Il mago, una classe inflazionata.

Quando la magia diventa un modo di giocare diverso. Avevo scritto che parlare dei maghi avrebbe richiesto un articolo a parte e me la sono un po’ chiamata. Dopo un viaggione mentale su una classe che penso sottovalutata, questa volta voglio concentrarmi su una che trovo inflazionata, ma nel modo sbagliato. O meglio, in modo banale: il mago. O comunque, l'”aspetto magico” in molti giochi che ne fanno uso.

“Sì, sì, tu spacca, io intanto faccio il mio”.

L’ho già detto che ci sono rimasto male nello scoprire che Final Fantasy XVI ha rinunciato ad elementi e status alterati?

Molto spesso la magia finisce solo per essere un effetto colorato

Il discorso che voglio affrontare oggi è che sì, fighissima la magia, ma purtroppo in buona parte dei giochi che la menzionano finisce per essere solo una sorta di differente effetto grafico su degli attacchi che sono un po’ sempre quelli. Attacco rapido, attacco lungo, juggle aerea, attacco “raggio”, attacchi ad area, sì, ok. Ma lo scenario risponde? Il ghiaccio congela l’acqua? Il fuoco la bolle? Il laser, boh, fa male, ma nel senso che è supercaldo o superfreddo? E ai nemici gli cambia qualcosa se li congelo o li scotto?
Se l’unica cosa che devo “studiare” è il modo più produttivo di buttare su la combo mi annoio e torniamo al punto iniziale.
Discorso simile sento di fare per Immortals ad Aveum, che è lo stesso ragionamento applicato a uno shooter. Di nuovo, al netto di qualche piccolo puzzle e di una spell che fa da rampino, “magia” significa solo “differenti modi per sparare ai nemici”. E mi sembra un peccato sprecare un concetto così etereo per creare qualcosa che sia negli effetti, sia nella giocabilità, è così simile ad altri sistemi “pigia il pulsante -> picchia/spara al cattivo”.

Specie quando, di nuovo, ho trovato qualcosa che ha provato vie diverse per rappresentare la magia. Prepariamoci a viaggiare sia nella memory lane che negli anfratti della scena del gaming italiana.

Disegna la magia con Arx Fatalis

Il primo grande sperimentatore che andiamo a scomodare è un rappresentante del portfolio di Arkane. Prima di Dishonored, prima del jack of all spades che possiamo addestrare in Dark Messiah of Might and Magic, lo studio francese ci lanciò in un mondo senza sole,  in labirintici dungeon sotterranei dove la magia era molto importante. Tanto che andava “studiata”. Non sarebbe stata vincolata ad armi, bacchette o grimori e non sarebbe bastato dire al protagonista tramite un pulsante di castare una palla di fuoco.

Persino il monaco è estasiato dai disegni che facciamo in aria.

Al contrario, lungo le esplorazioni avremmo trovato gli oggetti a cui, in quel mondo, la magia è vincolata: pietre con rune incise. Il possesso della pietra avrebbe concesso di evocare nell’aria quella runa. La sovrapposizione di due o più rune corrette avrebbe creato la magia, sia questa rivolta ad accendere delle torce, creare pozze infuocate o anche solo materializzare il classico scudo magico.

In Arx Fatalis la magia non era solo una classe, era una disciplina da studiare

Come evocare le rune? Letteralmente, disegnandole con il mouse. Il bello è che non c’era bisogno di effettivamente “trovare il tutorial” delle combinazioni di rune per utilizzarle. Avremmo potuto benissimo scoprirle anche provando a casaccio. La magia non era solo una classe personaggio, non era solo uno stile più colorato con cui combattere, era una disciplina di studio integrata in modo diegetico con il sistema di controllo. Una cosa che funzionava in modo diverso rispetto all’equipaggiare un’armatura o vibrare un affondo di spada.

Ok, qui invece è meglio disegnare in fretta e bene.

Nel tempo ci sono stati degli “eredi” di questo sistema, sebbene mai così vicini da rivelarsi un’esperienza adiacente. Parliamo piuttosto di intuizioni simili. È da Clover Studio che nel 2006 arriva Okami, un open world ispirato all’arte pittorica e della calligrafia giapponese. I poteri divini di Amaterasu, si sarebbero manifestati non evocando localizzate palle di fuoco o fulmini, quanto piuttosto piegando il tessuto stesso della realtà. Non aveva bisogno della spada per tagliare.

più all’acqua di rose, Trine consente solo al mago di creare figure da platforming

In modo più all’acqua di rose, nel Trine di Frozenbyte, il mago poteva solo creare figure adibite al platforming e muoverle con la telecinesi. Figure che appunto, avremmo potuto manifestare disegnando con il mouse cubi, aste e triangoli.

