenute all’interno di antichi testi sacri che appartengono all’immensa biblioteca naturale del mondo norreno, in cui sono presenti aneddoti e tante infiorettature. Al riguardo, quando il re di Mercia venne trucidato, si raccontò che fu giustiziato attraverso l’Aquila di Sangue, su cui però non ci sono reali fondamenti storici ma dicerie. Senua osserva le rune e, comprendendole e assorbendole, entra in contatto con una cultura diversa. Ciò serve per risolvere degli enigmi proposti dal game design, che si fonda esattamente sulla sua prosecuzione e la loro risoluzione. Ogni luce, forma e simbolo delle rune, dunque, deve corrispondere a un’immagine precisa, che non può essere cambiata o alternata. Esiste solo quella, ed è l’unica chiave che le consente di avanzare all’interno del level design
Dillion è ormai completamente perduto
Ninja Theory, adeguandosi al game design proposto in Hellblade: Senua’s Sacriface, ha personalizzato quei personaggi a tal punto da renderli reali e veri, con i loro elementi come punto di forza. I problemi che Senua affronta nel suo viaggio, i nemici che affronta e le creature che arrivano direttamente dall’immaginario norreno, dunque, appartengono a uno stile ludonarrativo che va ben oltre il linguaggio utilizzato per proporre una storia in grado di colpire e affrontare dei temi complessi, intricati e capaci soprattutto di non essere immediati, che spingono però a curiosare nella Mitologia Norrena, affrontandone gli incubi e le paure, ma anche le meraviglie. Le rune, che hanno significati diversi in base a cosa intendono dire in un determinato momento, in Hellblade: Senua’s Sacrifice sono ombre che testimoniano il passaggio della giovane all’interno della sua marcia per salvare Dillion.
AL COSPETTO DI HELA IN HELLBLADE
Dopo aver incontrato le divinità, gli eroi come Sigrifido e Graumr, e compreso che nessuno di loro lo è davvero, Senua apprende che l’unico modo per riavere Dillion è cercare un compromesso con Hela. Lo cerca una prima volta, ma invano, venendo cacciata dalla dea. Al secondo, però, comincia a credere che l’unico modo per riavere il suo amato, sia strappare la vita alla dea e liberare così il suo spirito. Arriva un momento nel racconto, però, che tratta direttamente cos’è reale oppure no: il finale di Hellblade parla di una rinascita e dell’accettazione. Nel corso del suo viaggio, Senua affronta direttamente la morte e viaggia all’interno di un mondo che non ammette debolezze. Le rune, che cambiano in base alla situazione, rappresentano la sua unica ancora di salvezza. Durth, in passato, gliele aveva insegnate perché aveva previsto che la ragazza avrebbe affrontato un lungo viaggio nell’oscurità.
Ancora non è chiaro, però, se quanto Senua ha affrontato sia reale, oppure frutto della sua mente, come se quanto ha vissuto non sia nient’altro che una prova che deve seguire a ogni costo per lasciarsi scivolare direttamente la morte del suo amato, e che non c’è più niente da fare. Però, il viaggio della ragazza si spinge ben oltre Midgard e arriva là dove nessuno ha mai osato insinuarsi, in una saga dedicata a una guerriera pitta in lotta contro la dea della morte per l’amore di Dillion. All’interno della cultura norrena, nel periodo delle massicce invasioni dell’Inghilterra, si narrava spesso che i grandi guerrieri affrontassero delle sfide e che da esse potevano apprendere molto. Gli scaldi, nelle grandi sale e quando seguivano i loro signori in quei luoghi sperduti, narravano di viaggi interiori al cospetto delle antiche divinità. In Hellblade: Senua’s Sacrifice alcuni dei termini adoperati dai cantastorie raccontano di un lungo viaggio, e Ninja Theory si riferisce proprio a quello di Senua all’interno dell’opera. Sotto forma di rune, dipinte sulla pietra o erette dai resti di ossa umane, ogni parola ha un peso specifico, tanto collegato con quanto sta vivendo la ragazza.
Mínar biðk at munka reyni
meinalausan farar beina;
heiðis haldi hárar foldar,
hallar dróttinn of mér stalli.
Ogni parola ha un peso specifico, come dicevo prima. Questi versi, risalenti addirittura al 985 d.C, parlano del sacrificio alla terra e di un viaggio da intraprendere coraggiosamente per giungere agli altari del padre. Il padre non è Dio, bensì Odino, e la corte di Asgard che il guerriero descritto si augura prima di ricongiungersi nel Valhalla con i suoi compagni. I grandi eroi norreni auspicavano di raggiungere la sala degli eroi e abbandonarsi completamente ai sollazzi della vita, vivendo e morendo come avevano fatto in vita. Le differenze principali fra la letteratura italiana e scandinava, dunque, si poggia su ideali divergenti in termini di credenze e usanze. Se nel Cristianesimo l’obiettivo è il perdono di tutti i peccati, nella religione norrena non esiste un concetto del genere; c’è solo un ennesimo viaggio da compiere per raggiungere la pace e ciò che viene dopo. È lo stesso che Senua insegue, nonostante abbia credenze divergenti, in quanto giovane donna pitta. Di loro si hanno soltanto pietre dipinte ai margini di antichi boschi in Scozia, e le loro presenze sono al giorno d’oggi ancora fonte di studio.
Era un popolo barbaro, che s’interfacciò con i popoli scandinavi quando le invasioni dei regni britannici iniziarono. Piccoli contingenti avevano schiavizzato cosa restava dei pitti, e così la sostituzione fu semplice da attuare molto più che nel sud, dalla Northumbria al Wessex, l’ultimo regno che resistette al dominio della Grande Armata Danese. Senua conosceva i norreni da Durth, che aveva raccontato fossero delle ombre provenienti da un mare infinito da cui erano fuoriusciti, e che credevano nel sacrificio e nella schiavitù, oltre che nella dominazione totale del mondo. All’interno di Hellblade: Senua’s Sacrifice, infatti, la cultura norrena ha sostituito quella proto-celtica, che un tempo dominava le esistenze di chi era nato oltre il Vallo d’Adriano, eretto per tenere lontani quei popoli impossibili da sconfiggere
IL VALLO DI ADRIANO NON AVEVA PREVISTO I VICHINGHI
LE VOCI NON ANDRANNO MAI VIA: IL FUTURO DI HELLBLADE
Accettazione, privazione, ricordo e sollievo. Hellblade: Senua’s Sacrifice non affronta il lutto in maniera classica, ma cerca di seguire un filone in cui game design, narrazione e contesto si completano: è per questo che l’opera si limita a raccontare una poesia in movimento in cui la protagonista, la stessa Senua, è ciò che Durth racconta al giocatore, ma che narra anche alla protagonista, divenendo letteralmente quel ponte dell’arcobaleno – il Bifrost – che collega a sua volta quei punti di contatto. Questa connessione è un’ombra che si collega fra il gioco, il pad e il giocatore, con una grande unione di sensazioni ed emozioni che collidono insieme e poi si uniscono per creare la saga di Senua, che va ben oltre la solita storia di antichi guerrieri.
Ora che manca sempre meno a Senua’s Saga: Hellblade 2, anche se ancora non si ha una data ufficiale d’uscita, cosa potrebbe scoprire la giovane pitta è un mistero che vale la pena attendere. Dei suoi ricordi non si è ancora vissuto tutto, e la sua poesia, il suo racconto in prosa e ciò che è raccontato da Durth, è ancora avvolto dalle ombre di Hel e da un passato che non avrà più. Può solo andare avanti, o cercare di farlo. Con le sue voci.