The Solus Project - Recensione

PC PS4 Xbox One

Esattamente un anno fa sono andato in vacanza sulle morbide colline di Gliese-6143-C: località graziosa, bel mare, spiagge pulite, poco turismo, forse un po’ monotona. Si tratta dell’ambientazione di The Solus Project, survival esplorativo spaziale “atterrato” da 12 mesi su Steam dove ha riscosso un certo successo tra gli appassionati di sci-fi. Io l’ho apprezzato e recensito con grande piacere. Al tempo, nondimeno, non ho potuto provare la feature principale del titolo, ovvero la mirabolante dimensione della realtà virtuale. Ricco di spirito di iniziativa, ma povero di danaro, mi sono accontentato della versione su schermo convenzionale.

In occasione della recente uscita del titolo su piattaforma Sony, invece, ho avuto modo di testarlo con PlayStation VR e di godermi così un’altra gitarella a Gliese-6143-C con tutta la tridimensionalità del caso. La versione PS4, infatti, permette di giocare a The Solus Project sia nella sua “piatta” normalità, che sfruttando tutte le caratteristiche della realtà virtuale. Per non farsi mancare niente, il titolo in versione VR va giocato con due Playstation Move che simulano i movimenti delle braccia del protagonista.

IL PROGETTO SOLUS

Un piccolo riassunto della puntata precedente, ovvero: “Cos’è The Solus Project?”. La Terra è spacciata… Ancora una volta. Siamo in troppi e chiediamo un tributo troppo alto a un ecosistema sovrasfruttato che, pertanto, ha “deciso” di collassare, senza preavviso. Il progetto Solus si propone di trovare un pianeta abitabile per la razza umana, e Gliese-6143-C pare proprio “un buon partito”. Peccato che l’astronave del protagonista venga abbattuta da un nemico invisibile mentre sorvola i cieli lillà del pianeta, e precipiti sul corpo celeste. Di lì in poi, l’innominato eroe dovrà cavarsela da solo, diviso tra due compiti particolarmente pressanti: assicurare la sopravvivenza dell’umanità stabilendo la vivibilità del pianeta e cercare di restare in salute abbastanza a lungo da comunicarlo alla nave madre.the solus project ps4 trailer lancio

la componente survival dà più noie che altro

I due obiettivi sopraccitati resteranno fondamentali per tutta la durata dell’avventura. The Solus Project richiede dunque una meticolosa esplorazione del corpo celeste; allo stesso tempo, però, il substrato survival ci ricorda che – essendo umani in tutto e per tutto – dobbiamo bere, mangiare, riposarci e, possibilmente, trovarci al coperto quando si scatenano tempeste di fulmini o di meteore. Delle due, l’anima esplorativa del titolo è sicuramente la più riuscita: il pianeta è affascinante e colmo di riferimenti inquietanti, nonché antropologicamente curiosi. La componente survival, invece, dà più noie che altro, ma fortunatamente non è troppo pressante; rappresenta una parte talmente marginale del titolo che viene spesso da chiedersi se fosse davvero fondamentale inserirla o se non sarebbe stato meglio puntare sull’esplorazione “dura e pura”.

UNA TERRIFICANTE GITA IN MONTAGNA

Il titolo è in tutto e per tutto identico alla versione pubblicata un anno fa. Il valore aggiunto, ovviamente, deriva dal giocarlo una seconda volta in modalità VR. Calcato il caschetto e impugnato il pad iniziano subito le sorprese, di quelle che non ti aspetti: il gioco (come già anticipato) si comanda tramite i PlayStation Move. Solo quelli.Il sangue si raggela, perché la mappatura dei tasti e il movimento nello spazio puzzano di incubo immediatamente. E così è, difatti: i tasti sono assegnati in modo quantomeno “creativo”, e inizialmente ci si trova a compiere azioni sciocche come lanciare sassi, girarsi improvvisamente a trecentosessanta gradi, accucciarsi sopra a falò accesi o a correre a perdifiato verso crepacci mortali.