Scrivi la magia con The Textorcist

Iniziamo il viaggio in penisola. A Roma, in particolare. In una penisola alternativa dove sorge una teocrazia che tutto controlla (o ci prova) e che protegge da invasioni demoniache, vive l’esorcista Ray Bibbia. Un esorcista che ha avuto davvero una brutta giornata e che subisce il tentativo di rapina di un bullo di periferia. Idea terribile. Ray prova a convincerlo a girare i tacchi e tornare celermente da dove è venuto, senza successo.
Non resta che estrarre il suo libro, e fin qui è tutto familiare… e digitare le parole che compaiono sopra la sua testa.

Questo è uno di quelli facili.

Proprio così, The Textorcist di Morbidware è un “bullet hell typing game”. L’attempato Ray, nonostante la panzetta e la pelata da tarda età, è benissimo in grado di entrare in un locale notturno chiamato Titus Twister (se il nome vi dice qualcosa vedo che siete giocatori/trici di cultura), fare domande e mettere a soqquadro il luogo fino a risposte.

The Textorcist è un bullet hell typing game

Ma quando il gioco si fa duro, bisogna evocare forze che non sono di questa terra. Lo schermo ci suggerirà una frase da digitare e noi dovremo farlo mentre schiviamo proiettili di varia forma e movimento. Ogni parola farà comparire una piccola lucciola chiamata “hollet” che seguirà Ray. Un primo attacco ci farà perdere di mano il libro e partirà un countdown. Se ci attarderemo a recuperarlo, ci scorderemo la frase e dovremo ricominciare. Peggio ancora, venendo colpiti senza il libro, perderemo un preziosissimo punto vita. Ma se riusciremo a comporre la frase, la squadra di hollets andrà a tutta velocità verso il nemico facendogli malissimo.

Stop. Questo è tutto quello che dovrete fare in The Textorcist, ma lo farete con un sorriso goliardico stampato in faccia. Ogni cosa di questo gioco è una satira o una battuta. Vi capiterà ad esempio di visitare un villaggio di miscredenti ossessionati dalla scienza. In tale villaggio c’è una cosiddetta crypto-pasticceria i cui dolci continuano a cambiare di dimensioni e prezzo. Oppure una rumorosa sala concerti dove suonano le Bestie di Seitan. Oppure una Napoli alternativa dove i fiori di ciliegio crescono alle pendici del Vesuvio. Vulcano che è casa di un potente maestro esorcista. C’è molto di cui discutere e lo farete mangiando pizza con le bacchette.

L’appartamento-studio di Ray, dove fare il punto della situazione.

Tra un combattimento e l’altro potrete modificare l’equipaggiamento. Un colletto in kevlar garantirà un cuoricino in più, un segnalibro darà qualche prezioso attimo aggiuntivo per recuperare la frase se dovesse caderci il libro, scarpe sportive potrebbero farci camminare più veloce o scattare per brevi tratti. Tante piccole variazioni, ma nessuna modifica al sistema principale.
Ora però è il momento di dirvi una cosa. I requisiti ideali per giocare in modo soddisfacente a The Textorcist sono:
-avere una piccola base di latino.
-essere veloci a battere a tastiera…
-….meglio ancora se riuscite a farlo senza guardarla.

Indovinate chi non risponde a nessuna delle tre? Mi ci sono buttato con determinazione e sicuramente sono diventato più veloce a digitare e fluente in frasi come “coven tuam secura tibi libertate servire facias te rogamus audi nos, ma la mia grande confessione qui… è che non ho superato l’ultima fase dell’ultimo boss e tuttora non ho assolutamente idea di come si faccia. A meno di non saper digitare completamente alla cieca o di farsi aiutare dividendo i compiti: uno schiva e l’altro guarda e digita. A parte questo, non so come sia umanamente possibile. I proiettili vaganti a schermo sono così tanti e dal pattern così variegato che nessun luogo è sicuro per più di un secondo. Peccato, perché avrei voluto godermi fino in fondo un gioco che ho sinceramente trovato geniale e soprattutto divertente nel suo semplice umorismo satirico. La fatica di battere il boss di turno era ben ricompensata dall’intro del successivo, che andava a fare parodia mirata di questo o quel film, traducendolo nella direzione artistica del gioco.

