Wild Bastards – Recensione

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Seguito, omaggio, o comunissimo sogno bagnato della porta accanto? Wild Bastards, sviluppato da Blue Manchu e pubblicato da Maximum Entertainment, apparecchia alla tavolata un sistema FPS che fa all’ammmore con quello roguelite. Il risultato? Un racconto à la Clint Eastwood, ma nello Spazio, come Borderlands e altre opere analoghe ci hanno insegnato. Anche se senza Stallone da Culo, personaggio che ha dato origine a storie, film, porno e millemila produzioni. Figata.

Sviluppatore / Publisher: Blue Manchu / Maxinum Entertainment Prezzo: 24.99 euro Localizzazione: Testi Multiplayer: Assente PEGI: 12 Disponibile su: PC (Steam, Epic), Nintendo Switch, PlayStation 4, PlayStation 5, Xbox Series X|S, Xbox One Data d’uscita: 12 settembre 2024 (Già disponibile)

Se c’è una cosa che Dutch van der Linde mi ha insegnato in Red Dead Redemption 2, è che la banda è una famiglia. Mentre sparavo, mi nascondevo, evitavo i colpi e speravo di non essere freddato da uno scapestrato qualunque, me lo sono ben impresso nella testa, ricordandomi che niente, NIENTE, poteva togliermi il gusto di uno stallo alla messicana.  Anche se in Wild Bastards, seguito spirituale di quel Void Bastards apprezzato alla grande dalla nostra Erica Mura, non c’è stata occasione di vivere una situazione simile. Poco male, ho pensato, mentre dagli occhi di un uomo vedevo la luce spegnersi lentamente. Piano. Pianissimo. E poi pum, via, sottoterra meritatamente, come Evil West ha insegnato.

Se dopo Hades II pensavo di non trovare qualcosa che potesse coinvolgermi, facendomi vaneggiare già nell’introduzione, è perché ancora non avevo toccato con mano Wild Bastards, opera che utilizza una grafica in cel-shading per sedurre, ammiccando suadente alle mie sinapsi, toccando le corde giuste come una ragazza di Tombstone, patria di Wyatt Earp, lo sceriffo che ha saputo risolverla in ogni modo possibile e immaginabile, picchiando a sangue coloro che offendevano la sua famiglia. Bel colpo, Kevin Costner.

LA BANDA DA RIUNIRE

È un momento brutto, per i Wild Bastards. Un tempo in cima alla catena alimentare, capaci di risolvere problemi unendosi in stile Avangers, ora sono separati a causa di attriti e di un mondo dominato da bande rivali costantemente in guerra. Nello spazio proposto dal team, la legge non esiste. I saloon, un tempo occupati da gente varia, ora sono sotto il controllo totale di uomini, alieni e chissà quali altre diavolerie. 

Lupus in fabula. Letteralmente.

La frontiera è dominata da gentaglia che preferisce vendersi al prossimo, invece di combattere, di fare la differenza e conquistare il prossimo. È la legge del Far West spaziale messo in campo da Blue Manchu, che nel contesto ricreato ha dettagliato in maniera lucida una storia che è da capire solo avanzando nella trama principale. La stessa, seppure presente, non invade mai quello che è il cuore pulsante della produzione: il gameplay.

Crea dipendenza e fa le cose alla grande. Insomma, pigliatelo

Prima di parlare di quest’ultimo, comunque, è fondamentale citare le tante produzioni cui s’ispira Wild Bastards, tra videogiochi e film: se avete amato The Hateful Eight e siete appassionati di Tarantino a tal punto da perdere la coscienza di fronte a Django, ecco che Wild Bastards fa esattamente lo stesso, proponendo peraltro dei legami raccontati attraverso le rivalità all’interno dell’opera. Ben prima di partire per qualunque genere di missione, è fondamentale capire chi può accompagnarsi a qualcun altro o meno. C’è chi ha litigato pesantemente con qualcuno, magari per aver ammaliato con il suo fascino qualche giovane ereditiera spaziale, o chissà cosa. È affascinante l’approccio utilizzato per raccontare dettagli così minuscoli all’interno della produzione. Per qualcuno potrebbero essere piccoli e iniqui, e invece mettono in allarme i giocatori, perché si è costretti a ragionare parecchio su come avanzare.

QUEL TRENO PER WILD BASTARDS

Come tante produzioni pubblicate nel corso degli ultimi tre anni, anche Wild Bastards persegue un obiettivo che, per quanto mi riguarda, è sempre finissimo da trovare in videogiochi di questo tenore. È un FPS con meccaniche roguelike, in cui l’obiettivo, oltre a quello di liberare i membri della banda, è arrivare a sopravvivere dalle orde costanti di fuorilegge, gente poco raccomandabile e tanto altro.

Peach, io ti amo ma stai calma, ci sono bambini di mezzo.

Se avete giocato in passato a Darkest Dungeon o Tamarak Trail, la mappa proposta consente di decidere dove andare e quale percorso seguire. In base alla difficoltà scelta (di opzioni ce ne sono in totale cinque, e io ho optato per la quarta), il numero di nemici, i loro danni e i vari posti di guardia aumentano, rendendo la vita chiaramente complessa. Nell’opera non sarà possibile selezionare tutti i personaggi liberati, e dunque sarà necessario compiere delle scelte in base al proprio stile e all’attacco preferito. Ho sempre scelto, nel corso dell’avventura, di optare per Peach e Judge, letalissimi ed efficienti. È pure vero, tuttavia, che la produzione costringerà a usare tutti i personaggi per variare il proprio assetto tattico.

