Tra l’ultimo trailer e il gusto del retrogaming, in quest’ultimo periodo c’è una corrente che sta deliziosamente mischiando passato, presente e futuro del videogioco.
Annate vintage
Remake di Little Big Adventures da Microids, secondo giro di remaster di Tomb Raider da Aspyr, i primi due Dino Crisis appena ricomparsi grazie al GOG Preservation Program (e in cui potete votare cosa vorreste veder tornare nella dreamlist), annunciata remaster di una mascotte di serie B come Croc da parte di una redidiva Argonaut Games. E c’è anche House of the Dead 2 di Forever Entertainment, studio polacco che pare avere la precisa missione di recuperare glorie giapponesi anni ’90.
E al netto di qualche piccola smussatura sono tutti con il loro “vecchio” gameplay preservato, nel bene e nel male. Che succede? Non lo so, ma questo trend di ritornanti mi piace moltissimo. E in questo trend c’è uno studio in particolare che ha corso il proverbiale chilometro in più: Nightdive Studios. Uno studio che non si sta accontentando di fare remaster e remake che vanno a toccare solo la grafica. Ma che al tempo stesso non vuole allontanarsi da alcuni canoni figli della propria epoca.
Un remake che aggiorna, ma che non vuole allontanarsi dalla propria epoca
Remake. Quando sento questa parola, la mia reazione standard è alzare lo scudo. Sono molto conservatore sulle riproposizioni dal passato, questo non è un mistero. La mia idea è che, se vuoi portare nel presente un’opera del passato limitata dalla tecnologia del tempo, aggiusti quella, ma tieni il resto più simile che puoi. Se il resto non ti piace e vuoi “reimmaginarlo” vai fino in fondo e crea una cosa nuova con il suo titolo, il suo design, il suo tutto. A cosa serve avere un riferimento se poi è più una catena che un bastone d’appoggio?
È però vero che a volte vengo sorpreso positivamente. Oddworld Soulstorm, Tomb Raider Anniversary, Silent Hill 2, ci sono rifacimenti che ce l’hanno fatta anche con me, pur con le loro reinterpretazioni. Immagino che a questo punto, l’unica cosa a cui tengo davvero è che ne vengano rispettati i paletti artistici e narrativi, che posso riconoscere inizio, fine e molti momenti iconici in entrambe le opere. System Shock Remake lo fa? Secondo me sì, per qualcuno no, la soglia di accettazione dei cambiamenti in un classico è diversa per ciascuno. L’angolo con cui volevo affrontare questo articolo è un altro: riprendere giochi dal passato per trarne le lezioni migliori. E comprendere che possono ancora guardare in faccia giochi contemporanei. Riempire dei vuoti, persino. In particolare, quello che mi è stato evidente in System Shock Remake è il level design e un certo modo di (non) dare informazioni al giocatore. Sistemi che palesemente non sono di questa epoca.
System Shock è tanto vecchio, anagraficamente parlando. Nasceva nella fase storica-videoludica dove le ambientazioni erano spigolosi labirinti, dove era difficile immaginare degli umani viverci. Mancava molto arredamento, effetti visivi, dettagli, che magari erano nella testa degli artisti (non lo sapremo mai), ma ancor di più, mancava proprio una tecnologia che potesse accogliere le loro ambizioni.
System Shock: Tra il rifacimento e la reimmaginazione
Dove finisce una filosofia e dove comincia l’altra? I confini si sfumano, la temperatura aumenta e forse è meglio cambiare discorso subito. Che fa Nightdive Studios, quindi? Si reinventa la stazione spaziale da zero in modo da renderla umanamente abitabile e già che ci siamo cambia il level design? Oppure fa tutti gli aggiornamenti grafici del caso su una struttura vintage? System Shock Remake ha trovato il suo centro tra i due poli.
Gli sviluppatori non hanno cambiato quasi niente: hanno ” dettagliato”, aggiungendo particolari visivi, arredi, personaggi, mostri
Con questa premessa in mente, andiamo a vedere perché System Shock è ancora, e a questo punto sarà sempre, un’esperienza videoludica da cui passare. Specie se vi piace il Cyberpunk e vi manca molto il Prey di Arkane. Sì, sono un giocatore semplice, li sto tirando in ballo perché sono entrambi ambientati in una megastazione spaziale. La situazione comincia nell’appartamento del nostro protagonista. Fuori dalla finestra volano auto, l’ambiente esterno è illuminato da innumerevoli insegne al neon. L’appartamento è gestito in modo casinista, come si addice allo stereotipo anni ’90 dell’hacker. In effetti, il nostro personaggio verrà conosciuto come The Hacker per tutta la durata del gioco.