Il titolo è identico alla versione rilasciata un anno fa. Il valore aggiunto, ovviamente, deriva dal giocarlo una seconda volta in modalità VR

Ci vuole qualche ora per entrare in sintonia, soprattutto per quanto riguarda il movimento del protagonista, che funziona sia con un “teleport” punta e clicca, comodo ma molto legnoso, sia con un singolo tasto che permette di camminare nella direzione in cui guarda la testa. Questo secondo sistema di navigazione risponde sorprendentemente bene, il resto dei comandi, invece, ci mette un po’ di più per diventare “naturale”. Controllare i movimenti del personaggio non è l’unico “tormento”: c’è qualche problemino – esilarante – con le compenetrazioni (ci si può letteralmente “affacciare” oltre un muro entrando con la testa nella roccia) e va segnalato un HUD tutt’altro che leggibile.

C’è poi un altro interessante paradosso che riguarda specificatamente l’esperienza in realtà virtuale. Come detto, The Solus Project è un titolo in cui l’esplorazione è protagonista e buona parte delle nostre gite si svolge in intricatissime grotte sotterranee, tra cunicoli bui tutti uguali nel ventre di montagne gigantesche (viuzze strette e anguste, illuminate solo dalla flebile luce della torcia o dalla luminescenza naturale delle gemme incastonate nella roccia). In queste situazioni si è costretti a confrontarsi con la paura del buio e a vincerla, se possibile.

Una volta nel cuore di tenebra delle caverne, difficilmente si esce senza sforzi

Molto del tempo viene trascorso fuggendo da rumori decisamente poco umani che provengono dall’oscurità e rimbalzano sulle pareti. C’è inoltre la concreta possibilità di perdersi, perché non ci sono mappe, indicazioni a schermo, riferimenti visivi che rivelano se un’area sia stata o meno visitata. Una volta inoltrati nel cuore di tenebra di queste caverne, difficilmente se ne esce senza sforzi. Si viene, (quasi) letteralmente, inghiottiti. E questo – benché affascinante, claustrofobico e verosimile – si rivela una scocciatura non da poco: non c’è nulla di divertente nel passare pomeriggi interi cercando di evadere da corridoi all’apparenza tutti uguali: è un’esperienza frustrante, noiosa ed estrema. Essere “dentro”, vivere questa sensazione angosciosa in prima persona, è profondamente diverso rispetto all’esperienza tradizionale. Ho quasi avuto un attacco di panico dopo aver perso completamente i riferimenti visivi nel ventre della montagna ed essermi trovato a sguazzare in una pozza d’acqua scura come la notte. Può apparire decisamente “cool” quando raccontato, ma a essere là non faceva affatto ridere.

Questo, dunque, è il pepe di un’esperienza VR che – altrimenti – non offre spunti tali da spingerci a rigiocare una produzione interessante, ma di certo non imperdibile. Quest’ultima affermazione assume maggior valore alla luce di una resa visiva in realtà virtuale non sorprendente come ci si aspetterebbe: la sensazione di tridimensionalità nell’ambiente è forse tra le meno marcate che mi sia capitato di provare da quando ho acquistato PlayStation VR. The Solus Project non è certo il titolo che farei provare agli amici per dimostrare che, in fondo, non sono stato pazzo a spendere 400 euro. Se si aggiunge una realizzazione tecnica non proprio perfetta e caricamenti davvero lunghissimi (su PS4 Pro), il titolo di Teotl Studios è tutt’altro che una godibile scampagnata aliena; sembra piuttosto di trovarsi nei panni di una delle protagoniste del bellissimo The Descent.

The Solus Project resta un titolo affascinante, ma anche su PS4 sconta gli stessi difetti della release originale (ripetitività di fondo e un sistema survival deludente) e vanta gli stessi pregi (l’ambientazione affascinante). Inoltre, quando si indossa il caschetto ci si scontra con una mappatura dei tasti – inizialmente – da incubo, qualche errorino di concetto e una interessante declinazione del tema horror che, potenzialmente, diventa fin troppo frustrante e claustrofobico.

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Pro

  • Ambientazione interessante e affascinante.
  • Longevo e impegnativo.

Contro

  • Qualche errore di forma.
  • A volte diventa frustrante girare a vuoto, specialmente in VR.
7

Buono

Avete presente quelle persone che sembrano un po’ ciula, ma poi non lo sono affatto? Ecco… non è il caso di Fabio, battezzato in tanti di quei modi da fare il giro (scegliete voi tra De Luigi, Stefano Accorsi o Stanis). Per lo meno ci mette l’anima, nonostante proprio non gli riesca di pronunciare “pala eolica” come a tutti i comuni mortali.

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