Forse non lo sapete, ma c’è un italiano di una certa importanza che ha lavorato su Destiny 2. Si tratta di Daniele Carli, che tra le tante cose fatte in carriera (qui il suo profilo su IMDb) può annoverare il sound design delle scene di intermezzo del recente titolo griffato Bungie. In un’accorata intervista a cuore aperto, Daniele ci racconta del suo lavoro e della diversità di approccio nella creatività tra videogiochi e mondo del cinema. Buona lettura.
TGM: Hai realizzato il cinematic sound design per uno dei titoli più popolari di sempre. Com’è stato lavorare alle scene di intermezzo di Destiny 2 e qual è stato il tuo ruolo, nello specifico?
Daniele Carli: Lavorare a Destiny 2 è stata un’esperienza gratificante, che mi ha permesso di esprimere la mia creatività nella produzione di un gioco che è una vera e propria opera d’arte. Ho creato il suono di astronavi, armature, passi e ambienti, editando anche certi effetti sonori preesistenti, come il “transmat”, che si sente quando il giocatore viene teletrasportato dalla nave a terra, e il movimento meccanico dello Spettro, il piccolo drone volante che affianca il giocatore. ll lavoro è stato poi mixato da Bungie stessa. Ho potuto decidere le sfumature e lo sviluppo dello storytelling dal punto di vista sonoro, anche se durante la produzione non mi è stato possibile capire in che punto della storia sarebbero apparse le scene di intermezzo su cui stavo lavorando.
TGM: Spesso il pubblico sottovaluta il ruolo del sound design, ma è un’arte che ha risvolti estetici fondamentali. Quanto è importante la creatività in questo lavoro e che tipo di libertà hai avuto?
Daniele Carli: Il sound design è uno strumento narrativo molto potente, che coinvolge lo spettatore e caratterizza la scena con una precisa direzione estetica: per riuscire a ottenere questo risultato, la creatività è fondamentale. Senza creatività non sarebbe possibile concepire suoni così identificativi, come la spada laser di Star Wars, ad esempio, il ruggito del T-Rex in Jurassic Park o il tipico ruggito elettrico della DeLorean di Ritorno al Futuro. All’inizio di ogni progetto ho bisogno di avere una visione d’insieme per capire l’approccio stilistico ed espressivo. Il bello del mio lavoro è che devi prendere decisioni su come interpretare una scena, come uno sciame di astronavi che ti sfrecciano davanti ad altissima velocità o il suono del vento ad alta quota. Nel caso specifico di Destiny 2, Bungie mi ha lasciato una certa libertà, soprattutto per gli ambienti e i veicoli spaziali, laddove ho cercato di rappresentare ogni astronave in base a dimensione, modello, velocità, motore e movimento. Qualche complicazione l’ho avuta invece per i foley, ovvero il movimento delle armi, il suono delle armature e dei passi: dovevano rispondere a qualsiasi tipo di classe, genere ed equipaggiamento che il giocatore avrebbe scelto durante il suo percorso nel gioco.
TGM: Il tuo sound design ha un grande livello di attenzione al dettaglio. Che tipo di caratterizzazione era necessaria e come sei riuscito a ottenerla?
Daniele Carli: In Destiny 2 ogni aspetto delle cutscene doveva essere ben accentuato per rendere le sequenze entusiasmanti, quindi ho scomposto le scene in più livelli: ho dato voce all’astronave modulando il suono in fase di virata, rallentamento e propulsione, considerando il movimento dell’aria e l’impatto al passaggio davanti all’inquadratura, distorcendo la combustione dei motori per poi farla disperdere nell’ambiente in lontananza. Ho creato effetti di vario tipo, come il suono della cloche che, spinta in avanti, dà potenza ai motori mentre l’astronave attraversa le nubi, per poi uscirne a grande velocità. E poi le esplosioni in lontananza, i venti in alta quota o tra le fronde degli alberi, i fulmini vicini o lontani, i paesaggi rurali e quelli spaziali: tutti dettagli che, se presi singolarmente, risultano di più facile gestione e permettono di lavorare sulla scena con estrema accuratezza.
TGM: La produzione di un gioco a Tripla A coinvolge un team audio di una certa dimensione. Come ti sei interfacciato con gli altri sound designer? Ci sono suoni sui quali vi siete accordati per unità stilistica?
Daniele Carli: Lavorare con un team di professionisti di alto livello è sempre una bellissima esperienza umana e professionale. Nonostante ognuno sia estremamente concentrato sul proprio lavoro, tra tutti si instaura una sinergia che poi si riflette positivamente sul risultato finale. Questo processo, per poter funzionare, è importante che sia impostato nel modo giusto, seguendo le direttive e le accortezze che il progetto richiede. L’unità stilistica è uno degli aspetti che vanno assolutamente rispettati durante la produzione: nel mio caso, è bastato confrontarmi col mio supervisore ed ascoltare le scene di intermezzo già elaborate, facendomi un’idea sulla gamma di suoni da ottenere e su come gestire il mio lavoro dal punto di vista tecnico. L’esperienza ti aiuta a capire subito le direttive e a rispettarle: poi è tutta una questione di gusto personale, con revisione a lavoro finito.
TGM: Le scene di intermezzo di Destiny 2 sono a dir poco spettacolari. Ci sono differenze tra sonorizzare una cutscene e la sequenza di un film? Preferisci lavorare nel cinema o nei videogiochi?
