CIÒ CHE HO VISTO IN COREA DEL NORD
di Jean-Claude Martini
Chi scrive ha visitato personalmente, dal 16 al 27 di questo mese [agosto 2015], le città di Pechino, Pyongyang e Nampo.
«La Corea del Nord è come la Cina al tempo del Presidente Mao: c’è uguaglianza».
Con queste parole, la nostra guida Angela ci accompagnò, il 21 agosto, all’aeroporto di Pechino da dove avremmo dovuto prendere l’aereo per Pyongyang. Ho potuto notare che è un’opinione diffusa tra molti cinesi, i quali, come lei stessa ci ha detto, vanno nella RPDC per vedere come è, come si presenta, spinti dalla curiosità e anche da idee comuniste. Il volo durò un’ora, ed entrando nel deserto aeroporto non potetti fare a meno di sorridere vedendo per la prima volta in vita mia dal vivo i soldati nordcoreani e il personale di servizio con indosso la spilla a forma di bandiera rossa con le effigi del Generalissimo Kim Il Sung e del Generale Kim Jong Il.
Primo giorno. Passati i controlli (molto meno severi di quanto affermi la propaganda occidentale) usciamo e ci dirigiamo verso le nostre guide, che scopriamo chiamarsi Yu (lui) e Pak (lei). Ero letteralmente estasiato. Era la prima volta in vita mia che vedevo un Paese non solo totalmente fuori dal controllo e dall’interferenza statunitensi, ma anche degno di definirsi davvero socialista. Anche il caldo vento che tirava mi pareva diverso dal vento che sento in Occidente. Durante il viaggio potei osservare dal vivo la campagna di Pyongyang, la sua natura ben tenuta, le sue strade ben pulite, la fantastica città che a spezzoni ho conosciuto nei video su Youtube della KCTV e che adesso osservavo come un tutt’uno dai finestrini del panetto.
Vi era anche un grande raduno in Piazza Kim Il Sung di persone che indossavano tutte un cappellino rosso: credo fosse una manifestazione per condannare gli atti ostili delle marionette sudcoreane al confine. Il compagno Yu, spiegandoci l’utilità dei grattacieli, rimarcò il carattere gratuito della loro assegnazione a lavoratori e scienziati. Notai che la presenza dei militari non è così invadente come la dipinge la propaganda capitalista internazionale, e anzi molti ridevano e scherzavano coi civili, oltre che a lavorare assieme agli operai nella costruzione di case, edifici e alloggi vari (una costante a Pyongyang, il che mi ha dato l’impressione di una città in continua crescita ed evoluzione), così come ci accorgemmo facilmente dell’importanza fondamentale che il Partito dei Lavoratori di Corea dà allo sviluppo culturale del paese e del popolo: moltissimi i teatri ed i cinema.
Non ho visto un solo povero, non ci sono accattoni e il tempo di costruzione delle strade non supera i due anni. Nessuno è inoperoso, tutti sono impegnati a fare qualcosa. La mia felicità cresceva, e giunse al suo apice quando scendemmo per vedere l’Arco di Trionfo. Ammirandolo dal basso verso l’alto, mi resi conto della grandezza di quest’opera, che scrutai in ogni suo particolare: le due date 1925 e 1945, il testo della Canzone del Generale Kim Il Sung, le statue, le dimensioni che superano quelle dell’omologo parigino… Fu qui che confessai al compagno Yu e alla compagna Pak (con la quale mi espressi sempre in spagnolo, lingua che parla molto bene assieme a inglese e cinese) la mia ammirazione per il Generalissimo Kim Il Sung e il Generale Kim Jong Il. Alloggiammo al Yangaggdo International Hotel: un 4 stelle molto ben arredato e mantenuto ma con alcuni difetti, soprattutto l’eccesso di aria condizionata nell’ingresso e nelle stanze, il che rendeva fredde soprattutto queste ultime anche a spegnerla. Fortuna che il personale lo sapeva, e aveva posto nell’armadio una fornitura supplementare di coperte.
Cenammo al ristorante girevole all’ultimo piano, e dopo il compagno Yu ci disse che voleva discutere del programma. Ma solo con mio padre e con mia madre, dicendo che forse io e mia sorella “eravamo stanchi” e avremmo dovuto “riposarci”. Lì per lì ne fui un po’ offeso, perché non capivo come mai non potevo prendere parte alla discussione di un programma nonostante non fossi per niente stanco. Mentre mi perdevo in questi pensieri frivoli e idioti, sentii un suono in bagno che mi distrasse: era il telefono che, essendo in parte staccato dalla parete, si stava per isolare. Un po’ mi mancava Pechino. Ma l’insensatezza dei miei pensieri si rivelò felicemente nei giorni seguenti.
