Poverina... :asd:
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diciamo che in questo caso il photoshop serviva per enfatizzare maggiormente il significato.
I magnifici cinque dopo il disgustoso teatrino, dove non sono serviti a nulla, saranno tornati a gozzovigliare come hanno sempre fatto soggiornando in qualche abitazione che dista 100 km dal migrante più vicino.
Chissà se saranno presenti ora che inizia la vera accoglienza per i rifiugiati e dovrebbero dare aiuto per fornire un tetto, cure e cibo.
PS: Faraone... quello che ha avuto il coraggio di accettare il ruolo di sottosegretario al MIUR nella sua totale incompetenza a riguardo :smuggeek:
Una delle pochissime cose lette sul tema che non siano fuffa emotiva improvvisata da confirmation bias.
Citazione:
[SeaWatch, risposte] – Ci sono cose che si dicono poco, perché non sono funzionali alla propaganda dei pro e dei contro. Vediamole. La premessa: lo Stato è quella cosa che amministra una popolazione su un territorio. Per questo motivo, deve controllare le frontiere, da solo o insieme ad altri (Ue). Chi crede che le frontiere vadano aperte a chiunque, anzi non debbano esistere, smetta di leggere qui: capire ciò che è successo al largo di Lampedusa presuppone un lettore adulto.
1. «L’Italia non può chiudere i porti a chi salva i naufraghi.» La finalità delle norme sul salvataggio è: se navi e persone si trovano in difficoltà in mare, altre navi che transitano nei paraggi devono prestar loro assistenza. I cittadini stranieri recuperati dalle tante SeaWatch, però, non sono naufraghi qualunque; neppure le imbarcazioni delle ONG non sono navi di passaggio. Da una parte, non ci sono persone naufragate per incidente, ma organizzazioni criminali che causano deliberatamente il naufragio caricando passeggeri su imbarcazioni evidentemente destinate alla rovina. Anche gli occupanti di tali precarie imbarcazioni sono perfettamente consapevoli del loro destino. Dall’altra parte, vi sono navi inviate esplicitamente allo scopo di recuperare le persone che finiscono in acqua come esito delle attività criminali dei passatori. L'elemento soggettivo, da entrambe le parti, è diverso da quello implicito nella norma.
Se si leggono (ripeto: se si leggono) il Codice della navigazione italiano (artt. 490 e 498), la Convenzione UNCLOS (art. 98 cpv. 1 e sgg.) e la Convenzione SAR sulla ricerca e salvataggio in mare, non si trova né che il porto di destinazione di persone salvate in mare debba essere «il più vicino» né tanto meno che vi sia un «obbligo» di acconsentire all’attracco. La Convenzione SAR pone l’accento sulla collaborazione fra Stati coinvolti (art. 3.1. sgg.), nel rispetto delle norme degli Stati stessi sull’accesso al loro territorio e alle acque territoriali (art. 3.1.2.). Pare evidente che nel caso SeaWatch e in altri simili tale collaborazione sia pressoché inesistente, non solo, ma che la SeaWatch non l’abbia neppure cercata, dirigendo direttamente su Lampedusa.
Dalla lettura delle norme risulta evidente che sono scritte per salvare naufraghi vittime di incidenti e casi fortuiti sporadici. Si continua invece a invocarle per regolare flussi migratori costanti e fenomeni criminali organizzati e dolosi, che il legislatore neppure conosceva, al momento della loro scrittura, e se ne deducono obblighi secondo una discutibile interpretazione analogica. Quali sono, allora, le norme da applicare? Non ci sono. Bisognerebbe scriverle, nessuno lo fa.
La norma che regola l’approdo al porto più vicino per navi in difficoltà quando non vi è pericolo di vita per gli occupanti, come nel caso SeaWatch, si trova nelle Direttive IMO del 2004, che codificano il precedente diritto consuetudinario. Queste affermano esplicitamente, all’art. 3.12.: «Quando una nave [in difficoltà] chiede rifugio, lo Stato costiero non ha l’obbligo di acconsentire.» L’assistenza obbligatoria si può prestare anche senza far avvicinare la nave al territorio (l’Italia ha sempre adempiuto tale obbligo). Sarà un caso, ma questa disposizione non viene mai citata.
