Two Point Museum – Recensione

PC PS5 Xbox Series X

Gli inglesi di Two Point Studios ci portano un altro gestionale che non si prende troppo sul serio grazie a un distintivo humour britannico. Sono una software house specializzata, che forma nuove leve grazie a veterani di Bullfrog e Lionhead. Vi basta come curriculum?

Sviluppatore / Publisher: Two Point Studios / SEGA Prezzo: 29.99 € Localizzazione: testi Multiplayer: no PEGI: 3+ Disponibile su: PC (Steam), Xbox Series X and S, PS5 Data di lancio: 4 Marzo

Come amano dire alla Clementoni, “imparare divertendosi!” Con il terzo capitolo della serie Two Point, dopo gli ospedali e i campus universitari, ci ritroviamo a gestire musei più o meno bislacchi per portare a tutti la conoscenza di dinosauri, ectoplasmi e alieni.

Non sono proprio i reperti cui siete abituati quando andate ai vostri musei cittadini? Be’, perché non vivete nel fantastico mondo di Two Point!

“QUELLA DOVREBBE STARE IN UN MUSEO!”

Two Point Museum si cala fermamente in una tradizione che risale a più di trent’anni fa, quando nel 1994 uscì il clamoroso Theme Park, in cui dovevamo ingegnarci per far funzionare un parco giochi. Facili a dirsi, ma i disastri erano sempre dietro l’angolo, che si trattasse di non riuscire a ripagare le banche, o dei clienti scontenti per la spazzatura per terra. Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti, ma il genere non è poi cambiato così tanto. Nell’ultima fatica di Two Point Studios, ci caliamo nei panni di un curatore museale (“museale” non me lo sono inventato, è una parola vera, ho controllato) con l’obiettivo di riportare al massimo splendore musei che sono stati abbandonati a se stessi. In altri casi, ne creeremo di completamente nuovi partendo da zero, dimostrando di essere capaci anche in quei casi di arrivare al successo. Per attirare visitatori paganti non basta posizionare una serie di reperti a caso: le decorazioni costituiscono una componente determinante per aumentare il coinvolgimento delle persone, che vogliono al tempo stesso essere informate tramite cartelloni informativi più o meno elaborati.

Ecco il reperto preistorico per eccellenza: il floppy disk.

Per ottenere i reperti è necessario mandare in esplorazione i propri esperti in località remote, dalle quali torneranno con ricompense semi-randomiche che possiamo esporre nei nostri locali. Il gameplay loop, ristretto alla sua base, è proprio questo: spedizioni degli archeologi per recuperare reperti da installare nel museo, in modo tale da attirare sempre più visitatori. Gli sviluppatori hanno ricamato su questa base con una serie di varianti e complicazioni che rendono il risultato finale molto vario. Ma ci arriviamo tra un po’. Potreste anche avere fossili, artefatti antichi e marchingegni spaziali tra i più rari della galassia, ma il vostro museo deve funzionare come un orologio svizzero, e come tale, tutti i suoi meccanismi vanno oliati alla perfezione. Per fare questo, serve sfruttare al meglio una serie di impiegati specializzati. Ce ne sono di quattro classi: non così tante da creare confusione, ma nemmeno così poche da essere banali da gestire, anche perché intervengono fattori specifici come l’addestramento in alcune specialità, che di fatto creano un buon numero di sotto-classi, manco stessimo parlando di un GdR.

La gestione del personale offre un giusto equilibrio tra cose da fare e micro-management


La nostra forza lavoro ha poi le proprie richieste, per esempio di ottenere un aumento ogni tanto, e non manca di dover affrontare vicissitudini particolari, come quando un assistente torna da una spedizione nel regno dell’Oltretomba con una maledizione. Conviene aspettare e incrociare le dita che passi da sola, o vogliamo spendere tempo e denaro per salvarlo? Converrà davvero? Ho passato una buona parte del mio tempo a monitorare il personale e a occuparmi delle loro esigenze, e sotto questo aspetto ho trovato un giusto equilibrio, perché da una parte mi ha sempre dato cose da fare, e al tempo stesso non ho trovato che mi venisse richiesto di esagerare nel micro-management del singolo impiegato.

“UNA VOLTA SI È PERSO NEL SUO STESSO MUSEO!”

