Virtual Reality Machine #05

VR

In queste ultime settimane ho guardato con ottica diversa ad alcuni limiti della VR, tra cui la scarsa sostanza e longevità di molti giochi, superandoli in virtù di un fattore incidentale e di uno più complessivo. La prima ragione, banalmente, dipende dai miei stessi ritmi di fruizione dei videogame, per cui, in mezzo a tante altre cose “mainstream” da giocare, gradisco volentieri esperienze virtuali dense e compatte che non necessitino di sessioni troppo lunghe, anche per la prova fisica più impegnativa a cui la VR ti sottopone.

Il secondo fattore, però, è l’unico che davvero conta: a questa generazione di gaming in realtà virtuale si può imputare tutto, ma non che sia priva di spunti e sperimentazione per tutta una serie di generi che oggi vengono dati per scontati, sono quasi spariti o addirittura rischiano, in VR, di trasformarsi in qualcosa di nuovo. E non c’è altro da aggiungere: soprattutto nello strano oceano di HTC Vive, ma anche nei più definiti ambiti di Oculus Rift e Playstation VR, la dimostrazione di quanto appena affermato risiede nelle anteprime e recensioni qui sotto, vergate da tutte le manine di TGM attualmente impegnate sulla realtà virtuale. Chiaro che non mancano eccezioni qualitative, ma quelle esistono sempre.

ORGAN QUARTER

Piattaforme: HTC Vive
Comfort: variabile
Controlli: Vive Controller
Uscita: agosto 2017 (demo-alpha disponibile)

vr

Al di là dei notevoli punti d’interesse su Organ Quarter, intrigante survival horror in soggettiva, i suoi sviluppatori (tre persone in tutto) mi sono subito risultati simpatici: non il solito accesso anticipato, ma una promettente demo-alpha gratuita e la promessa, corroborata nel rapporto con la comunità, del gioco completo per la prossima estate. La piccolissima dimensione indie di Outer Brain Studios emerge chiaramente dagli asset grafici, soprattutto in termini di animazioni e definizione poligonale; la stessa campagna Kickstarter, d’altronde, presentava una richiesta molto contenuta ed è andata in porto quasi di misura, senza fuochi d’artificio o particolare attenzione. Nondimeno, il mantra del progetto risulta a dir poco allettante: portare in realtà virtuale lo stile e le sensazioni disturbanti di Silent Hill, mantenendo tutti gli elementi di base dei survival horror vecchia maniera.

VRNella demo veniamo scagliati in una cupa ambientazione urbana, passando da grigi complessi di palazzi e appartamenti con corridoi sinistramente in penombra, percorsi da orrori che sembrano stazionare a metà strada tra Lovecraft e Clive Barker, proprio come le mostruosità della serie Konami. Il ritmo è esattamente lo stesso: l’esplorazione e l’ansiogeno combattimento si alternano a piccoli puzzle, semplicissimi ma evocativi, mentre le visioni puntano a un ipnotico mix di scoperta e disagio psicologico, più che su un banale meccanismo di jumpscare. Il bastone e la carota, insomma, per i masochisti che sanno di esserlo.

Ottimo e intuitivo il sistema di controllo, col libero movimento via trackpad oppure (per i più deboli di stomaco) col teletrasporto: il controller cinetico di sinistra governa la mano corrispondente per raccogliere oggetti, ruotarli per i puzzle e metterli nell’inventario; quest’ultimo si apre sul dorso dell’altro controller, quello con cui si impugna la pistola, in una soluzione magari non simulativa (in altri esempi abbiamo “zaini fisici” da gestire, ad esempio in Arizona Sunshine) ma molto chiara e piacevole sotto il profilo ludico. Addirittura eccezionali un paio di passaggi follemente psichedelici, ben rappresentativi di quanto il conteggio poligonale in VR conti molto meno della “matericità” – ottima, in questo caso – con cui gli oggetti si presentano. Difficilissimo esprimersi sulla tenuta narrativa: quel che possono dire è che le registrazioni sui mangiacassette (manipolabili con le mani virtuali) fanno pensare pensare alla materia di un cupo sogno esistenziale, più che a un tradizionale intreccio con dialoghi e PNG. D’altra parte, le immagini del gioco completo sembrano testimoniare una discreta varietà di creature, enigmi e situazioni disturbanti, e a me potrebbe bastare anche così.

BULLET SORROW VR

Piattaforme: HTC Vive, Oculus Rift
Comfort: buono
Controlli: Vive Controller, Oculus Touch
Prezzo: 22,99 €

VR

Qualche volta gli Accessi Anticipati finiscono davvero, e portano pure a giochi notevoli: è il caso di Bullet Sorrow, intrigante sparatutto fantascientifico pubblicato lo scorso mese e aggiornato, qualche giorno fa, con modalità orda e PvP. Mega-corporazioni, ricerche di biogenetica, riflessi dilatati (leggi: bullet time) e tanti altri dettagli portano poco lontano dagli standard del cyberpunk videoludico, ma con un livello di sfida che strizza l’occhio al più antico istinto del videogiocatore, quello del punteggio, e una pulizia tecnica assolutamente rimarchevole in VR.