Secondo giorno. Cominciai la mattina accendendo la TV sul canale della KCTV dove trasmisero due belle canzoni (tra cui l’immortale Difendiamo il socialismo) e vari servizi televisivi. La nostra giornata iniziò con la visita a Piazza Kim Il Sung, che raggiungemmo a piedi dopo un breve tratto in panetto. Durante il percorso, mi feci tradurre quanti più manifesti e slogan di propaganda possibile che vedessi ai lati della strada dalla compagna Pak, con la quale conversai amabilmente del più e del meno.
Le dissi quanto fosse fortunata a vivere nella RPDC, visto che in Occidente e particolarmente in Italia le cose vanno di male in peggio, c’è mafia, criminalità, corruzione, insicurezza e nessuno pensa al popolo. Non hanno niente da invidiare al mondo, le dissi, parafrasando il titolo di una nota canzone nordcoreana per bambini. Le confessai anche che ho sognato tantissime volte negli ultimi anni di trovarmi in quella piazza, la qual cosa la fece rispondere con una tenera espressione vocale. Approfittai per chiederle di due questioni che mi interessavano particolarmente: quella dei ritratti di Marx e Lenin e quella del carattere internazionale dell’Ideologia Juché. Sui primi, mi disse di non sapere neanche lei come mai sono stati tolti. «Sono spariti!» mi disse ridendo, e ipotizzò: «Probabilmente è perché noi riconosciamo che Marx e Lenin sono stati grandi maestri del proletariato mondiale, ma essendo stata la nostra una rivoluzione nazionale abbiamo preferito dare priorità alle immagini del Generalissimo Kim Il Sung e di Kim Jong Il».
Ribadì comunque di non sapere con esattezza il perché della loro rimozione. Sul secondo, rispose affermativamente alla mia domanda dicendo che il Juché ha molte caratteristiche «valide non solo per la Corea, ma per tutti i paesi del mondo», come ad esempio la teoria secondo la quale l’uomo è padrone di se stesso. Poi, ovviamente, mi feci tradurre le varie scritte di fianco alle bandiere. Una forte impressione mi fece vedere la bandiera del Partito, quella del Paese e quella del Generalissimo dal vivo, in tutta la loro grandezza. Ci recammo poi alla Grande Casa di Studio del Popolo, dove assistemmo a una lezione d’inglese e ci fecero ascoltare, in un’altra sala, un CD di canzoni italiane in nostro onore. Ho notato che nella RPDC Al Bano e Romina Power sono molto apprezzati: a riprova di ciò, Pak mi disse giorni dopo di conoscere Felicità da un ballo di pattinaggio artistico che aveva visto in TV da bambina. Ne cantammo insieme un pezzo.
Dopo la Grande Casa di Studio del Popolo andammo alla celebre Metropolitana di Pyongyang, addobbata con magnifici dipinti raffiguranti il Generalissimo Kim Il Sung e il Generale Kim Jong Il. In sottofondo, musica e annunci che mi feci tradurre: parlavano delle provocazioni sudcoreane contro la RPDC. Con Pak cantai Passi, che trasmisero. Sentii una carica improvvisa di un misto di rabbia, grinta e determinazione come solo le canzoni militari nordcoreane sanno dare. Nella metro vedevo una grande atmosfera di tranquillità e notai che molte persone dello stesso sesso girano abbracciate in segno di amicizia. Non potei fare a meno di comparare ciò, e il senso di sicurezza che provai in quei momenti per il mio portafoglio e la mia macchina fotografica, alle metropolitane occidentali, spesso caotiche e insicure con gente che si spintona più le eventuali risse. Vidi il Rodong Sinmun in bacheca: vedendo una foto del Maresciallo Kim Jong Un dedussi che l’articolo in prima pagina parlasse della situazione a Panmunjom. Quale migliore occasione per farsi spiegare da una fonte affidabile cosa realmente stesse succedendo? La compagna Pak mi spiegò che le marionette sudcoreane avevano montato una gigantesca apparecchiatura di megafoni diffondenti menzogne contro il nord, il quale più volte ha detto loro di smettere con queste provocazioni. Avendo il sud ignorato questi moniti, fu proclamato lo stato di allerta per i due eserciti.
