Torna quel pazzo di Josef Fares e il suo altrettanto vulcanico team di sviluppatori, stavolta con una storia che ci porta a viaggiare fra il fantasy e lo sci-fi. Riuscirà Split Fiction a reggere il confronto con quello che da molti è stato considerato il GOTY del 2021?
Sviluppatore / Publisher: Hazelight / Electronic Arts Prezzo: 49,99€ (Pass Amico incluso) Localizzazione: Completa Multiplayer: Coop online e locale (richiesto) PEGI: 16 Disponibile Su: PC (Steam, Epic Games Store, EA App, Microsoft Store), PlayStation 5, Xbox Series X|S Data di lancio: 6 marzo
Nel 2021, It Takes Two era stato un vero fenomeno inatteso. A Way Out, il gioco precedente di Hazelight, anch’esso con una struttura coop, aveva venduto circa tre milioni e mezzo di copie; numeri niente male per una produzione tutto sommato relativamente piccola, ma che non avrebbero mai potuto far presagire che le avventure di Cody e May, guidati dal Dottor Hakim in un viaggio per cercare di riaccendere la fiamma della loro relazione, arrivassero a piazzare più di venti milioni di unità, che nel complesso – dato il Pass Amico, che permetteva a un altro giocatore di accedere al gioco senza bisogno di acquistarlo – significa circa una quarantina di milioni di giocatori.
Josef Fares e il suo team però non hanno mai avuto intenzione di sedersi sugli allori: promisero infatti che il prossimo gioco sarebbe stato ancora più grande e ancora più fuori di testa. Ora, non so di preciso se esista una scala oggettiva su cui è possibile misurare quanto è “fuori di testa” un gioco, ma di sicuro una cosa di cui non si può accusare Split Fiction è quella di essere a corto di idee.
SPLIT FICTION: A CACCIA DEI GLITCH
Una cosa che trovo interessante di Hazelight è come abbia sempre cambiato genere narrativo fra un gioco e l’altro. Fiabesco per Brothers: A Tale of Two Sons; thriller per A Way Out; storia per bambini ambientata negli spazi casalinghi con It Takes Two e, infine, una divisione a metà fra i regni del fantasy e lo spazio fantascientifico con Split Fiction. In questo caso la giustificazione narrativa viene data dalle due protagoniste, la pragmatica ma solitaria Mio e la solare ma ingenua Zoe, entrambe scrittrici alla ricerca di una casa editrice che pubblichi le loro storie. Dopo l’ennesimo rifiuto, vengono entrambe invitate alla sede principale dell’editore Rader, che segue la tradizionale procedura per la selezione degli scritti chiedendo ai candidati di indossare delle tute bianche e di prendere posizione intorno a una Macchina che permetterà loro di vivere le loro storie in prima persona. Come dite? Non vi sembra che ci sia molto di “tradizionale” in questa procedura? In effetti anche Mio non è tanto convinta, e il suo tentativo di andarsene finisce con un breve tafferuglio e lei che cade nella stessa bolla in cui ora si trova sospesa Zoe.
LA STORIA DI RADER E DELLA SUA MACCHINA È UN RIMANDO AL TEMA DELLE IA GENERATIVE
NE FERISCE PIÙ LA PENNA…
Uno dei temi principali del gioco, infatti, è che la scrittura – e più in generale qualunque atto di creazione – non è mai un atto completamente separato da chi scrive: nelle storie di Mio e Zoe c’è un bel po’ di ciascuna di loro, delle loro passioni, della loro vita, e anche delle loro difficoltà. Qui preferisco non addentrarmi negli spoiler, per permettere ai giocatori di scoprire un po’ alla volta le protagoniste, ma che mi basti un esempio su tutti per far capire che intendo: in una delle storie secondarie, ci ritroveremo nei panni di due dentini in un mondo fatto interamente di dolci, dove saltando fra waffle e ciambelle glassate sopra un lago di cioccolata dobbiamo cercare di raggiungere una enorme torta, che simboleggia il quinto compleanno di Mio. Ebbene, quella volta la piccola Mio ci diede fin troppo dentro con i dolci, e il risultato fu una visita dal dentista, qui metaforicamente rappresentato da un boss finale robotico che sembra uscito da una casa degli orrori.