Pronuncia la magia con In Verbis Virtus

“YOU. SHALL NOT. PAAASSSSS!!!!”
Chi non ha mai desiderato un’esperienza VR dove urlare queste parole a un Balrog fiammeggiante mente. Ma se vi dicessi che c’è un’esperienza che può andare quasi-forse-in un certo qual modo vicina a quel tipo di personaggio? Premesso che vi dovrete munire di un buon (meglio ottimo) microfono.

In Verbis Virtus vi chiederà di scandire la magia molto bene.

Proprio così, in In Verbis Virtus di Indomitus Games la magia va pronunciata e scandita molto bene. Faccio questa premessa subito perché l’esperienza finale può rivelarsi un po’ rotta, specie nei momenti concitati dove non ci sono molte opportunità di riprovare. Forse dipendeva dal mio microfono, forse dalla mia cadenza del nord est, forse dal fatto che dopo 3 volte che non ricevevo feedback, condivo la pronuncia con imprecazioni varie. Ma a priori di tutto, non posso dire che l’esperienza sia stata fluida.

Una cultura che usa il classico sistema di illuminazione a gemme,

Fortunatamente però, in questo gioco non si combatte granché. Per buona parte è un esplorativo in prima persona con puzzle, la cui soluzione, avrete capito, non è tramite oggetti. Bensì tramite le magie che impareremo lungo la strada.

In Verbis Virtus non fa combattere granché. Per buona parte è un esplorativo in prima persona con puzzle

Le impareremo letteralmente assieme al protagonista perché benché possiate scegliere di pronunciare la traduzione in inglese, il gioco ve le proporrebbe nella lingua fittizia di questo universo. “Ekto Namet”, “Obee Kehnu”, “Atul Aghni”, preparatevi a memorizzare formule di un altro mondo per procedere. Che è un modo a mio avviso interessantissimo di introdurre il concetto di barriera linguistica in un gioco: facendo imparare pezzetti di una lingua e facendoceli utilizzare per davvero, non soltanto per interpretare testi. In questo caso parliamo soltanto di un sistema di input visto che i testi che ci raccontano la lore del gioco saranno già convenientemente tradotti, ma è comunque un’altra sfumatura interessante da esplorare.

Esplorare, appunto. Vestiamo i panni di un mago-esploratore-archeologo in cerca del classico potere proibito che gli serve per risorgere una persona amata. Non c’è una singola storia con questa premessa che non abbia una qualche fregatura, ma va bene, è un rischio che intende correre. Dopo una breve sessione in stile Indiana Jones dove sblocchiamo l’accesso ad antiche rovine, una cultura misteriosa si rivelerà ben presto nella sua opulenza.

Benvenuti all’umile pozza di acqua curativa.

In questo gioco tutto è elegante, barocco, tirato a lucido. A volte finto, persino. Un tale gusto si addice poco a caverne o sotterranei costellati di trappole. Ma i saloni sono invece maestosi, che incutono reverenza. Vi capiterà per esempio di visitare un enorme osservatorio astronomico in cui dovrete riordinare i pianeti in alcuni modi per sbloccare serrature e no, non parliamo del sistema solare nostro, quindi altra cosa da imparare. O di risolvere puzzle con laser da far rimbalzare in giro in stile The Talos Principle (molto meno complessi, va detto). O di dover fare salti così lunghi da prendere rincorsa, saltare e urlare “Notem Atul Opun” per teletrasportarvi appena riuscite ad agganciare un punto di atterraggio. Mi raccomando, niente ansia e tenete la dizione pulita.

Un concetto così vago, così inafferrabile come la magia ha offerto il pretesto per esplorare nuovi sistemi

Lontani dalla perfezione, questi sistemi mi hanno fatto considerare che anche senza ricorrere a periferiche di gioco specifiche (In verbis Virtus vi chiede un microfono, verò, ma vi può servire anche per altre cose), c’è ancora modo di esplorare sistemi di game design diversi. Che possono poi riflettersi anche nella narrativa, andando a creare opere con una somma delle parti unica.

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