Pranzammo in una barca sul Fiume Taedong. A essere sinceri, il cibo cinese è qualitativamente migliore di quello coreano quanto a sapori; ma non ho disprezzato nemmeno quest’ultimo. Per contro, bisogna dire che la carne coreana è davvero buona. Solo alcuni pesci potrebbero essere cucinati meglio, ma in generale i nordcoreani mangiano davvero molto. Ho visto tra l’altro qualche ragazzino molto in carne, a smentita della propaganda imperialista che vorrebbe i nordcoreani tutti “smunti” perché “affamati”. Dopo il pranzo, ci dirigemmo alla Collina Mansu per pagare tributi alle due gigantesche statue del Generalissimo Kim Il Sung e del Generale Kim Jong Il.
Inchinarmi per me fu un dovere non solo esterno, cioè comandato dall’usanza, ma anche e soprattutto da un moto interiore di profondo rispetto e riconoscenza verso i due grandi condottieri che hanno guidato la Corea dalla schiavitù feudale prima e dalle rovine della guerra poi verso l’indipendenza, la pace, la modernità e il socialismo, e che per questo si sono guadagnati il meritatissimo rispetto del popolo. Dalla Collina Mansu si vedeva tutta Pyongyang, e a destra dei due monumenti scorgemmo chiaramente la Statua di Chollima. Da lì ci recammo in visita a una scuola media modello di Pyongyang, dove, con mio enorme stupore, fummo accolti da una classe di bambine che eseguì per noi uno spettacolino dalla durata di un quarto d’ora circa, tra danze e canti cui noi stessi alla fine partecipammo. La cosa fu immortalata da una foto di noi con loro. Mi sono sentito un capo di Stato!
Cenammo al piano superiore di un negozio di cui non ricordo il nome ma in cui comprai una bandierina della RPDC. Fu durante la cena che la compagna Pak mi annunciò la fine dello stato di emergenza al confine seguito al ritiro delle apparecchiature propagandistiche sudcoreane. Con gioia comunicai la notizia al resto della mia famiglia. Poi dissi, euforico, alla compagna Pak: «È che al Sud sono codardi e hanno avuto paura!». Le strappai una risata. Molto dolce. Il compagno Yu incalzò: «Il nemico non potrà mai invadere il nostro Paese». Ripensando a quei momenti e a quelle parole, ancora mi vengono i brividi. La RPDC ha vinto sulle marionette sudcoreane, che si sono ulteriormente screditate agli occhi del popolo coreano e dell’opinione pubblica progressista internazionale. Se la Corea del Sud fosse tanto forte, che problemi avrebbe avuto a mantenere i suoi apparecchi al confine? Il fatto è che sono ben coscienti che un esercito di marionette non potrà nulla contro il potente EPC, e che in caso di guerra la dittatura di Park Geun Hye verrebbe clamorosamente sconfitta e la Corea riunificata nell’indipendenza antimperialista, con buona pace degli imperialisti USA.
Terzo giorno. Quella mattina visitammo il Palazzo del Sole di Kumsusan. Me lo ricorderò in eterno perché lì ho rischiato di fare la figuraccia più grossa di tutta la mia vita, oltreché rischiato in generale… È accaduto che ai controlli all’entrata ci avessero fatto lasciare tutto in un cestello, ad eccezione dei portafogli. Quando passai sotto lo scanner elettronico, quello suonò. Dovetti dunque aprire il portafoglio e far vedere al soldato incaricato le monete, le banconote e la tasca delle tessere varie.