L’esistenza di una storia secondaria fa presumere anche l’esistenza di una storia primaria, giusto? E in effetti è proprio così: il gioco è diviso in otto capitoli principali, che si dividono alternandosi fra storie di genere fantasy (il genere preferito di Zoe) e di genere sci-fi (il preferito di Mio). All’interno delle storie dei primi cinque capitoli, poi, sarà possibile trovare – standoci un attimo attenti – dei portali che conducono a questi livelli secondari della durata di dieci-quindici minuti circa. Vale assolutamente la pena prendersi il tempo di completare questi contenuti opzionali, perché oltre a raccontarci qualcosa sulle protagoniste sono tutti molto carini, con alcuni in particolare che sarebbe davvero un grosso peccato perdersi, come la storia con il sole che sta diventando una supernova o quella disegnata sul momento dalla narratrice-Zoe. E spesso molte di loro hanno meccaniche di gameplay uniche.
CIASCUN LIVELLO HA MECCANICHE DI GIOCO UNICHE
…NO, OK, MEGLIO LA SPADA
E il sistema già rodato in A Way Out e It Takes Two anche qui funziona alla grande. Se da un lato le meccaniche di Spilt Fiction non raggiungono mai una particolare complessità, dall’altro questo è comprensibile alla luce di una straordinaria varietà delle situazioni di gioco, e dall’inevitabile ilarità che queste situazioni finiscono per causare (vi dico solo che quando è saltato fuori il captcha io e Alessandro stavamo morendo dal ridere. Capirete giocandoci). Una cosa su cui punta tantissimo il gioco, come già faceva il suo predecessore ma qui forse portandolo ancora oltre, è la spettacolarità visiva. Qua va fatto merito a Hazelight di aver usato molto bene gli strumenti a sua disposizione: chi è più attento alla potenza tecnologica potrebbe avere qualche appunto da fare su, per esempio, la netta differenza fra la qualità delle animazioni delle due protagoniste e quella dei comprimari come ad esempio Rader, o ancora sulla scarsa interattività del mondo di gioco al di là di quegli elementi previsti per fini di gameplay, ma la verità è che tutto questo svanisce di fronte a dei capitoli che fanno della spettacolarità della messa a schermo il loro mantra.
PREPARATEVI, PERCHÉ SULLO SCHERMO SUCCEDERÀ DAVVERO DI TUTTO
Torniamo un attimo alla domanda in apertura di recensione: ma quindi, come si pone Split Fiction rispetto a It Takes Two? La mia risposta è… siamo lì. Una cosa che ho trovato più impattante fin da subito in It Takes Two è sicuramente la storia, ma questo ha più a che fare con il tema scelto che con gli intrecci narrativi in sé: la bambina triste perché i genitori stanno attraversando un momento difficile tocca con molta più facilità le corde dell’anima rispetto alla storia di due scrittrici che fanno introspezione tramite le loro storie.
MIO E ZOE SONO DUE OTTIME PROTAGONISTE, BEN DOPPIATE IN ITALIANO

In questa sezione, Zoe è una palla, mentre Mio controlla i meccanismi di un flipper fuori di testa. Non perdete tempo a farvi domande!
Ma al di là dei dilemmi esistenziali su quale dei due giochi riesca a strappare l’ambitissimo premio di preferito del qui presente recensore, una cosa è certa: Split Fiction è senza la minima ombra di dubbio anch’esso un gioco fenomenale, i cui occasionali difetti (controlli in alcuni casi non precisissimi, QTE talvolta evitabili) sono davvero pochissima cosa se comparati a tutto il resto che il gioco ha da offrire nelle sue circa 13 ore di gioco. Fra titani come Monster Hunter Wilds e Grand Theft Auto 6, quest’anno la concorrenza sul palco dei The Game Awards sarà bella agguerrita, quindi è difficile prevedere se Josef Fares e Hazelight riusciranno a ripetere il loro exploit del 2021. Ma di sicuro quello che abbiamo qui davanti è uno sfidante più che legittimo.
In Breve: Casomai ce ne fosse bisogno, Split Fiction è la dimostrazione che il successo raggiunto da Hazelight con It Takes Two non era uno scherzo del destino: nello studio svedese di gente che sa fare il suo mestiere ce n’è eccome, e qui ne danno gran prova. Con i loro salti fra diversi contesti narrativi, le avventure di Mio e Zoe sono di quelle che rimarranno a lungo impresse nella mente dei giocatori grazie alla loro varietà, alla spettacolarità della messa in scena, e a due protagoniste a cui è davvero difficile non finire per volere bene.
Piattaforma di Prova: PC
Configurazione di Prova: Ryzen 5 3600, 16 GB di RAM, GeForce RTX 3060, SSD
Com’è, Come Gira: Split Fiction è un gioco che sfrutta molto bene le sue risorse: dettaglio grafico non ai vertici massimi del settore ma bello al punto giusto, direzione artistica di ottimo livello, parti in movimento belle scenografiche, e ottimizzazione su cui non ho nulla da ridire – gli screen che vedete qui intorno sono stati presi con il preset su Alto. Ad averne di più giochi così.