2. «Bisogna sbarcare i migranti in un Paese sicuro» – Questo obbligo si desume da un principio generale, sacrosanto, di diritto umanitario. I naufraghi, però, non devono stabilirsi nel Paese dove approdano, devono toccare terra, essere rifocillati ed eventualmente sottoposti a prime cure, per poi tornare rapidamente ai loro luoghi di provenienza. Eventualmente, devono poter fare richiesta di asilo, perciò il Paese di approdo deve aver aderito alla Convenzione di Ginevra sui rifugiati. Tutto ciò può essere senz'altro difficile in Paesi gravemente disastrati, come la Libia in questo momento, ma è ben possibile, ad esempio, in Tunisia, Egitto o Algeria. Se poi si applica la convezione sul salvataggio non ai normali naufragi ma a flussi di persone che naufragano consapevolmente per farsi salvare e portare illegalmente in Europa, gli elementi descrittivi della norma non significano più nulla.
Sul significato di «Paese sicuro» si potrebbero scrivere interi libri. Ogni Stato ha la sua lista, diversa dagli altri. L’Unione europea tenta da anni di compilare un elenco unitario. La lista potrebbe anche allungarsi, visti i progressi economici e sociali di molti Stati in via di sviluppo. Vi sono frazioni politiche, interessate a favorire la migrazione disordinata, che affossano irresponsabilmente ogni tentativo di razionalizzare elenchi e criteri di riconoscimento dei Paesi sicuri.
3. «La comandante (e non «capitana») Carola (che in tedesco si pronuncia Caróla, non Càrola) Rackete ha agito in stato di necessità.» – Sebbene fossero in condizioni disagiate, gli occupanti della SeaWatch non erano in «pericolo attuale di danno grave alla persona […] non altrimenti evitabile» (art. 54 CP Italia) che giustificherebbe la disubbidienza alla legge o a un ordine d’autorità. Questo dato di fatto è confermato dalla decisione di pochi giorni prima della Corte europea dei diritti dell’Uomo, che ha escluso un intervento urgente per imporre all’Italia di far sbarcare gli occupanti della SeaWatch, non vedendo alcun pregiudizio irreparabile per la loro vita e salute. D’altra parte, i più deboli fra gli occupanti erano già stati sbarcati da mezzi di soccorso italiani.
Non era difficile prevedere che il ricorso alla Corte europea avrebbe avuto questo esito: i consulenti di SeaWatch che lo hanno depositato hanno dimostrato un notevole grado di ingenuità e hanno incassato un clamoroso autogol. E’ improbabile che ora un giudice possa riconoscere lo stato di necessità, come causa di giustificazione per la condotta della comandante Rackete, quando addirittura la Corte europea dei diritti dell’Uomo ha affermato la non sussistenza di tale presupposto.
L’art. 54 CP precisa inoltre che il pericolo «non deve essere volontariamente causato» da chi chiede di essere giustificato. E’ difficile non vedere che la giovane Rackete ha temporeggiato per 17 giorni, zigzagando in mare senza meta, per entrare in acque italiane, senza neppur valutare altre possibilità di approdo. Si potrebbe contestarle con qualche successo che la sua condotta, dopo aver tratto dalle acque i 42 occupanti, abbia in realtà contribuito, poi, a esporli a pericolo, menandoli per giorni in mare aperto. Vero che altri Stati avrebbero forse rifiutato anch’essi l’approdo, ma, per giustificarsi, la comandante Rackete dovrebbe dimostrare di aver almeno provato a chiedere di accostare a Malta, a Tunisi o altrove. Non lo ha fatto.
4. «Non si possono riportare i migranti in Libia» – Vero, ma gli occupanti della SeaWatch non sono libici. Come in casi precedenti, si scoprirà che provengono in maggioranza da Paesi dove non esistono condizioni che garantiscono il diritto d’asilo. La Convenzione SAR stabilisce all’articolo 5.3.3. cpv. 8 che, in caso di soccorso, devono essere informate le autorità consolari interessate, perciò anche quelle dei Paesi d'origine delle persone tratte in salvo. Tali Paesi dovrebbero essere i primi interessati a cooperare al recupero dei propri cittadini. E' stato fatto?
5. «La Tunisia non è un Paese sicuro perché non aderisce alla Convenzione di Ginevra sui rifugiati» – Non è vero. La Tunisia ha ratificato la Convenzione il 24 ottobre 1957. E’ possibile che la Tunisia non abbia un sistema di visti per ragioni umanitarie, che è cosa diversa dallo status di rifugiato. Non controllo neppure, perché la questione è poco rilevante: è probabile, infatti, che gli occupanti della SeaWatch non abbiano diritto alla protezione umanitaria nemmeno in Italia. E’ vero che la Tunisia tende a respingere gli sbarchi. Recentemente, alla Tunisia, sono state concesse condizioni di favore per l’esportazione dei suoi prodotti agricoli verso l’Europa. In cambio di queste facilitazioni, si sarebbe potuta esigere da Tunisi l’adozione di misure concrete di cooperazione nella gestione delle migrazioni. Visibilmente, non è stato fatto.
