Tom Clancy's Ghost Recon Wildlands - Recensione e Videorecensione

PC PS4 Xbox One

La sostanza di Ghost Recon Wildlands mi ha fatto sognare un gioco in stile Operation Flashopoint, o se volete ArmA, ma con la potenza tecnica e il colpo d’occhio moderno del titolo Ubisoft. L’erede della gloriosa serie (alquanto bistrattata, con mille cambi di registro) offre momenti di pura esaltazione tattica che, seppur formalmente imperfetti, si uniscono alla rara bellezza e dimensione dello scenario per un risultato complessivamente imperdibile, nonostante tutti i distinguo che avrò modo di porre.

In passato, peraltro, ho anche sognato un’evoluzione stealth per Assassin’s Creed o un Watch_Dogs che diventava davvero un noir tecnologico, ed è stato dunque facile svegliarmi: Ghost Recon Wildlands offre tantissimo nell’interpretazione strategica dello scenario, e almeno sul piano del carisma riesce a mantenere intatte le promesse, ma la magnifica e continua sequenza di meraviglie scenografiche – e di duttili soluzioni strategiche – avrebbe beneficiato di una maggiore attenzione ai dettagli, pur mantenendo intatta la sostanziale ignoranza di fondo. Ghost Recon Wildlands è uno sparatutto cooperativo che ricorda spesso le sue radici, usandole come veicolo di emozioni forti, ma fa anche prestissimo a dimenticarle.

LA VISIONE DI EL SUENO

Dimenticate, senza tuttavia dar troppa importanza alla cosa, i riferimenti nobili scomodati su Narcos o addirittura sul meglio di Don Winslow, che pure ha collaborato con la scrittura del soggetto. Da una parte ci sono i “sicarios”, il cui nome, solo qualche anno fa, sarebbe stato tradotto con “scagnozzi”, dall’altra il continuo riferimento al concetto di “narcostato”, sogno di Escobar realizzato in Bolivia dal possente ma intellettualmente raffinato El Sueno, boss del fittizio cartello Santa Blanca. Facile riconoscere in lui i tratti fisici e il fare calmo e quasi mistico del Colonnello Kurtz di Apocalypse Now (o del nostro capitan Todeschini, tatuaggi e muscoli a parte), senza però altri approfondimenti se non, appunto, quelli che servono a motivare in modo relativamente vario la sequela di missioni.

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La trama gira intorno alla formazione di un narcostato, sogno di Escobar realizzato in Bolivia dal possente ma intellettualmente raffinato El Sueno

D’altra parte, la struttura di Ghost Recon Wildlands è così lampante, fin dall’organigramma del cartello, che tutto quel che segue riesce persino a sorprendere, nonostante l’ovvietà di fondo: non si tratta sempre e solo di boss da uccidere, e anzi, una volta arrivati ai vertici di ogni regione di influenza, non è raro trovarsi di fronte a personaggi che si sono trovati immischiati nel traffico di droga per motivi diversi dal puro istinto criminale, magari per un controverso scopo umanitario o un’ambizione cinica a là Walter White. La catena di eventi non è lineare, legata com’è a un certo numero di “buchon” minori da scovare per incontrare i personaggi chiave e, di conseguenza, El Sueno in persona; è dunque possibile completare il gioco una prima volta passando liberamente per gli eventi e le aree geografiche (più che i boss, inizialmente oscurati) che ci sembrano più invitanti, per poi accedere a una parvenza di end game che non mi sento ancora di spoilerare, se non nel merito della longevità che vedremo più avanti. Per il resto, i miei sono tutt’altro che spoiler: a fronte di quattro aree di competenza per la produzione e lo smercio di droga, le schermate ci informano sulla necessità di mettere fuori gioco cinque boss minori per ognuna, così da sbloccare almeno due personaggi di spicco dell’organizzazione e sfidare il boss dei boss. Se i segreti dell’organizzazione Santa Blanca sono tanti, per il giocatore sono molto meno.

SU E GIÙ PER IL NARCOSTATO

Più che per questioni di reale rilevanza, ho voluto analizzare la proposta narrativa e la struttura per dovere di completezza: fra le cose che possiamo senz’altro concedere a Ghost Recon Wildlands, al di là di una trama in fin conti dignitosa, è la gestione non troppo cervellotica dell’imponente offerta d’azione, per cui non ci sarà mai un momento in cui non avrete qualcosa da fare o da vedere, che sia una delle innumerevoli missioni principali, una scaramuccia di supporto ai ribelli o anche solo la distruzione di una contraerea per decollare tranquilli. Le azioni di infiltrazione, scorta di personaggi, distruzione/requisizione veicoli o semplice uccisione del boss di turno (questi, in effetti, sono gli obiettivi più frequenti) si mischiano alla ricerca più approfondita di risorse nelle ambientazioni, efficacemente associate ai punti skill per sbloccare le varie abilità e instillare, così, una vera – benché temporanea – assuefazione da crescita del personaggio.

