Magari non ve l’hanno mai detto per farvi stare buoni, ma ventisei anni fa il mondo dei videogiochi era una figata assurda. Tantissime piattaforme, tantissime esclusive, tantissime maniere per investire soldi in titoli bellissimi: il Pc Engine poteva bearsi con l’incredibile Chi no Rondo, la guerra tra SNK e Capcom iniziava a sparare le migliori bordate con il debutto di Garou Densetsu Special su Neo Geo e Doom trasformava il serioso PC di genitori e fratelli maggiori in un indispensabile generatore di sangue e adrenalina. In tutto questo, Nintendo sviluppa The Legend of Zelda: Link’s Awakening su Game Boy senza concessioni di sorta, comprimendo nella risicata memoria della fortunata console portatile tutta l’avventura dei precedenti episodi grazie a un dream team sensazionale con a capo l’inossidabile Takashi Tezuka. Il gioco diventa subito un oggetto di culto, tanto da meritarsi un brillante aggiornamento su Game Boy Color; con il passare di anni e tecnologie viene reso disponibile anche in formato digitale per 3DS, qualificandosi istantaneamente come imprescindibile acquisto per tutti quelli che si erano presentati tardi alla festa, per un motivo e l’altro. E ora?
IMMORTALE
Ora The Legend of Zelda: Link’s Awakening è tornato su Switch grazie all’opera di Grezzo, uno studio che negli scorsi anni ha dimostrato di saperci fare con le edizioni portatili di alcuni tra i più importanti episodi dell’interminabile saga di Zelda. Non si tratta di un’opera di restaurazione pigra a base di filtri grafici e scanline fasulle, dato che il “nuovo” Link’s Awakening è un vero e proprio remake, scritto da zero e bello come il sole, almeno da fermo. Questo perché i primi minuti del gioco sono un po’ scioccanti: Link si risveglia per la prima volta lontano da Hyrule, sulla spiaggia dell’isola di Koholint, e subito il nuovo look ti scioglie il cuore. I personaggi e il paesaggio sembrano usciti fuori dalla vetrina di un negozio di giocattoli e danno vita sullo schermo a un vero e proprio diorama animato, coloratissimo e splendidamente ricco di personalità, mentre un’incantevole versione strumentale del classico overworld theme ti ricorda il motivo per cui la foto di Koji Kondo appare inequivocabilmente come primo risultato quando cerchi “essere onnipotente” su Google.
subito il nuovo look ti scioglie il cuore
Poi inizia l’azione, e la fluidità accusa il colpo, con trenta fotogrammi al secondo che mostrano visibili incertezze nel villaggio Mabe e nell’esplorazione delle aree più “impegnative”, specialmente quando si inizia a mulinare la spada e tagliare ciuffi d’erba. Nei dungeon la stabilità è garantita, ma ammetto che ci ho messo un po’ ad abituarmi a un framerate che non mi sarei mai aspettato di trovare in un prodotto Nintendo, specialmente uno con il nome “Zelda” stampato sulla confezione. Dopo aver completato l’avventura
penso comunque che valga la pena chiudere un occhio, specialmente se non avete mai giocato
The Legend of Zelda: Link’s Awakening nelle sue precedenti incarnazioni. È un episodio particolare e decisamente unico, una vera e propria gemma caratterizzata da un’anima anarchica e selvaggia, ricca di riferimenti all’infinito lore
Nintendo e ben disposta a rompere la quarta parete per raccontare una storia misteriosa, fiabesca e a tratti dolcissima. È soprattutto uno
Zelda vecchio stile, quello con un mondo di gioco costellato da ostacoli di ogni tipo come buche o massi, da superare acquisendo mano a mano una serie di familiari strumenti quali bombe, boomerang e frecce con cui centrare gli immancabili nemici monoculari, proprio come si faceva una volta. In altre parole (e a scanso di equivoci, ché magari qualcuno ha conosciuto la serie solo recentemente) si tratta di un titolo
assai diverso da Breath of the Wild, il che è comprensibile dato che si pone il traguardo di ricreare il gioco originale senza particolari stravolgimenti, proponendo alle nuove generazioni un pezzo di storia nella maniera più appetibile possibile.