6. «Tra gli occupanti della SeaWatch potrebbero esserci persone che hanno veramente diritto all’asilo» – Tragicamente vero. Gli Stati, però, si stanno stufando di gestire macchine amministrative costosissime per accertare il diritto all’asilo su decine di migliaia di richiedenti, per scoprire che solo una minima parte ha i presupposti. Tutti gli altri non possono neppure essere rimpatriati, se non in piccolissimo numero, per mille motivi, e si trasformano in altrettanto ingestibili bombe a orologeria sociali. Siamo sempre più vicini al momento in cui le porte saranno chiuse per tutti, anche per gli aventi diritto, con buona pace della Convenzione di Ginevra. Chi ha a cuore la sorte dei veri richiedenti asilo dovrebbe essere il primo a pretendere che tutte le SeaWatch della terra smettano le loro missioni.
7. «Non si può dimostrare che le ONG siano d’accordo con i trafficanti di esseri umani» – Vero. Per imputare il concorso nella commissione di un reato bisogna dimostrare l’esistenza di accordi fra i soggetti attivi. Difficilmente si troverà una comunicazione esplicita tra ONG e criminali. E’ un fatto oggettivo, però, che l'attività delle ONG dinanzi alle coste libiche, anche se svolta in buona fede, rappresenta la continuazione fattuale delle azioni dei passatori, quale che sia l’elemento soggettivo in capo ai responsabili delle ONG. Qual è la disposizione penale da applicare, allora, per inquadrare e sanzionare questa particolare fattispecie? Bisognerebbe scriverla, nessuno lo fa.
8. «L’Europa non collabora, bisogna cambiare il trattato di Dublino.» – Non solo «questo governo,» ma governi italiani di molti partiti, «e specialmente tutti» [cit.: Giorgio Gaber], hanno firmato per anni clausole del Trattato di Dublino manifestamente contrarie all’interesse dell’Italia; partiti che ieri votavano contro ogni modifica del trattato, oggi ne chiedono ipocritamente la riforma. Il Ministro degli interni italiano non partecipa alle riunioni dei suoi colleghi europei. L’Europa ha molti difetti, ma l’Italia, se vota contro se stessa e si assenta alle riunioni, perde il diritto di lamentarsene.
In questi giorni, sul caso SeaWatch, si è letto di tutto. Di rado le analisi toccano i punti chiave. Servono a mostrare bandiera: io sto di qua, io sto di là. I giornalisti devono obbedire alle linee dei loro giornali; professori, scrittori e commentatori vari devono mostrare fedeltà al pensiero dominante dei salotti culturali, per non perdere le amicizie che contano; l’opinione pubblica segue a pecora gli uni o gli altri, ignorando che dire di sì a una SeaWatch significa accettare che tutta la disoccupazione e il disagio sociale africani si riversino in Europa.
Persino la Chiesa non ricorda mai l’unica cosa che bisognerebbe fare: lavorare in Africa per risolvere le cause dei flussi migratori. Basterebbe meno di ciò che si pensa. Qualche campagna di informazione, che inducesse i giovani africani a non cedere alle lusinghe dei passatori, eviterebbe già molti naufragi. Si possono sostenere progetti già esistenti per creare opportunità immediate (sì, immediate) per coloro che pensando di trovare l’oro in Europa, mentre potrebbero avviare attività commerciali o artigianali nel loro Paese. I dati UNHCR confermano che i veri profughi (a oggi circa 70 milioni), realmente costretti a fuggire, non arrivano in Europa, ma tendono ad allontanarsi il meno possibile dai loro Paesi. E’ lì che bisogna intervenire, ma ciò non porterà mai la visibilità mediatica e politica assicurata dallo scontro tra fazioni sugli sbarchi.
In conclusione: il Ministro degli interni italiano, quando afferma che l’Italia ha diritto di vietare l’accesso ai suoi porti, ha ragione e afferma un principio che troppi suoi predecessori hanno calpestato. Non si mostra in grado, però, di discutere soluzioni con i colleghi in Europa, dove i suoi guizzi retorici non funzionano e serve invece consapevolezza istituzionale. Chi afferma che la legislazione internazionale obbliga al salvataggio dei naufraghi dice una verità incontestabile, ma solo parziale, poiché le norme sul salvataggio non sono state concepite per le situazioni a cui assistiamo oggi. Norme specifiche o sono insufficienti o non esistono e nessuno le sta scrivendo.
