Il 18 luglio 1998 il sostituto procuratore di Roma Franco Ionta formulò la richiesta di rinvio a giudizio a carico del cittadino somalo Omar Hashi Hassan, accusato di concorso in omicidio volontario aggravato: secondo l'accusa, egli sarebbe stato alla guida della Land Rover con a bordo i componenti del commando che uccise i due giornalisti italiani. Hassan era giunto in Italia l'11 gennaio per essere ascoltato dalla Commissione Gallo in merito alle violenze asseritamente inferte da parte di alcuni militari italiani a diversi civili somali nel corso della Missione Ibis coordinata dall'ONU (UNOSOM I e II); arrivato in Italia, un altro cittadino somalo, Ahmed Ali Rage, detto Gelle, anch'egli convocato dalla procura di Roma per rendere dichiarazioni, riconobbe lo stesso Hassan come uno degli autori dell'omicidio. A seguito delle successive indagini Hassan fu rinviato a giudizio dal giudice per l'udienza preliminare Alberto Macchia.
La prima udienza dibattimentale si tenne il 18 gennaio 1999 presso la Corte d'Assise di Roma; il collegio era presieduto da Gianvittore Fabbri. Nel corso del processo, alcuni dei testimoni auditi lasciarono intravedere particolari inquietanti intorno ai possibili legami tra l'assassinio della giornalista e i presunti traffici illeciti di armi e di rifiuti tossici che sarebbero intercorsi tra Italia e Somalia. Il 10 maggio, il presidente del Comitato parlamentare per i servizi di informazione e sicurezza e per il segreto di Stato, Franco Frattini, intervenendo ad una trasmissione televisiva, rilevò come la questione dei traffici illeciti come possibile movente del duplice omicidio fosse "un elemento importante che sta emergendo".
Ad accusare Hassan comparve tuttavia un altro testimone chiave: Ali Abdi, l'autista che aveva accompagnato Alpi e Hrovatin dall'aeroporto di Mogadiscio all'hotel Hamana, in prossimità del quale avvenne il brutale delitto. La difesa, da parte sua, chiamò a testimoniare due cittadini somali, i quali asserirono che il giorno dell'agguato l'imputato si trovava presso Haji Ali, a duecento chilometri da Mogadiscio, per visitare un familiare gravemente malato.
La perizia della Polizia Scientifica, nel ricostruire la dinamica dell'azione criminale, stabilì che i colpi sparati dai Kalašnikov erano indirizzati alle vittime, poiché sparati a bruciapelo, a distanza ravvicinata; secondo una successiva perizia balistica, invece, i colpi sarebbero stati sparati da lontano, senza che l'omicida potesse avere consapevolezza dell'identità delle vittime.
Il 20 luglio 1999 Hassan fu assolto per non aver commesso il fatto: secondo il collegio, Hassan sarebbe stato offerto alla giustizia italiana dal presidente somalo Ali Mahdi "come capro espiatorio" per riallacciare i rapporti tra Italia e Somalia. Hassan, tuttavia, non vene immediatamente scarcerato poiché, nel frattempo, si era aperto a suo carico un processo per violenza carnale, reato asseritamente commesso a danno di una sua connazionale in Somalia. Da tale capo d'accusa sarà assolto il 26 luglio 1999.
Rispetto al duplice omicidio, invece, il processo d'appello ebbe inizio il 24 ottobre 2000, presso la Corte d'assise d'appello di Roma; il collegio era presieduto da Franco Plotino. Il secondo grado di giudizio ribaltò le conclusioni del collegio di prime cure: secondo i giudici dell'impugnazione, infatti, sia Gelle che Ali Abdi "sono da considerare attendibili ed entrambi hanno visto l'imputato a bordo della Land Rover prima della sparatoria"; Hassan, ritenuto responsabile del duplice omicidio volontario, con l'aggravante della premeditazione, fu condannato all'ergastolo. Venne inoltre disposta la misura della custodia cautelare in carcere, motivata sulla base del pericolo di fuga.
Nel frattempo, tuttavia, Gelle, figura chiave del procedimento a carico di Hassan, si era reso irreperibile, cosicché nel processo poterono essere utilizzate le dichiarazioni che egli aveva rilasciato in sede di indagini preliminari: sul presupposto che tali dichiarazioni fossero divenute irripetibili, esse poterono far ingresso tra le fonti di prova utilizzabili dal giudice, pur in difetto di qualsiasi contraddittorio con l'accusato. Inoltre, quelle stesse dichiarazioni che, secondo il giudice di primo grado, non erano comunque in grado di provare la colpevolezza di Hassan, furono invece ritenute sufficienti dal giudice d'appello. Quanto poi ad Ali Abdi, questi tornò in Somalia e fu ucciso nel giro di un breve periodo di tempo.
La sentenza fu confermata dalla Corte di cassazione, salvo nella parte in cui riconosceva l'aggravante della premeditazione; la Cassazione dispone dunque il rinvio al giudice di merito per la nuova commisurazione della pena. Il processo d'appello bis si aprì il 10 maggio 2002 davanti alla corte d'Assise d'Appello di Roma, presieduta da Enzo Rivellese: il collegio concluse per la pena di 26 anni di reclusione, senza la premeditazione e riconoscendo le attenuanti generiche come equivalenti all'aggravante del numero dei partecipanti all'agguato (essendo 7 i componenti dell'agguato).
Il 19 ottobre del 2016 la svolta. Secondo il sostituto procuratore generale analizzando le prove emerse nei confronti di Omar Hassan "ne deriva un quadro bianco senza immagini, senza niente". "E quindi - ha detto Razzi - la mia conclusione non può che essere una richiesta di assoluzione per non aver commesso il fatto". Il magistrato ha parlato di "inattendibilità" del teste Gelle. "Non esiste" ha sottolineato. Ashi Omar Hassan viene assolto dopo aver scontato 17 dei 26 anni che avrebbe dovuto scontare secondo la pena inflittagli. Il 3 luglio 2017, la procura di Roma chiede di archiviare l'inchiesta in quanto risulta impossibile accertare l'identità dei killer e il movente del duplice omicidio