COMODA LA VITA
Questo avviene principalmente proponendo una veste grafica accattivante, un traguardo complessivamente tagliato con successo al netto delle incertezze sul fronte della fluidità a cui accennavamo inizialmente. Poi, ovviamente, migliorando l’usabilità: pare quasi una follia oggigiorno, ma è necessario ricordare che il primo Game Boy possedeva solo due pulsanti, escludendo i classici Start e Select. Questo si traduceva in continui e snervanti accessi alla schermata di pausa per selezionare gli oggetti da utilizzare, un’operazione che Switch rende assai più snella e intuitiva. Spada, scudo e corsa (quest’ultima dopo aver ottenuto l’apposito oggetto, ça va sans dire) sono abbinati ad altrettanti tasti, mentre non è più necessario equipaggiare il braccialetto del potere per sollevare macigni e ostacoli visto che Link si occuperà da solo del sollevamento pesi, a patto di possedere nell’inventario il magico gioiello. Ai pulsanti Y e X viene dunque assegnato il ruolo di tuttofare, e possono essere adibiti ad altrettanti strumenti, rendendo la navigazione e il combattimento estremamente più fluide e appaganti rispetto al passato.
ricreare l’esperienza originale senza particolari stravolgimenti, proponendo alle nuove generazioni un pezzo di storia nella maniera più appetibile possibile
Al rinnovamento non sfugge l’interfaccia, con una
mappa più chiara, leggibile e ingrandibile, popolata peraltro da un quantitativo di glifi del teletrasporto maggiore per limitare il backtracking e offrire un servizio di spostamento rapido più capillare. Questa può anche essere personalizzata ponendo marcatori di vario tipo, tanto per non dimenticare quella caverna appena scoperta con un tesoro momentaneamente irraggiungibile, mentre una sorta di diario permette di riascoltare gli ultimi dialoghi dei NPC. Inoltre sono state introdotte le bottiglie con cui catturare le fate per fare il pieno di energia nel momento del bisogno, un elemento che oggi diamo per scontato ma che nel 1993 proprio non era riuscito a trovare posto nel codice dell’originale. Alla fine della fiera, per quanto io ami con tutto il cuore l’originale per Game Boy, posso tranquillamente affermare che queste semplici ma fondamentali aggiunte rendono il gioco nettamente più godibile; nel caso pensiate che tutto questo ben di dio possa in qualche modo rendere l’esperienza semplicemente banale e non solo meno farraginosa, sappiate che
è possibile iniziare l’avventura in modalità eroe, affrontando nemici che picchiano durissimo e senza cuori ristoratori nei paraggi. Tornando un attimo sulla grafica e sull’ambientazione in generale, lo spostamento non avviene più a singole schermate e
il mondo di gioco scrolla liberamente nelle otto direzioni offrendo uno spettacolo davvero affascinante, caratterizzato da una grande cura nei particolari (gli interni delle abitazioni sono curatissimi) e da un convincente uso di colori e illuminazione, specialmente in prossimità dei corsi d’acqua. Il rovescio della medaglia è legato però alla natura stessa del gioco: essendo il remake 1:1 di un titolo uscito su un sistema infinitamente meno performante di
Switch,
la mappa è sì ricca di segreti, tuttavia sicuramente non enorme. È ovviamente presente il bellissimo – nonché opzionale – dungeon cromatico introdotto nel successivo
The Legend of Zelda: Link’s Awakening DX per
Game Boy Color, ma se vi basta puntare dritti verso il finale tralasciando la caccia ai frammenti di cuore e a potenziamenti vari, sicuramente assisterete ai titoli di coda in una risicata manciata di sessioni. E sarebbe un peccato, giacché i segreti sono presenti in numero maggiore a partire dalle celebri conchiglie, in origine necessarie per mettere le grinfie sulla spada più potente. Per venire incontro a chi non ama andare alla ricerca del proverbiale ago nel pagliaio, è stato introdotto un pratico rilevatore che si fa vivo quando uno dei preziosi gusci è nei paraggi: per averlo basta “solamente” trovare i primi venti esemplari senza aiuti…
DUNGEON KEEPER
Per aumentare la longevità è dunque stata dunque introdotta la creazione dei dungeon, un sottogioco da intraprendere presso la capanna di Dampé, il becchino inizialmente incontrato in Ocarina of Time, qui in fissa con tutto quello che riguarda le avventure nel sottosuolo.