VRBullet Sorrow è ora disponibile anche per Oculus, ma continua a risultare più “naturale” nella versione HTC Vive: solo in questo caso, infatti, la room scale (ovvero, la stanza rilevata dalle base-station) permette di trasformare il concetto di “shooter da postazione fissa” in qualcosa di più fisico e completo, in cui le barriere per ripararsi fisicamente e i power-up (salute, bullet time a tempo, scudi fisici, varie armi e granate) possono essere raggiunti in uno spazio relativamente ampio. Peraltro, la dinamica di gioco è semplicissima: nelle missioni dello storymode ci sposteremo per nodi, con meccanismi di ricarica decisamente arcade (basta abbassare per un attimo le armi), buona varietà di nemici (con tanto di boss e mini-boss) e piogge di proiettili che fanno onore al titolo del gioco. Le AI degli avversari non sono certo brillanti, e nemmeno la varietà delle loro animazioni, ma anche questi dettagli vengono leniti dalla stessa ascendenza storica di Bullet Sorrow, tra rail-shooter e affini che poco avevano a che fare con la finezza dei nemici.

Le nuove modalità “Infinite” e PvP non costituiscono il punto forte della produzione, ma sono comunque un’aggiunta gradita: la seconda, in particolare, segue intelligentemente il discreto successo di alcuni shooter VR con movimento via trackpad, come Pavlov (Counter Strike VR, nella pratica) e Onward (puramente simulativo, ne abbiamo parlato qui), portandoli nella più libera caciara fantascientifica di Bullet Sorrow, senza tanti fronzoli ma con il solito, robusto impatto visivo. Nel complesso non si tratta di un capolavoro, in nessuna delle due versioni, ma di un robustissimo e godibile mestierante.

STARBLOOD ARENA

A cura di Danilo dellafrana
Piattaforma: PS VR
Comfort: variabile
Controlli: Dualshock 4
Prezzo: 39,99 €

VR

Ricordate quando a metà degli anni ’90 tanti lamentavano nausea più o meno marcata giocando a Descent? Ché il capolavoro di Parallax Software rappresentava sì una rivoluzione per il genere FPS, ma anche per gli stomaci di molti videogiocatori. Io non ero tra loro, fiero e indomito cacciatore di robot impazziti, forgiato da infinite visioni del Millennium Falcon in fuga dalla seconda Morte Nera, ma StarBlood Arena è arrivato per farmi dubitare di un simile, eroico passato. Brutale, ecco com’è il pargolo di Whitemoon Dreams, uno sparatutto ad arene a bordo di piccole astronavi che garantiscono una liberà di manovra a 360 gradi.

Combinatela ad accelerazioni, decelerazioni, picchiate, colori sgargianti e l’immersione garantita dalla realtà virtuale per avere una ricetta letale, qualora soffriste di motion sickness (confermo totalmente, ndkeiser). Sotto questo aspetto, credo che StarBlood Arena sia il gioco più “pesante” attualmente disponibile per il PlaystationVR: semplicemente non ce l’ho fatta a disputare più di un singolo match la sera, dopo una giornata di lavoro, arrivando comunque e chiedere il time out diverse volte durante sessioni in momenti ben più rilassati. È un mio limite e un po’ mi dispiace, perché il gioco è assai godibile; non credo di esagerare definendolo (con le debite proporzioni; perdonatemi, fanboy di Blizzard!) un Overwatch con le astronavi, forte di una coloratissima aziona incorniciata in uno show spaziale, condotto da un paio di alieni scemi e disputato da ben nove personaggi, ognuno dotato di personale velivolo e sistema di armamento. Ad esempio la cacciatrice Apollonia spara arpioni per limitare il movimento del nemici e farli a pezzi con calma, mentre i tre buffi alieni Tik Tak Toh seminano morte a bordo di una corazzata dotata di cannone gauss e lanciamissili nucleare per regolare i conti il prima possibile, sacrificando nel contempo la mobilità. Tra nove volti personalizzabili in skin e abilità troverete sicuramente le ali che fanno al caso vostro in una serie di arene che amano cambiare le carte in tavola sul più bello, magari schierando una serie di torrette quando eravate sul punto di vincere.

Dopotutto è uno spettacolo televisivo, e il pubblico va tenuto sulle spine. Come tutti i titoli simili, StarBlood Arena va giocato contro avversari umani: a poco serve la modalità in singolo, riconducibile sostanzialmente a un tutorial per prendere la mano con le meccaniche di gioco in semplici schermaglie o nel Circuito Infernale, una sorta di insulsa campagna senza presupposti narrativi che fungano da collante tra i vari scontri contro la CPU, per approfondire la già esile caratterizzazione dei personaggi. Incrociando altri piloti online ci si diverte invece con il buon vecchio deathmatch fino a otto giocatori, da soli o in squadra, oppure Griglia di Ferro, una sorte di football americano tra le stelle con la palla da “calciare” in porta o condurre alla meta segnando un più succoso touchdown. Come ciliegina sulla torta, la modalità Invasione permette di cooperare amorevolmente mettendo da parte dissapori vari, alle prese con ondate di alieni. StarBlood Arena è un titolo molto interessante per chi dispone di uno stomaco più robusto di quello del sottoscritto, ma che andrebbe quantomeno provato se avete fatto i conti con la nausea in titoli quali RIGS o EVE Valkyrie, oppure se non avete particolare interesse nel gioco online. Del resto, Fairpoint è ormai dietro l’angolo.