System Shock è ancora, e a questo punto sarà sempre, un’esperienza videoludica da cui passare
Subito dopo la prestazione occasionale, l’Hacker viene messo a dormire. Il risveglio sarà buio e silenzioso, in tutti i sensi. Nessun personale di guardia, tecnico o medico, le uniche altre creature a muoversi sono mech, umanoidi o strane vie di mezzo, accomunate da un tratto: sono ostili e ci attaccano a vista. Quando prendiamo il controllo, possiamo subito guardarci attorno, prendere familiarità con i movimenti, osservare che guardando in basso vediamo il corpo del protagonista. Ma non c’è un obiettivo chiaro. Non c’è una checklist. Non siamo i benvenuti. Noi sappiamo solo ciò che sa il protagonista: niente.
starà a noi comprendere l’ambientazione e come funziona la base spaziale, passo dopo passo
Comunque, ciò significa che nel corso dell’esplorazione troveremo delle “augmentazioni” in stile Deus Ex / Cyberpunk 2077. Concettualmente un po’ diverse visto che non si tratta di invasive operazioni chirurgiche, quanto piuttosto di dispositivi di protezione individuale che l’Hacker indossa. Vista aumentata, radar, scanner biometrico, zaino antiradiazioni, scudo, stivali antigravità, ogni upgrade ci potrà dare quel piccolo supporto tecnico per accedere a una zona altrimenti preclusa.
Ma non sarebbe un gioco cyberpunk senza il cyberspazio, in cui infastidire Shodan nel suo mondo
Completano la situazione dei periodici puzzle a muro, che chi ha giocato a Bioshock troverà familiari. Spesso avranno a che fare con l’apertura di una porta o l’attivazione di un congegno e saranno a tema “elettricisti” . Ma i giocatori più impazienti potranno bypassarli completamente grazie ad alcuni rari congegni trovabili in giro. Ve l’avevo detto che tutto molto familiare. Se l’atmosfera dovesse appassionarvi, sappiate che con le edizioni più massicce del gioco Nightive Studios ha previsto anche un nutrito artbook e l’Employee Handbook, in modo che anche noi giocatori possiamo farci lavare il cervell… ehm, istruire dalle eminenti personalità che dominano l’universo narrativo di System Shock.
Scusate, vorrei parlare con l’architetto
Come avrete capito, System Shock Remake non è qui per inventare la ruota, quello lo aveva già fatto l’originale. È qui per riproporla lucidata, con un piccolo restyling dei cerchioni. L’ultimo punto di cui volevo parlare, che è un po’ anche il tratto che accomuna questo progetto al listone di remaster iniziali, è infatti il level design. Abbiamo accennato all’inizio che la tecnologia del tempo non permetteva un grande volume di dettagli, quindi un po’ per stile, un po’ per forza, le ambientazioni dei giochi d’avventura che volevano proporre un po’ d’esplorazione finivano sempre per avere le vibes di un labirinto. In molte riproposizioni di solito questo aspetto viene smussato, gli ambienti vengono resi più “vivibili”, meno complessi. Luoghi in cui, si presume, un tempo qualcuno camminava con calma vivendo la vita di tutti i giorni.
Sono state aggiunte stanze, corridoi, verticalità, in un labirinto già contorto di suo
Non è questo il caso di System Shock Remake. Questo gioco abbraccia a pieni mani la ruvidità dell’epoca e ne accetta il risultato oggi. Se Bioshock prima e il Prey di Arkane poi ottenevano un’architettura utopista che ricerca l’Art Deco e un senso del bello “classico”, Citadel Station è invece fredda. Labirintica. Non pensata per il comfort umano in origine, ancora meno con un’IA ostile che la sta riorganizzando.
Proprio come in tutti gli altri aspetti del progetto, anche l’area calpestabile è stata aumentata. Sono state aggiunte stanze, corridoi, verticalità, in una mappa già contorta di suo, accentuando la sensazione di futuro opprimente tipica della fantascienza “senza speranza“. Quella fantascienza dove non si vede un albero che sia uno e ogni cosa è funzionale prima all’efficienza e soltanto poi, se proprio avanzano risorse (spoiler: molto spesso no), al benessere dell’umano.
In questo senso, una mappa labirintica piena di angoli retti va in supporto a un’atmosfera anti-umano e pro-macchina, che non a problemi a orientarsi, non si stanca, non ha bisogno di sedersi, mangiare e dormire. Adattare questo aspetto del gioco a convenzioni più attuali avrebbe forse finito per sabotare l’idea di partenza stessa: un’IA in delirio di onnipotenza che sta mettendo le mani in ogni sistema possibile per creare un mondo adatto a lei e i suoi “figli” e a escludere gli umani.
System Shock Remake è un gioco dal passato che porta nel presente molta della mentalità del tempo. Affrontatelo con i suoi termini, o la stazione spaziale vi respingerà. Io alla fine mi ci sono ambientato e sarei contento di vedere altri remake fatti con questa filosofia. Magari proprio del secondo capitolo, chissà. Parallela alla FOMO per l’ultimo trailer per giochi magari previsti anche per il 2027, vedo nascere anche un’altra corrente. Una corrente mista, impetuosa, imprevedibile, tra passato e futuro. Non riesco a vedere cos’altro (ri)porterà, ma nel dubbio, vado alla fontana dei desideri.
Questo articolo è stato scritto per The Games Machine da Frequenza Critica, il blog italiano di approfondimento videoludico.