Per quanto io ami con tutto il cuore l’originale per Game Boy, queste semplici ma fondamentali aggiunte rendono il gioco nettamente più godibile
Facendogli visita potremo dunque organizzare apposite tessere che rappresentano passaggi e stanze attraversate nel nostro girovagare per creare dedali sempre più contorti, rispettando di volta in volta le indicazioni del padrone di casa e successivamente affrontando di persona il frutto del nostro lavoro. È anche previsto il supporto degli amiibo per salvare e caricare le nostre creazioni e scambiarle con gli amici, senza contare che tessere uniche potranno essere riscattate dalle statuette appartenenti alla serie The Legend of Zelda.
È una bella idea, ma non convince del tutto; oggettivamente il punto di forza delle segrete “ufficiali” è il perfetto level design che propone enigmi inizialmente insormontabili, da risolvere combinando in modo creativo oggetti e combattimento, possibilmente sperimentando le potenzialità del nuovo strumento che puntualmente ci aspetta nascosto in qualche remoto baule. Qui
la collezione di stanze e corridoi è composta da scenari già visti e affrontati durante l’avventura, una situazione che uccide in partenza il gusto della scoperta perché, semplicemente, ogni labirinto creato sarà un semplice remix di situazioni conosciute. Non solo: ogni tessera propone una sfida auto conclusiva (uccidi i nemici per ottenere la piccola chiave o aprire lo scrigno, per esempio), impossibile dunque da collegare in qualche modo alle altre stanze con un filo logico per creare catene di enigmi. Considerando che lo stesso
The Legend of Zelda: Link’s Awakening vanta alcuni tra i dungeon più diabolici dell’epoca pre
Ocarina of Time, il paragone che viene a crearsi tra il lavoro di Nintendo e le creazioni fatte in case risulterà inevitabilmente impietoso. Va detto che l’editor è chiaro e piacevole da utilizzare, catalogando a prova di errore le varie tessere per orientamento, numero di uscite e la presenza o meno di serrature o scrigni, ma l’agognata varietà arriverà principalmente dalle sempre più bizzarre richieste di Dampé, rendendo alla lunga l’atto della progettazione ben più divertente e stuzzicante della prova su strada. Che poi la stamberga ove giocherete al piccolo architetto sorge dove una volta (beh, almeno nel remake su Game Boy Color) c’era lo studio del topastro fotografo, assente dunque in questo remake: non che sia una grande perdita, ma valeva la pena segnalare la defezione del roditore a puristi ed eventuali fan.
The Legend of Zelda: Link’s Awakening è una riscrittura eseguita a regola d’arte che migliora in tutto e per tutto l’esperienza originale e la rende attuale grazie a un’apprezzabilissima serie di migliorie. La fluidità durante l’esplorazione della mappa poteva e doveva essere curata meglio, ma complessivamente lo splendore audiovisivo e il carisma di un capitolo tanto particolare spingono a fare un piccolo sacrificio. Uno Zelda tra i più classici, dunque, che rappresenta un piacevole tuffo nel passato nonché un acquisto consigliato ai fan della saga.