White Shadows – Recensione

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Dai tedeschi Monokel arriva White Shadows, un gioco che si ispira a Limbo, ma porta le pippe mentali di Inside a un nuovo livello.

Sviluppatore / Publisher: Monokel / Thunderful Publishing Prezzo: 19,99€ Localizzazione: Testi Multiplayer: Assente PEGI: 12 Disponibile Su: PC (Steam), PS5, Xbox Series X|S Data di Lancio: 7 dicembre

Ci sono giochi così azzeccati che finiscono per creare un genere. Sto pensando a Limbo, titolo sviluppato da Playdead e pubblicato nel 2014, che fondeva insieme in un unico gioco platform e puzzle ambientali, il tutto calato in un’atmosfera un po’ tetra e allegorica. Il seguito del 2016, Inside, ha inserito una punta di rosso, alzando un pochino più in su l’asticella della metafora sociale, sfociando in un finale la cui interpretazione è tuttora oggetto di dibattito online.

Il successo di Playdead ha creato diversi epigoni, come Little Nightmares più orientato verso l’horror classico o il recente A Juggler’s Tale, decisamente più solare e colorato rispetto ai predecessori, ma altrettanto metaforico (tra l’altro ho realizzato tardi come il gioco parli del controllo maschile del corpo femminile, recuperatelo se vi riesce). L’ultimo in ordine di pubblicazione in questo filone limbesco è White Shadows dei tedeschi Monokel, parecchio affine al capostipite a partire dal bianco&nero, come avrete modo di notare dalle immagini in queste pagine.

WHITE SHADOWS, BLACK CITY

Raccontare qualcosa sulla trama di White Shadows è un’impresa davvero complicata. A inizio gioco ci ritroviamo nei panni di un uccello antropomorfo. I cartelloni luminosi sparsi in città ci descrivono come un Plague Bird. Intorno a noi si sviluppa un agglomerato urbano imponente fatto di metallo, travi e tubi che si intrecciano intervallati da rotaie e scale. Il primo riferimento ad essermi venuta in mente è la Metropolis della celebre pellicola di Fritz Lang, ma dovreste immaginarla come se all’epoca per costruirla avessero usato il budget delle esplosioni di Micheal Bay.

White Shadows Recensione

Certo Metropolis, ma a vederla da qui sembra anche un po’ Gotham City.

La sensazione chiara è quella di ritrovarsi in una distopia. In cielo sfrecciano gabbie contenenti strani maiali deformi mentre al suolo i manifesti del Ministero della Luce sono ovunque e incitano tutti i cittadini a compiere quotidianamente un bel bagno di luce per combattere l’oscurità. Come sia prodotta questa luce non è ben chiaro, ma è abbastanza evidente che il processo comporti una buona dose di sofferenza per qualcuno, probabilmente gli stessi maiali, deportati per la città, ma anche per i pulcini le cui gabbie abbondano nel sottosuolo. Benché non si riesca a definirne con precisione i confini, la città di White Shadows poggia su sfruttamento, sofferenza e controllo sociale.

VEDERE TRA LE OMBRE

Se decifrare l’ermetico mondo di gioco in cui Monokel catapulta il giocatore è parecchio complicato, di contro le meccaniche di gioco proposte dal team tedesco sono quanto di più semplice si possa immaginare. Basta ricapitolare l’elenco dei comandi per averne un’idea: oltre al movimento, lo stick sinistro serve anche per abbassarsi, mentre altri due tasti sono assegnati al salto e all’interazione ambientale. Stop, nulla di più.

Se vi state chiedendo cosa sia raffigurato in questa immagine… beh, non lo so.

Per altro, non capita nemmeno così spesso di usare i tasti dedicati alle azioni. Per buona parte dell’avventura tutto ciò che è richiesto al giocatore è muovere il personaggio nello scenario lungo un percorso tutto sommato predefinito. Ho provato in qualche occasione a cercare un passaggio segreto, un percorso alternativo o un luogo nascosto, ma mi sono sempre trovato di fronte a vicoli ciechi. Ho provato il gioco prima della sua distribuzione ufficiale sullo store, perciò non sono in grado di visualizzare l’elenco degli obiettivi, ma la mia esplorazione non si è imbattuta in nessun inside joke o attività collaterale che di solito in questo tipo di giochi vengono utilizzati come diversivo.

ANDARE, MA PER ANDARE DOVE?

La somma di questi due elementi rappresenta il problema più grande di White Shadows, un limite che l’indubbio fascino dell’ambientazione riesce a compensare solo parzialmente. Spaesati da una contestualizzazione degli eventi circostanti che tarda ad arrivare, la spinta a proseguire dovrebbe essere rappresentata dalla sfida proposta dal gioco, ma molto spesso anche quest’ultima risulta latitante. Come detto prima, la ricerca del cammino non richiede particolare impegno poiché, di fatto, il percorso risulta obbligato. In aggiunta, gli sparuti puzzle che ci si ritrova ad affrontare risultano per lo più piuttosto basilari: casse da spostare, interruttori a pressione da premere e pattern di luci. A voler essere severi, nulla che già non facesse Limbo sette anni fa.

White Shadows Recensione

La sezione dei treni è senza dubbio la più riuscita.

Qualche sezione interessante c’è, come il momento nel secondo capitolo in cui ci si sposta verso un punto piuttosto remoto dello scenario saltando con tempismo tra i tetti dei numerosi trasporti a rotaia che attraversano il cielo cittadino. Altre, invece, risultano abbastanza enigmatiche. Nel terzo capitolo ci si ritrova catapultati dentro quello che pare un gioco a premi televisivo, con tanto di interfaccia grafica che richiama le stondature dei vecchi tubi catodici, dove una sorta di grosso ragno (immancabile!) meccanico gioca con noi come fossimo una pulce da circo, provando prima a schiacciarci e poi facendoci saltare attraverso cerchi infuocati.

TUTTI GLI UCCELLI SONO CREATI UGUALI

Date queste premesse, la spinta a proseguire dipende quasi esclusivamente dalla fascinazione per l’ambientazione e dalla voglia di capire quale sia il significato di ciò che accade a video. Devo ammettere di non aver trovato una risposta, per quanto mi sia chiaro qualche rimando a La fattoria degli animali, esplicitato nelle fasi più avanzate dell’avventura, e una certa metafora della condizione sociale presente, i contorni precisi del messaggio di Monokel tuttora mi sfuggono.

In Breve: White Shadows non fa nulla per nascondere Limbo e Inside come le sue principali fonti di ispirazione. Catapulta il giocatore in un’ambientazione enigmatica, avvolta in un sinistro bianco&nero, senza alcuna coordinata a spiegare il dove e il perché. All’inizio funziona e si avanza spinti dalla curiosità e dalle dissonanze, poi però anche a causa dell’estrema semplicità delle meccaniche gli stimoli iniziano a latitare. A quel punto la sola motivazione diventa la voglia di arrivare al finale e trovare un senso, che non è nemmeno male come stimolo, ecco, ma non è detto che proprio tutti ne sentano il bisogno.

Piattaforma di Prova: Xbox Series X
Com’è, Come Gira: Su Series X l’impatto grafico è notevole: la città resta sempre sullo sfondo, ma è impressionante l’estensione e lo sviluppo del suo intricato reticolo di edifici. Ho notato qualche scatto, ma le info accompagnatorie dei dev precisano che saranno risolti con una patch pre lancio.

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Pro

  • Graficamente notevole / Fascino a pacchi / Di sicuro non banale.

Contro

  • Azione molto limitata / Fin troppo ermetico.
7

Buono

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