Daniele Carli: Cinema e videogiochi sono due mondi paralleli ma diversi. Verso i film ho un legame più viscerale: amo poter raccontare storie facendomi trasportare dalle emozioni, descrivendo paesaggi sonori, soggetti, azioni, situazioni; in questo caso, concepisco il suono come strumento narrativo autosufficiente. Per i videogiochi, invece, tutti i frammenti sonori si applicano a un contesto interattivo. Ci vuole un’immensa dedizione, svariate competenze tecniche e una sensibilità artistica decisamente diversa dalla sonorizzazione cinematografica. Una scena di intermezzo è un segmento della storia che deve saper cogliere l’attenzione del giocatore durante una pausa di gioco, offrendogli continuità di coinvolgimento. Si tende quindi ad accentuare la sonorizzazione e il mixaggio stesso per tenere il giocatore incollato allo schermo. In un film, il sound design viene concepito nella globalità della trama, alla ricerca del carattere giusto da imprimere in ogni sequenza, che può variare in intensità, timbri e presenza sonora. Talvolta il suono è prominente e aggressivo, in altri casi discorsivo. In certi momenti basta sottolineare un singolo particolare, come una vecchia sedia a dondolo in mezzo alla stanza; a volte, invece, c’è solo il silenzio, ed è proprio l’assenza di suono a rappresentare la scena. Resta comunque un argomento delicato, perché ci sono diversi generi di film e videogiochi con esigenze analoghe o totalmente diverse. Ogni approccio quindi non è definito a priori: questo è il bello dell’arte.
TGM: Sul fronte della produzione, musica e sound design corrono su binari paralleli o interagiscono? Quando arriva la musica, rispetto al sound design?
Daniele Carli: Nella cinematografia spesso dipende dal film e dal tipo di collaborazione tra il supervisore del suono e il compositore. Talvolta la musica e il sound design procedono su binari diversi, senza un’interazione vera e propria; in altre produzioni, il regista spinge i due dipartimenti a comunicare intensivamente, affinché la musica sia un prolungamento del sound design e viceversa. Blade Runner 2049 o Mad Max: Fury Road sono esempi eccellenti di questo, ma anche Baby Driver sfoggia un’interazione unica, una sincronia con le immagini che diventa il leitmotiv dell’intero film. Ci sono lungometraggi in cui la musica è addirittura in primo piano e il sound design riempitivo, nonostante la scena ne reclami invece una certa intensità. Musica e sound design, come ogni altro elemento tecnico-artistico, sono funzione dell’opera da produrre.
TGM: La tua formazione è anzitutto musicale. Quali sono gli elementi che ti hanno spinto a diventare sound designer e come influisce il tuo background di musicista sul tuo attuale lavoro?
Daniele Carli: Credo che la formazione musicale mi abbia dato la sensibilità per esprimermi creativamente. Lavorare per anni nelle orchestre sinfoniche come timpanista e percussionista, oltre che nelle varie band con cui ho collaborato, mi ha arricchito professionalmente. Sono cresciuto dovendo condividere, per lavoro, le mie emozioni. Ho voluto diventare sound designer per esprimere me stesso attraverso l’uso e la manipolazione del suono. L’ho capito quando abbiamo eseguito Amériques di Varèse al Lingotto di Torino con l’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI. Nel sentire il nostro concerto alla radio, mi sono accorto che il risultato sonoro era molto diverso da quello che percepivo io dalla mia posizione in orchestra: timpani, percussioni, sirene, fruste di legno e tutti gli altri strumenti suonavano insieme come un colpo di cannone. Solo in quel momento ho afferrato l’intenzione del compositore. E questo è ancora l’approccio che cerco quando lavoro alla sonorizzazione di un film: concepire l’insieme.
TGM: Quant’è difficile farsi strada a Hollywood? Che tipo di gavetta è necessaria?
Daniele Carli: Mi sorprende sempre vedere come Los Angeles sia lastricata di realtà lavorative, con professionisti che vincono premi internazionali e lavorano ai franchise più famosi. Gran parte delle produzioni di risonanza globale nascono qui. La città pullula di persone che vengono da tutto il mondo per realizzare i propri progetti, ed è il motivo per cui c’è una concorrenza agguerrita tra professionisti di altissimo livello. In ogni caso, credo ci sia spazio per ogni persona determinata a farsi strada. Però attenzione… Hollywood può sembrare una terra promessa in cui basta poco per avere successo, ma non è così: è difficile entrare negli “studios”; bisogna aver talento, tenacia e molta fortuna per riuscire in un ambiente tra i più competitivi al mondo. Per far gavetta è importante conoscere e farsi apprezzare da chi può darti un’opportunità concreta. È necessario arrivare con un’esperienza lavorativa alle spalle, uno showreel che possa evidenziare le proprie qualità, una grande attitudine alle relazioni e la capacità di cogliere le occasioni.
TGM: In Italia, il sound designer è ancora un mestiere praticabile? Se dovessi dare un consiglio a un aspirante sound designer, quale sarebbe?
Daniele Carli: Il sound designer è un mestiere praticabile in Italia, ma dev’essere incentivato da una produzione più florida. Ultimamente sento parlare di nuove aziende Italiane che nascono per produrre film, videogiochi e realtà virtuale: questo è il fermento che auspico per offrire nuove opportunità ai talenti Italiani. Per iniziare, è importante mettere alla prova la propria creatività con alcuni progetti personali, utilizzando gli strumenti a disposizione, oltre a frequentare corsi che diano conoscenze e prospettive. Poi occorre cercare opportunità lavorative in Italia o all’estero, a qualsiasi livello, per creare un proprio portfolio online: un breve video di due o tre minuti che basti a impressionare chi guarda, tanto da scompigliargli i capelli! Bisogna avere un’attitudine positiva e vincente, non fermarsi mai davanti a niente. Darci dentro per poter superare quei limiti che spesso sono dentro di noi resta la sfida da tenere sempre a mente, anche quando ci si misura con gli studios più importanti.