They Are Billions è un gioco che se provi a decostruirlo ti spacca il cervello. Le due anime, una di RTS e l’altra di city builder, sono due cuori che pompano doppia energia, ma non sempre all’unisono, scoprendo a tratti un’aritmia che ti spiazza, grezza come una pietra preziosa appena raccolta e non raffinata, attraente, affascinante, ma ruvida e dai contorni taglienti.
GRANDI NELL’ADDIO
L’ambientazione ci porta un paio di secoli nel futuro, dopo un classico cataclisma zombie la cui origine è ormai andata persa insieme alla maggior parte della civiltà umana. Perduta è anche il grosso della scienza moderna, sostituita da una tecnologia dalle forte note steampunk che pervadono ogni costruzione e unità su schermo, bellissime da vedere. I sopravvissuti sono rintanati all’interno di un cratere, protetti dalle alte pareti di un vulcano ormai spento, luogo ideale per dare vita al nuovo Impero degli Umani, che poi tanto impero non è visto che stiamo parlando di una città sola. La semantica, questa sconosciuta. Qui entriamo in gioco noi, come comandante volontariamente assegnatosi l’incarico in cui tanti prima di noi hanno fallito: ristabilire la superiorità sui non morti cacciandoli da territori dove fonderemo nuove colonie autosufficienti, sia come difese che come risorse. For the Humans!
La scelta di limitare le meccaniche city builder a pochi aspetti chiave mantiene il giocatore ben concentrato sulla costante minaccia zombie
La componente gestionale pesca a piene mani dalla tradizione del genere, avvicinandosi a classici come la serie The Settlers; iniziamo con niente altro che il centro di comando e dobbiamo costruire abitazioni, edifici per la raccolta di risorse e per la difesa della colonia.
L’accento è posto sul ciclo di espansione da un piccolo centro a una comunità consolidata: i cittadini hanno bisogno di case e cibo e forniscono oro necessario per erigere altre costruzioni, le quali a loro volta richiedono materiali come legno, pietra o, più avanti nella campagna, petrolio. Non è necessario stabilire complesse catene produttive o mantenere delicati equilibri di felicità come nei vari Anno o Tropico: i cittadini di questo futuro distopico non si scoraggiano anche se devono lavorare in lande desolate o se si ritrovano dei “diversamente vivi” nelle vicinanze. Ne scappano a gambe levate, certo, ma non per questo vanno in sciopero. Vorrei vedere voi. La scelta di limitare le meccaniche city builder a pochi aspetti chiave si rivela vincente perché mantiene il giocatore ben concentrato su pochi elementi essenziali senza distoglierlo dalla costante minaccia nemica; un eventuale fallimento, sempre alla porta, è facilmente attribuibile a un proprio errore. Il design delle mappe garantisce grande freschezza, con diversi biomi che portano dirette conseguenze in fase di costruzione: un terreno dove i boschi la fanno da padrone è ben diverso da un canyon con fiume annesso o oscure montagne basaltiche dove le risorse minerali sono più facili da reperire del cibo. Nonostante la grande differenza tra i numerosi scenari,
Numantian Games è in qualche modo riuscita a mantenere un ottimo bilanciamento tra le risorse a disposizione e quelle necessarie per la crescita e la vittoria finale. Mica facile. Dalle immagini a corredo potete apprezzare lo stile grafico e in generale una direzione artistica molto curata e originale, che offre anche ricchezza di dettagli nelle animazioni, sia degli gli edifici sia dei soldati e cittadini, restituendo la sensazione di un insediamento vivo e in lotta per rimanere tale nonostante la immanità del pericolo da affrontare.