STATIK

A cura di Nicolò Paschetto
Piattaforme: HTC Vive
Comfort: discreto
Controlli: Dualshock 4
Prezzo: 19,99 €

VR

Statik è un puzzle game fondato su un semplice assunto: avendo il casco VR in testa, e con la strana scatola in cui vediamo infilati i polsi, non possiamo scorgere fisicamente le nostre mani. La prima cosa da fare nel gioco di Tarsier Studios, dunque, è cercare di comprendere il meccanismo che le imprigiona; il dispositivo bloccante cambia a ogni livello, e i tasti del nostro Dualshock svolgono funzioni diverse. La base della sfida è esattamente questa, dopodiché occorre scoprire la logica degli enigmi, molto vari e mai banali.

VRNel corpo del gioco sono anche presenti puzzle “multiplayer”, in cui un altro giocatore deve utilizzare l’apposita app Playstation come secondo schermo. A conti fatti si tratta di un’apprezzabile aggiunta, soprattutto se abbiamo un amico fidato e paziente con cui condividere la “tortura cinese”; almeno nel mio caso, però, il livello molto elevato della difficoltà ha provocato il sopravvenire della frustrazione, prima che dell’appagamento, complice l’inevitabile ripetitività dell’idea di base.

Si tratta di un esperimento intelligente e coraggioso che, però, mette in luce un fattore non trascurabile. Di fronte a un gameplay così statico e celebrale, sarebbe sempre una buona idea inserire momenti di stacco (o, perché no, alternativi) che ne rendano più varia la fruizione; non a caso, l’unico livello di Statik che presenta una variazione di questo tipo (non è il caso di spoilerare, naturalmente) risulta anche il più gradevole. Personalmente inserirei tra i limiti anche la mancanza di un impianto narrativo capace di divertire per davvero, magari nella direzione di modelli (difficili da imitare, su questo siamo d’accordo) come Portal per l’umorismo e Device 6 per il coinvolgimento. Per gli stessi motivi, mi sento di consigliare Statik solo ai giocatori VR amanti dei puzzle più estremi; chi, invece, vuole divertirsi senza pensieri, può tranquillamente rivolgersi altrove.

AIRMECH COMMAND

Piattaforme: Oculus Rift, HTC Vive
Comfort: ottimo
Controlli: Oculus Touch, Vive Controller
Prezzo: 19,99 €

VR

Quando (e se) la realtà virtuale si sarà definitivamente affermata, la sperimentazione di Airmech Command potrebbe risultare addirittura necessaria: lo spin-off di Carbon Games, già autori del valido Airmech, porta le dinamiche dei videogiochi RTS in un’affascinante rappresentazione virtuale, con tutte le “miniature” pronte a ricevere i nostri ordini sul campo di battaglia.

VRIl modello di Airmech Command può sembrare ispirato agli strategici di Chris Taylor (Supreme Commander, più che Total Annihilation), ma è in realtà un più accessibile mix di strategia action ed elementi MOBA, addirittura palesi in co-op e PvP: l’idea è comunque quella di basi e avamposti che andranno difesi con truppe, mezzi di vario tipo e col nostro colossale mech, vero comandante in capo dentro e fuori la battaglia. In tutti i casi, le nostre mani robotiche andranno a selezionare unità, indicare obiettivi e produrre nuovi mezzi; scegliendo bene il momento, poi, potremo piazzare il robot e usufruire della sua maggiore prestanza in combattimento, oltre che della possibilità di mutare la forma in aereo da guerra, rendendolo più veloce ma anche più vulnerabile.

I controlli necessitano un po’ di pratica ma funzionano sostanzialmente bene, e soprattutto sfruttano in modo appropriato il fascino della VR: ci sono, naturalmente, segni grafici tridimensionali per selezionare le unità e tracciare la strada verso gli obiettivi, ma potremo anche prendere il robot e le “pedine” sul palmo della mano per spostarli e, perché no, per sentirci stupidamente fighi. Ben fatto il tutorial, in questo caso fondamentale, e pollice alto anche per le missioni: non siamo di fronte al livello di uno StarCraft a caso, e nemmeno dei migliori MOBA, ma il level design è funzionale, l’impatto grafico ammiccante e la sfida “appropriata” (ovvero, non eccessivamente cervellotica) per le attuali piattaforme. In futuro il genere di Airmech Command potrebbe trovare nuova linfa nella realtà aumentata, ancor più che nella VR, ma per il momento possiamo anche accontentarci.

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