Nessuna norma, infine, obbliga gli Stati a consentire l’approdo, neppure alle navi in difficoltà, ma solo a prestare assistenza. Le norme sottolineano la necessità di cooperazione fra Stati coinvolti, ma questa manca. La comandante Rackete e l’organizzazione SeaWatch hanno commesso errori e ingenuità. Si deve apprezzare il loro slancio umanitario, ma giovani come Carola Rackete, fatta oggetto di inaccettabili insulti e incaute tifoserie, andrebbero guidati a concretizzare il loro lodevole altruismo in modo più maturo. Continuando così, non solo non contribuiscono al migliore destino del loro prossimo, ma si espongono al sospetto di agire per cieca infatuazione.
L’Italia avrebbe enormi possibilità, esperienze e credito politico per lanciare una riforma della legislazione internazionale ed europea su tutta la materia delle migrazioni. Avrebbe bisogno di uomini intelligenti e preparati, ma gli italiani votano a rappresentarli disoccupati, bulli di periferia e azzeccagarbugli delle vecchie ideologie. Sbagliano, ma per anni si sono sentiti snobisticamente tacciare di razzismo, ogni qualvolta facevano osservare che il mancato controllo dei flussi migratori causava problemi quotidiani, oggettivi e crescenti. Problemi che non hanno nulla a che fare con il razzismo, ma che ne diventano rapidamente il terreno di coltura.
**IMPORTANTE** – Ogni critica a questa analisi non fatta da chi abbia letto INTEGRALMENTE i testi di legge a cui si fa riferimento, in almeno DUE LINGUE diverse per avere certezza del significato dei termini, e con i necessari presupposti per interpretarne il senso, sarà cancellata.
Non leggete manco gli articoli che linkate
ergo, non servono a niente.Citazione:
Delle 22 assenze di Fontana – nell’arco di due anni di lavoro culminati con l’approvazione del testo in commissione il 6 novembre 2017 – non c’è riscontro documentale, spiega Schlein, “per il semplice fatto che si tratta di incontri informali tra gruppi”.
Comunque, l'articolo è del 2018, tutti gli altri bravi belli e diligenti che sono andati alle riunioni sai cos'hanno concluso? Niente.
Riunioni utilissime.
Minchia e' talmente lesbica che non so manco come concludere la frase :asd:
io non ho linkato nulla, semplicemente vorrei capire perché i leghisti non si presentano a lavoro, tutto qui.
Lamentarsi dei trattati di Dublino senza partecipare né proporre alternative che ha prodotto/produrrà?
"incontri informali" della commissione per sondare i pareri sul testo.
Sono inutili se non ti interessa proporre niente..
provo a cercare tra i tweet di Fontana
a quelle riunioni l'italia presenta in genere un delegato del ministero dell'interno, solo una volta nell'ultimo anno ha presenziato il ministro stesso (quando ha bisticciato col ministro lussemburghese). pratica abbastanza diffusa anche per gli altri stati partecipanti, in realtà.
non è che se non ci va il ministro in persona non ci va nessuno, ecco :asd:
- - - Aggiornato - - -
scritto molto bene, qual è la fonte?
Salvini era parcheggiato a bruxelles (e pagato) mentre si faceva il culo con la campagna elettorale italiana...
Suvvia...in europa ci vanno i trombati, quelli sul viale del tramonto a svernare o le giovane promesse in attesa della serie A.
Checché se ne dica lo fanno tutti gli stati, per il semplice fatto che in europa non si decide un cazzo e quello che conta sono i vecchi rapporti di forza bilaterali tra stati di ottocentesca memoria...(o meglio...l'europa ratifica quello che si è deciso prima...perché altrimenti c'è veto su tutto...).
Uno dei motivi per cui l'europa è in merda è questo (e l'inghilterra rischia di non essere purgata proprio a causa di questa situazione).
Io sono per maggiori poteri in Europa, altrimenti si ritorna alla CEE.
Per come sta messa l'Europa non è in grado di decidere su una materia come l'immigrazione cosi importante a livello politico...la questione può essere risolta solo dai singoli stati trovando un accordo alla vecchia maniera.
Ma sti migranti della seawatch esistono?
Non hanno niente da dire?
Mi danno l'impressione di essere dei bambini coinvolti in un gioco più grande di loro.
Chiamiamoli con il nome giusto preog
Immigrati clandestini
Oppure
Negri
Mah, secondo me migrano perché non sanno o non vogliono fare nulla e nel loro paese non esiste welfare, mentre qui in Italia ci sono io che gli pago il WiFi e il piatto di pasta.
Per lo meno, la maggior parte.
Poi per carità, sono sicuro che sulla Seawatch erano tutti luminari delle scienze scappati dal loro paese perché ci sono le guerre dei cloni o il jihad butleriano.
Non lo sapremo mai.
Cercando stringhe con Google non si trova niente.