La campagna di Two Point Museum fa tutto quello che può per spingere un po’ più in là i confini tipici di questo genere di gestionali. Abbiamo parlato prima di un gameplay loop che, ridotto all’osso, è relativamente semplice, no? Sì, vero, ma al tempo stesso gli sviluppatori riescono in vari modi a renderlo sempre interessante. Innanzitutto, ogni museo è specializzato in un certo ambito, e questo introduce meccaniche specifiche: in quello marittimo, dobbiamo cercare una moltitudine di pesci per riempire i nostri acquari di vita e colori meravigliosi, mentre nei musei delle scienze servirà reperire metalli per migliorare i nostri macchinari in modo da renderli i più affascinanti che i nostri visitatori abbiano mai visto. A questo, si aggiungono livelli in cui il museo è già operativo, e noi abbiamo un compito preciso, ristretto a un ambito della gestione molto limitato.

Che bella band!

Che sia la creazione di strepitose campagne marketing, o assicurarci che ladri e vandali nascosti nella folla non riescano a scappare, si tratta di momenti che spezzano il ritmo, offrendoci esperienze più brevi che aumentano la varietà di gioco. Ho molto apprezzato questi tentativi degli sviluppatori di mischiare un po’ le carte in tavola, perché in effetti i pilastri della struttura ludica di Two Point Museum rimangono molto simili a quelli del genere di appartenenza, che soffre almeno in parte di una maggiore lentezza rispetto ad altri strategici. Al quinto, o sesto, o settimo museo da riportare alla gloria, a qualcuno potrebbe passare la voglia, visto che tra l’altro stiamo parlando di un processo piuttosto lungo.

Two Point Museum offre un esempio di modello di sviluppo più sostenibile


E’ quindi importante che la campagna intervenga facendoci saltare da una situazione all’altra: non ci impone di stare troppo a lungo sullo stesso museo, ma al tempo stesso sappiamo che prima o poi ci torneremo per riprenderlo in mano e farlo progredire sempre di più. Aggiungo per concludere una nota a margine, collegandomi alla tante infauste notizie cui siamo ormai abituati da anni su licenziamenti e studi che chiudono: Two Point Museum offre un esempio alternativo di modello di sviluppo, più sostenibile per la software house.

I primi pesci del nostro primo acquario: è solo l’inizio.

Certo, il comparto tecnico è pressochè il medesimo del primo episodio del franchise, uscito nel 2018, ma in un gestionale non è un grosso problema. Meglio allora offrire ai propri clienti un prodotto solido, che evolve invece di rivoluzionare, e permette così di tenere i costi di produzione relativamente bassi. Infine, e qui kudos a Two Point Studios per l’onestà, anche il prezzo è la metà di quanto siamo abituati a sborsare al day one.

In Breve: Two Point Museum non sorprende, ma convince lo stesso. Gli sviluppatori lavorano su questa serie da tanti anni ormai, e i frutti si vedono, specialmente in una campagna che riesce a mantenere alto l’interesse dei giocatori, evitando il rischio di imbrigliarci in un ciclo troppo rigido di livelli uno uguale all’altro. Il tema dei musei riesce a divertire meno rispetto a ospedali e campus universitari, ma per il resto anche questa iterazione del franchise gode di una solidità granitica per quanto riguarda le meccaniche di gestione di stanze e forza lavoro.

Piattaforma di Prova: PC
Configurazione di Prova: i7 14700k, RTX 4070 SUPER 12GB, 32GB RAM DDR5, SSD

Com’è, Come Gira: Two Point Museum non cerca nemmeno di stupire con chissà quali effetti, preferisce anzi rimanere saldo nella scia dei precedenti episodi del franchise, risparmiando tempi e costi di produzione agli sviluppatori, e fatica alle nostre GPU. Per il momento non siamo ancora arrivati al punto in cui una svecchiata sia un’assoluta necessità.

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Pro

  • La campagna mantiene l’esperienza interessante / C’è sempre molto da fare / Pochissimo micro-management

Contro

  • Il comparto tecnico ha qualche anno sul groppone
8.7

Più che buono

Dopo traverse vicende in alcune cittá italiche, il nostro Solar Nico é sbarcato in terra d’Albione. Se da una parte ancora si da alla ricerca matta e disperata di un parco (ma anche un praticello va benissimo) per approfittare di qualsiasi mezza giornata di sole londinese, dall’altra Nicoló ha rassegnato ogni speranza all’idea di stare al passo della propria, sempre crescente, libreria Steam.

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