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Il punto di climax di Ghost Recon Wildlands viene raggiunto nelle partite cooperative, vero fulcro del gioco

Naturalmente, però, come praticamente tutti i diari hanno messo in evidenza (ecco il mio, quello di Claudio, di Marco e di Davide), il punto di climax di Ghost Recon Wildlands viene raggiunto nelle partite cooperative, quando il sistema di danni semi-realistico (per la fanteria; la fisica e i danni dei veicoli, invece, sono un po’ approssimativi) costringe a mettere da parte il cazzeggio in chat, e in un attimo ci troviamo trasformati in una vera squadra di specialisti. Il tempo delle ultime battute stupide in elicottero, comunque migliori delle barzellette di uno dei commilitoni artificiali, e il drone è già in volo per identificare i nemici: magari la squadra si divide in due, per supportare sulla distanza i compagni che si infiltrano nella base nemica, oppure possiamo scegliere di taggare i quattro criminali più defilati, procedendo metodicamente fino a poter alzare la schiena e ripulire la zona. In tutti i casi l’emozione è fortissima, e ignorare un allarme o anche solo una pattuglia per strada può portare in un attimo al riavvio della missione, senza mezzi e spesso a una distanza ragguardevole dal punto d’interesse. Sempre in co-op, assumono un senso più compiuto gli accessori e le potenti armi ritrovate nelle ambientazioni, la cui posizione viene segnalata hackerando terminali, insieme a missioni di supporto ai ribelli; allo stesso modo, possono fare la differenza i miglioramenti su resistenza, mira, prestazione del drone (i modelli avanzati sono provvisti di EMP e cariche esplosive) e su gran parte delle facoltà concesse dalle skill, compresi i bombardamenti o il veloce reperimento di un veicolo da parte dei ribelli.

Anche per questo, almeno a mio modo di vedere, in single player ha pochissimo senso selezionare una bassa difficoltà: dopo, infatti, aver sbloccato nel giro di un paio di regioni i tre tiri in simultanea degli alleati, il supporto dei commilitoni riesce a sbrogliare anche le maglie nemiche più fitte, a patto di procedere con cautela e usare il drone al raggiungimento di ogni posizione sicura. Ciò non vuol dire che Ghost Recon Wildlands non sia divertente o impegnativo, e anzi giocare in solitaria consente di godere delle tante suggestioni ambientali in modo diverso e in qualche modo “privato”, cosa che mi è immancabilmente capitata durante gli avvicinamenti in elicottero agli obiettivi, di giorno come di notte, d’innanzi all’incredibile colpo d’occhio offerto dallo scenario.

WAR PUPPETS

A questo punto, però, è arrivato il momento delle note meno piacevoli: per motivi diversi ma connessi tra loro, tanto il single player quanto l’esperienza co-op presentano mancanze che sminuiscono non poco la prestazione complessiva. Il trait d’union può essere riassunto nella necessità di rendere giocabile l’enorme mappa di Ghost Recon Wildlands, al confine tra accessibilità e libertà tattica: mi viene subito in mente la collocazione talvolta assurda dei punti di respawn, ancora più fastidiosa in co-op, quando torniamo in partita al di là di una larga formazione rocciosa (o anche oltre la barriera di una base), oppure a distanze tali per cui il reperimento di un mezzo è l’unica soluzione. Subito dopo, per quel che mi riguarda, si piazzano i diversi effetti meteorologici che appaino ai giocatori in co-op, talvolta influenti sull’interpretazione tattica delle missioni, seguiti in single player dai compagni artificiali che non vengono debitamente rilevati dai nemici, specie quando ricercano la linea di tiro. Dettagli del genere ti svegliano in un attimo, anche se sei immerso nell’azione fino al collo.

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Tanto il single player quanto l’esperienza co-op presentano mancanze che sminuiscono non poco la prestazione complessiva

Reputo un filo meno importante il respawn “magico” degli alleati, più che altro perché ho visto companion e mount teletrasportarsi irrealisticamente in videogiochi di ogni genere, belli come brutti (nel novero c’è pure Rutila nel magnifico The Witcher 3, per dire). È vero che l’ambientazione realistica avrebbe potuto suggerire soluzioni più rigorose, ma la presenza di mezzi con più o meno posti a sedere, o anche la necessità delle Intelligenze Artificiali di spostarsi per prendere la mira sui bersagli designati, magari allontanandosi dal veicolo della fuga, rendono il teletrasporto un male quasi inevitabile, a meno di non cominciare a mettere in mezzo alleati che possono morire, feriti trasportabili o altri dettagli simulativi che non fanno assolutamente parte degli intenti di Ghost Recon Wildlands. Casomai, dispiace per la gestione abbastanza approssimativa dei soldati in combattimento: c’è la ruota degli ordini, certo, ma è troppo generica per direzionare gli uomini verso una precisa posizione, così come rimane sempre labile il confine tra far fuoco e restare defilati. Spesso arrivano pure i ribelli, tutti con la forzatissima e folkloristica tenuta da “peruviano” (volutamente non ho scritto boliviano, tanto è vago il riferimento), e a quel punto è davvero difficile trattenere la caciara. Anzi, vengono apposta per farla.