TUTTO IL RESTO È NOIA
Meno apprezzabile per varietà è la parte RTS di They Are Billions, le cui unità militari si limitano a una mezza dozzina, divise a metà tra combattenti base e avanzati, per cui durante una consistente parte della campagna abbiamo a disposizione solo tre tipi di truppe. Tutto sommato, però, non credo neanche sia questo il difetto principale del gioco, bensì la ripetitività della maggior parte delle missioni. Il canovaccio vuole infatti che quasi ognuno dei ventitre livelli in cui costruiamo colonie (vedremo gli altri tipi più avanti) sia infestato da una quantità massiccia di infetti, che vanno eliminati per stabilire un perimetro di difesa prima dell’arrivo di massicce orde che portano ai nostri cancelli centinaia se non migliaia di zombie alla volta: in questo They Are Billions fa fede al proprio nome. Lo scandire del tempo tra le ondate di nemici mantiene la tensione alta e porta costantemente a chiedersi quando arriva il momento opportuno per smettere di espandere la base per implementare le difese necessarie: farò in tempo ad arrivare a quella miniera di ferro? Devo triplicare i muri? Quale lato sto lasciando scoperto? Il livello di allerta è poi sempre al massimo per via della brutalità di questo gioco: non solo i non morti sono tantissimi, ma basta che pochi di loro riescano a fare breccia tra le maglie delle nostre difese per far diffondere l’infestazione fino al cuore del nostro insediamento con relativo fallimento dell’intera missione. Missione che può durare anche due ore o più, e che andrà riaffrontata da capo per via del sistema di salvataggio che non permette di recuperare salvataggi a metà livello. Ritengo che la difficoltà elevata non sia né un difetto né un pregio, quanto piuttosto una cifra distintiva, anche perché è comunicata con chiarezza fin dal principio; sappiate quindi che They Are Billions è bello tosto, e al minimo errore perderete ore di gioco. Personalmente, “not my cup of tea”, ma se vi piace accomodatevi pure, vi troverete benissimo.
Passare intere mezz’ore ad affrontare scontri con piccoli gruppi di infetti non richiede abilità strategica ma solo certosina pazienza che rasenta il tedio
L’aspetto invece tecnicamente meno riuscito è il combattimento vero e proprio: durante le lunghe fasi di esplorazione della mappa la buona riuscita non dipende da capacità militari, ma è semplicemente necessario avere abbastanza soldati e sufficiente calma per non trovarsi del tutto circondati. Dover passare intere mezz’ore ad affrontare tale processo di certosina pazienza rasenta il tedioso, mentre durante le periodiche ondate l’adrenalina scorre a fiumi vista l’entità della minaccia, ma anche in questo caso non ho mai dovuto impiegare strategie degne di questo nome, solo dispiegare una quantità sufficiente di forze. Al massimo
si possono sfruttare alcune semplici manovre di micro-management per approfittare dello scarso livello di intelligenza con cui ci confrontiamo, ma sembra quasi di approfittare di un banale trucchetto più che di implementare manovre da comandante veterano di mille battaglie. Anche gli obiettivi da portare a termine sono una continua ripetizione dei seguenti tre: raggiungere una popolazione minima, fare piazza pulita di infetti e resistere alle loro orde; considerando la lunghezza di ogni missione, la permutazione di tali scopi unita alla varietà delle mappe non riesce ad evitare, sulla lunga, una sensazione di affaticamento, visto che si finisce per ripetere la stessa routine declinata secondo toni molto simili.
Sarebbe dunque stato opportuno un taglio alla quantità di contenuti, spostando magari alcuni scenari dalla campagna alla modalità survival, dove si giocano livelli singoli in cui l’intero albero tecnologico è sbloccato. Già, quasi me ne scordavo: ogni missione fornisce punti vittoria e punti tecnologia da investire per sbloccare nuovi miglioramenti, edifici, unità, all’interno di un albero tecnologico dalle ramificazioni numerose e profonde, il che aggiunge una componente – questa sì – strategica che può influenzare la propria impostazione di gioco sul lungo periodo, portando a scelte ponderate e mai scontate. Oltre alle missioni canoniche abbiamo anche livelli più incentrati sul tower defence e altri sull’esplorazione di fortezze abbandonate con il nostro eroe, un po’ come nelle missioni di Star Craft in cui comandavamo Kerrigan o Zaratul. Ah, lucciconi! E purtroppo, lucciconi davvero, perché questi scenari sono incentrati sul combattimento, che, quasi del tutto privo di abilità speciali, tende di nuovo a diventare un maniacale esercizio di toccata e fuga per ripulire laboratori e corridoi strapieni di zombie. Come diceva Califano?
They Are Billions mescola un ritmo da city builder con la tensione di un souls-like (ecco, sono riuscito a tirarli in mezzo!) in salsa strategica, e per farlo purifica entrambi i generi filtrandone l’essenza più basilare. Nel cocktail che ne esce, la parte gestionale è quella che dà più gusto, mentre l’altra ne esce diluita, appiattita e ridotta a una questione di quantità invece che di qualità. Rimane comunque un titolo dalla forte personalità, anche estetica, che gode di un carisma tutto suo, fiero dei propri tratti distintivi e di non scendere a compromessi.