Tante combinazioni, personaggi da incastrare, gente da assemblare e via, allo sfacelo più totale

La principale novità dell’opera, in tal senso, è la strategia da mettere in campo. Se dalla nave sarà possibile scegliere dove andare, raccogliendo ora utile per comprare potenziamenti, o semplicemente per curare i personaggi, quando ci si muoverà a cavallo, invece, la mappa cambierà. L’intera area sarà disseminata da posti di blocco, nemici casuali e molto altro, ma soprattutto dalle bande rivali che possono comparire improvvisamente per dare fastidio al gruppo. 

Qui è perfettamente dettagliato come usare le carte per potenziare i personaggi.

La soluzione da adoperare per evitare di fare una finaccia indegna è quella di usare le carte, che possono aumentare le caratteristiche dei vari personaggi. Le mod, invece, sono da equipaggiare per evitare di incorrere in pericoli ulteriori. Sono tante e donano ai giocatori diversi potenziamenti utili per aumentare la difesa e l’attacco, o addirittura la salute. Nel mio caso, ho sempre preferito puntare sulla difesa: gli scudi, infatti, posti appena sotto la barra della salute, permettono di difendersi dagli attacchi nemici in modo efficace. A difficoltà minori, proprio per sperimentare, optare per attacchi più potenti è una scelta saggia. Essendo un videogioco che è completamente rigiocabile, è bene seguire scelte ponderate.

La soluzione da adoperare per evitare di fare una finaccia indegna è quella di usare le carte, che possono aumentare le caratteristiche dei vari personaggi

Tutto quanto è costruito in modo attento e particolareggiato, con l’obiettivo di coinvolgere. La composizione delle mod e degli equipaggiamenti, dunque, assumono dei ruoli fondamentali quando arriva il momento di sparare. Il gunplay, diverso in base al personaggio selezionato, che è possibile switchare nella squadra composta da due membri della banda, è fluidissimo e ben costruito. I colpi arrivano a segno in modo reale e uccidere è proprio appagante. La struttura ludica, insomma, è orchestrata in modo superbo.

UN VIDEOGIOCO-MATRIOSKA IN CEL SHADING

Grafica in cel shading, colori vivacissimi e violenza allo stato puro. A parte il sangue, c’è esattamente tutto quello che mi piace, in Wild Bastards, opera che migliora l’esperienza di Void Bastard e ne migliora il game design, palesando un gameplay efficace e di primissima caratura. Proprio attraverso esso, si evince un enorme passo avanti fatto nel corso del tempo, sia nel ritmo che altrove. Ecco, è così che si realizza un buonissimo videogioco che s’ispira ad altri roguelike del genere, come Hades e ulteriori pubblicazioni.

Tutto così buio, tetro e spaventoso che non so neanche dove sto andando.

Ammetto che avrei preferito in generale una ricerca più approfondita e migliore rispetto alla varietà di ambientazioni, seppure i vari biomi proposti siano parecchi e tutti ben presentati. Le musiche accompagnano poi il viaggio, e finalmente c’è pure la traduzione in italiano, assente nel primo capitolo, ricercata e ben implementata in questo caso. Insomma, è un’opera che ingigantisce parecchio quanto è stato fatto in passato.

In Breve: Wild Bastards è uno sparatutto in prima persona roguelite che si presenta ai giocatori in modo superbo e piacevolissimo, pur non innovando la formula e forse non approfondendo in modo troppo significativo i legami tra i protagonisti principali. Ciò comunque permette di ovviare a situazioni strategiche per avere un approccio tale da affrontare le situazioni in modo brillante, componendo squadre sempre diverse… a meno che qualcuno, insomma, non sia arrabbiato con qualcun altro. Cosa che accade. Il game design divertente e particolareggiato, arricchito inoltre da un bel sistema di gunplay. Consigliato a chi ama il West, i pop corn e Tarantino.

Piattaforma di Gioco: PC
Configurazione di Prova: i5-12400F, 16 GB RAM, GeForce RTX 3080, SSD
Com’è, come gira: Tutto bene, sulla mia configurazione. Giocato al massimo su PC, il giochillo qua sa come comportarsi. Occhio alla testa, però.

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Pro

  • Bello denso di contenuti / Personaggi da cambiare, assimilare, da comporre e da tenere alla larga se cominciano a bisticciare misteriosamente / Il sistema roguelike che piace / Coinvolgente e appassionante

Contro

  • Dal punto di vista ludico, non innova alcunché / Qualche problema di compenetrazioni e bug, non causati dalla macchina / Alcune ambientazioni appaiono poco ispirate
8.3

Più che buono

Cosa succede se unite letteratura, tanta curiosità e un mix letale di videogiochi indipendenti e di produzioni complesse? Otterrete Nicholas, un giovane virgulto che scrive tanto e vuole scrivere di più. Chiamato "Puji" ben prima di nascere, dovete dargli una penna per tenerlo calmo. O al massimo un pad.

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