Fra i dubbi che mi assalgono c’è anche la tenuta sulla lunga distanza, a fronte di una longevità meno “strutturata” rispetto a The Division. Naturalmente le future missioni del Season Pass porteranno più varietà, ma già la struttura narrativa lascia molto meno spazio alle invenzioni, almeno a giudicare dalla trama e dai finali, e la futura proposta PvP, benché sensatamente tattica (4 contro 4), non può contare sulla personalizzazione ARPG virtualmente infinita del gioco di Ubisoft Massive, e nemmeno su una trovata geniale in stile Zona Nera.

CIAO CIAO BOLIVIA

Al di là dei dubbi per i prossimi mesi, tra gli elementi positivi di Ghost Recon Wildlands va messa anche la profonda commistione fra esplorazione ed eccellenza degli scenari. Può sembrare banale dirlo, ma anche solo il fatto di essere costretti a calcare il suolo di una certa regione, per sbloccare il buchon e le missioni al suo interno, porta a lunghi e sempre magnifici viaggi verso le varie ambientazioni, impressionanti nella rappresentazione aerea di zone rurali, giungla, formazioni rocciose o punte innevate. Il dettaglio non è per niente male anche a terra, ma balzano maggiormente agli occhi i compromessi per la praticabilità di alcune aree, la forma un po’ squadrata di rocce e crinali o anche i dettagli non risolti di alcuni scorci.

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Possiamo contare sul comodo switch-off di qualsiasi icona e segnalatore sull’HUD, a tutto vantaggio dell’immersione visiva

Il bilancio è comunque positivo, e può contare su una prestazione più che valida anche in termini di stabilità tecnica, con diverse cose da mettere a posto (veri e proprio bug, a volte) ma una buona tenuta generale su tutte le piattaforme provate, connettività compresa. Su PS4 si rimane piacevolmente stupiti dalla dimensione inusitatamente grande della mappa, mentre su PC abbiamo una pletora di opzioni grafiche per personalizzare l’esperienza, tenendola a freno o lanciando tutto a manetta, compresa l’impressionante distanza di render all’orizzonte. La vecchia ammiraglia di Sony non può competere, naturalmente, con texture ed effetti della versione Windows, ma bilancia con la stabilità i piccoli scatti che ho personalmente rilevato su PC: Ghost Recon Wildlands non è certo una piuma sugli hardware poco aggiornati, e prova ne sono i 30/40 fps al secondo ottenuti mediamente su una GeForce 980 Ti, con quasi tutti i dettagli settati su Ultra. In entrambi i casi, comunque, possiamo contare sul comodo switch-off di qualsiasi icona e segnalatore sull’HUD, a tutto vantaggio dell’immersione visiva.

Quello di cui mi rammarico come PCista, in casi come questo, è che Ubisoft adotti una politica quasi del tutto indifferente al modding. La base di Ghost Recon Wildlands resta ottima, ed è un peccato non poter mettere mano ai dettagli di gameplay diversamente interpretabili o aggiungere realismo alla sostanza dell’azione. Probabilmente gli sviluppatori correggeranno i problemi più vistosi, nemmeno così gravi, ma dispiace che all’eccellenza di molti passaggi di gioco, in particolare nell’ottimo co-op, non possa corrispondere un quadro complessivo altrettanto efficace. Tanta esaltazione e momenti di mestizia, nello spazio di millisecondi.

Nel voto qui sotto vince l’esaltazione che Ghost Recon Wildlands riesce spesso a indurre, sommando le possibilità d’azione e l’imponente bellezza dello scenario. Va ben distinto, però, ciò che il titolo Ubisoft è in grado di offrire e ciò che, invece, non si sforza nemmeno di risolvere: da un lato, le partite co-op garantiscono un mix ben dosato di adrenalina e opzioni tattiche, e anche giocare in single player, nonostante tutto, offre decine di ore di divertimento; allo stesso tempo, però, Ghost Recon Wildlands mostra nei dettagli di aver provato una strada difficile senza crederci fino in fondo, risolvendo con l’accetta troppe minuzie. Tutto quel che funziona riesce sempre a emozionare, ma avrebbe potuto portare i Ghost molto più lontano rispetto a quanto in realtà avvenga.

 

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Pro

  • Scenari magnifici, con pazzesche distanze di rendering.
  • Divertentissimo e impegnativo in co-op.
  • Migliore del previsto in single-player, nonostante i "trucchi" degli alleati.

Contro

  • Troppe imprecisioni del gameplay.
  • La ripulitura dai bug non è ancora completa.
  • In alcuni casi non prova nemmeno a essere più profondo.
8.2

Più che buono

Marietto è così dentro alla sci-fi che non riesce a trovare la strada per uscirne. Per lui i videogiochi sono proprio questo, una porta per accedere a un pezzo di fantascienza che si realizza qui e ora, senza aspettare la fine del mondo.

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