Nei giorni scorsi ho avuto modo di dare uno sguardo in anteprima a NBA 2K18, nella luccicante cornice della milanesissima Via Dante, immerso in condizioni climatiche che richiamavano un po’ la trade Isaiah Thomas/Kyrie Irving: così come la querelle che ha tenuto tutti gli appassionati della palla a spicchi sull’orlo della sedia nelle scorse settimane, anche il clima milanese di fine settembre è una roba che ti alzi la mattina e non si capisce granché come andrà a finire, ma in fin dei conti va bene così, ché ci guadagna lo spettacolo. E sì, se sto parlando del tempo in un pezzo di NBA 2K è solo perché anche quest’anno c’è poco da dire: Visual Dynamics non molla un colpo, e anzi ha continuato a lavorare di cesello per offrire la simulazione cestistica definitiva.
Durante l’evento, oltre a una prova fugace alla versione definitiva del gioco (tutte le rose erano aggiornate all’ultimo scambio) che arriverà sugli scaffali il 19 settembre, ho sopratutto potuto scambiare due parole con Rob Jones, Senior Producer di 2K che, dietro l’apparenza da duro del quartiere americano, nasconde un “core de Roma”… letteralmente: sono arrivato lì con le domande in inglese e il mio interlocutore parlava italiano meglio di me (non che ci volesse granché per arrivarci, eh. ndKikko).
TGM: La serie 2K si propone ogni anno come la simulazione di basket perfetta. Ma considerando i cambiamenti costanti della disciplina, con il passaggio allo small ball a discapito dei big man…
Rob Jones: Mi dispiace moltissimo, ‘sta cosa!
TGM: A chi lo dici… comunque, a proposito dei cambiamenti della disciplina, come avete rivisto i vari aspetti di gameplay?
Rob Jones: Per esempio, la difesa è molto, molto più intelligente che in passato. Uno dei miei amici nel team di Visual Dynamics ha giocato come professionista in Eurolega e in Australia, e ha fatto persino un provino per i TrailBlazers in NBA, quindi puoi immaginare che tipo di contatti e che concezione abbia del gioco e dei giocatori. Lui si occupa degli aspetti difensivi da tre anni, un tempo in cui ha lavorato per rendere tutte le difese in game, di tutte le squadre, il più possibile fedeli a quelle reali, giocatore per giocatore. Anche i fondamentali sono stati profondamente rivisti. Una delle cose che abbiamo aggiunto quest’anno riguarda il fatto che la tua squadra sa che schema stai usando e conosce tutte le piccole azioni che lo compongono: ad esempio, se uno porta un blocco dall’alto, il suo difensore sa che deve scalare per evitare il punto avversario. Sono cose piccole, però se pensi che in passato quel giocatore sarebbe sempre stato “aperto” per ricevere e tirare, dici “ah, adesso arriva il pericolo, ma almeno ho il difensore pronto”. Cosa che magari prima non succedeva. Anche le rotazioni sono state ritoccate: chi ha giocato i vecchi NBA 2K sa che i pick and roll funzionavano praticamente sempre. In 2K18 abbiamo dei giocatori che sono consci di poter liberare un avversario scarso al tiro per andare a raddoppiare, perché la minaccia è minore rispetto alla necessità del blocco che andrà a portare. C’è tanta più intelligenza artificiale, più profondità, molti più dettagli credibili nella difesa, molta più fisicità nelle varie fasi di gioco. Sono dettagli piccoli, che magari non senti nell’immediato o che rimarranno oscuri ai novizi o a chi gioca al livello di difficoltà predefinito.
TGM: Ho notato in effetti che i difensori sono molto più cattivi e pronti a marcare “quello forte” della squadra e a picchiarlo se va a rimbalzo offensivo.
Rob Jones: Sì sì, ma non solo: abbiamo migliorato molto anche le varie fasi di mismatch. Ti faccio un esempio da una presentazione che ho fatto qualche giorno fa: nella prima situazione c’erano New York Knicks contro Celtics, Carmelo Anthony isolato sulla linea dei tre punti con davanti Jaylen Brown; difficilmente Melo verrà raddoppiato, perché l’intelligenza artificiale avversaria sa che il difensore è buono e il resto della squadra non deve raddoppiare; l’IA, in quel momento, sa che può permettersi un tentativo di Melo perché la marcatura è buona così, senza preoccuparsi troppo. Nella seconda situazione c’erano LeBron James contro Kevin Durant: tutti in campana, perché c’è necessità, e infatti in post arrivava prontamente un altro difensore a raddoppiare su James. Stessa partita, situazione diversa con Kevin Love e Draymond Green: il mismatch non c’era, non c’era necessità di raddoppio, quindi tutti hanno mantenuto le marcature corrette. Ci sono tanti dettagli come questi che ogni anno aumentano la profondità del gameplay.
TGM: Per quanto riguarda la profondità, ricordo che le prime partite al mio primo NBA 2K hanno messo in chiaro subito una curva di apprendimento piuttosto marcata. Come vi ponete nei confronti dei nuovi giocatori, appassionati di basket al primo approccio, o anche solo ai più giovani che vogliono cominciare e divertirsi ritrovando le sensazioni più pirotecniche della disciplina? Come avete lavorato quest’anno in questo senso?
Rob Jones: Due cose, principalmente. Siamo tornati a un modo di tiro più semplice: l’anno scorso bisognava centrare la levetta, era molto difficile… l’ho notato soprattutto con mio figlio di otto anni. Era troppo complesso per lui, e alla fine era poco pratico anche per me che ci gioco sempre. Adesso siamo tornati a dare importanza al timing in relazione alla situazione di tiro, che è importantissima. Sempre mio figlio, per dire, se prende il primo tiro con Curry prova sempre a tirare con lui, senza dare troppa importanza a distanza o marcature. Io glielo dico, ma lui niente! Ora invece viene proprio evidenziato, con il feedback del tiro: hai lasciato troppo tardi, eri marcato… hai la valutazione della tua scelta e della tua meccanica sul momento, evidente nell’interfaccia, che ti aiuta a valutare il tuo modo di giocare e di pensare la fase offensiva. C’è anche tutta una nuova serie di movimenti che, con l’aiuto dei nuovi mismatch di cui dicevo prima, ti aiuta ad arrivare a canestro in modo diverso. E sono importantissimi, perché – soprattutto quando sei più piccolo – se senti che ogni cosa che fai sbatte contro un muro, non ti diverti. Se invece capisci che puoi farcela e che hai margine, sei anche spronato a continuare e a migliorare.
TGM: Possiamo quindi dire che la componente più spettacolare è sempre lì, raggiungibile per tutti.
Rob Jones: Io dico sempre che, volendo, puoi giocare NBA 2K anche con due tasti. Se vuoi essere bravo più avanti, contro avversari veri o con l’intelligenza artificiale tarata verso l’alto, ovviamente, la tua voglia di imparare e migliorare fa tutta la differenza del mondo.
TGM: Per quanto riguarda la nuova modalità Run the Neighbor, si notano molte influenze stilistiche, anche considerando che avete lavorato qualche anno fa con Spike Lee. Potrei dirti GTA San Andreas, volendo, considerando tutti i negozi per personalizzare il proprio giocatore, ma anche serie recenti come Luke Cage di Netflix. Che relazioni ci sono tra questi media e la nuova modalità, in termini di gameplay?
Rob Jones: Guarda, la nostra esperienza con il lavoro fatto con Spike Lee è positiva. Alla fine il pubblico apprezza avere una storia da seguire e che li sproni ad andare avanti e a scoprire il gioco. Allo stesso tempo abbiamo capito però che non puoi forzare gli eventi: c’erano scelte lasciate al giocatore che non portavano a bivi importanti, e il pubblico si è ritrovato un po’ spiazzato perché, nonostante potesse decidere il nome e vari aspetti estetici – financo mettere la propria faccia sul modello del protagonista – la storia continuava indipendentemente dalle scelte. “La mia carriera” non era effettivamente “mia”, ma quella di un tizio con la mia faccia e il mio nome. Questo volevamo cambiarlo. In secondo luogo, c’era una larga fetta di pubblico che si cimentava in My Career solo per raggiungere la media di 99 e giocare online contro gli altri giocatori in Pro AM. Loro si sentivano “forzati” a percorrere questa modalità per poter avere più chance nell’online. Con il quartiere noi abbiamo cambiato le cose: gli anni scorsi, se tu giocavi al parco non potevi crescere, ma dovevi farlo nella storia. Quest’anno, se vinci, cresci ovunque e se fai bene, continui a migliorare: e un aspetto fondamentale per moltissimi giocatori. Abbiamo messo insieme questi vari aspetti, di scena e di gameplay, per offrire qualcosa il più possibile “rotondo”.
TGM: Puoi parlarci un po’ della versione Switch del gioco?
Rob Jones: Abbiamo deciso di sviluppare questa versione in parallelo con le altre piattaforme perché volevamo dare la stessa esperienza. Ovviamente, le limitazioni tecniche ci hanno costretto ad abbassare lievemente la qualità grafica e a rinunciare ai 60 fps che abbiamo invece raggiunto stabilmente sulle altre piattaforme: dopotutto, muovere tutto quello che facciamo muovere, con quella qualità nell’illuminazione e quella fluidità, è uno sforzo troppo grande per l’hardware della console Nintendo. C’è il quartiere, che funziona allo stesso modo delle altre versioni, e ci sono i parchi. Abbiamo scelto di non portare la versione di Pro AM in cui puoi giocare in squadra, perché per il momento pensiamo che il pubblico di Switch non cercherà questa modalità nello specifico. Però, ci sono La mia carriera, il My GM, la palestra… è tutto identico alle altre versioni, e credo sia la prima volta che uno sportivo esca su una portatile senza grandi rimaneggiamenti, o senza riciclare una versione del gioco vecchia di anni, se non addirittura riciclata da un episodio di una generazione precedente. L’esperienza è la stessa su tutte le piattaforme. A me personalmente Switch piace tantissimo, e tutto il team voleva portare l’esperienza di NBA 2K18 al meglio anche qui.
TGM: Per concludere: avete scelto Shaquille O’Neal come volto della Legendary Edition. Vi ha dato qualche prezioso consiglio sulle cose da NON fare assolutamente nella simulazione dei tiri liberi?
Tutti ridono, sipario.