Il problema è che tra queste tessere varie c’era pure un preservativo che avevo dimenticato lì da una precedente vacanza in cui peraltro non mi è servito a nulla (infatti all’epoca insistetti perché non mi venisse dato). Quando lo tirai fuori, Pak lo prese e mi chiese cosa fosse. Finsi di non saperlo, e me lo lasciarono poiché nemmeno loro sapevano sinceramente cosa fosse. Pensiero: in Corea del Nord non devono svolgere un’ottima educazione sessuale. Per fortuna mia. A causa della tensione comunque ebbi un accesso di calore che l’incredibile freddo presente in tutto l’edificio contrastava degnamente. Osservando poi le foto dei vari incontri del Generalissimo Kim Il Sung sulla parete a sinistra (a destra c’erano quelli del Generale Kim Jong Il, e la compagna Pak mi spiegò che in questo modo chi entrava vedeva gli uni e chi usciva gli altri), lei mi spiegò chi fossero i vari personaggi. Mi raccontò la storia di Nobičenko, che per salvare Kim Il Sung da un attentato terroristico sudcoreano rimase monco. Poi vidi la foto dell’incontro tra il Generalissimo e il Presidente Mao del 18 aprile 1975. Mi confermò che quest’ultimo gode in Corea del Nord «di un’alta reputazione», e infatti il giorno dopo fu molto apprezzata la maglietta che indossavo, recante le effigi di Marx, Engels, Lenin, Stalin e Mao, sia da lei che da lui. Ho visto in seguito, provando profonda emozione, i feretri di Kim Il Sung e Kim Jong Il, ai quali ci siamo inchinati, poi le sale con alcuni loro regali. Usciti, ci siamo recati al Cimitero dei Martiri, dove abbiamo reso onore alla compagna Kim Jong-Suk, e al Cimitero antico, nonché a un tempio buddhista che, contrariamente a quello di Pechino, era immerso nella natura, e quindi a mio parere (come dissi poi alla compagna Pak a mo’ di pretesto di conversazione) favoriva molto meglio la meditazione, immaginandomi magari uno che ha appena staccato dal lavoro.
Pranzammo su un monte nelle vicinanze, dove udimmo alcuni coreani residenti in Giappone cantare al karaoke per divertirsi. Riconobbi Non abbiamo niente da invidiare al mondo, cantataci anche alla succitata scuola media, e ne cantai un pezzo con Pak. Dopo il pranzo ci recammo alla fattoria collettiva di Chongsanri, dove visitammo un asilo munito pure di piscina. I bambini si divertivano molto: una, abbastanza in carne, ci corse incontro ridendo e noi la salutammo con simpatia. Potei vedere i ritratti di Kim Il Sung e Kim Jong Il, le foto delle atrocità degli imperialisti USA ai tempi della guerra (è giusto che i bambini sappiano come va il mondo!) e varie scritte in coreano con dati che, da quello che ho potuto dedurre, rappresentavano l’aumento del numero dei bambini che si iscrivevano all’asilo in vari anni. All’uscita mi feci tradurre lo slogan sul cancello («Non abbiamo niente da invidiare al mondo!») e quello sull’ingresso della porta dell’asilo («Grazie, rispettato Maresciallo Kim Jong Un!»). Da lì ripartimmo per Nampo, dove vidi grandi paesaggi di campagna con spighe di grano alte fino a 3 metri e contadini che lavoravano assieme ai militari. Pernottammo là.
Quarto giorno. Alla mattina fummo avvertiti dalle compagne guide che non avremmo potuto andare a Kaesong, terza tappa prevista dal programma iniziale, per ragioni di sicurezza. Ritornammo dunque a Pyongyang. Vidi nel tragitto altri paesaggi di campagna ancora più floridi di quelli dell’andata: qui le spighe di grano raggiungevano anche i 4-4.50 metri di altezza, c’erano pannocchie di grano ammassate per un metro e mezzo circa ogni poco, le spighe di riso pure avevano un bell’aspetto e il bestiame era ben nutrito e in carne (dunque delle mietitrebbie, che peraltro credo controproducenti per le peculiarità delle campagne nordcoreane, i contadini possono fare evidentemente a meno senza problemi).
Da ciò mi è venuto spontaneo dedurre che il raccolto di quest’anno sarà eccellente. Al ritorno nella capitale, ci siamo recati in una libreria dove ho speso circa 90 euro per comprare 25 tra libri, volumi, riviste e spille. Il compagno Yu e la compagna Pak, ridendo, li hanno contati; sicuramente mi avranno preso in giro per un’ora parlando in coreano! Recandoci in Piazza Kim Il Sung ho notato che tutta Pyongyang è addobbata a festa per celebrare la ricorrenza del giorno dopo, 55° anniversario dell’inizio della rivoluzione Songun da parte del Generale Kim Jong Il. Ho assistito a una partitella a pallavolo amatoriale. La sera ci siamo recati al Parco dei Divertimenti, che il maresciallo Kim Jong Un visitò due o tre anni fa facendo pure un giro sull’attrazione con le poltrone che compiono giri a poco a poco più ampi fino a raggiungere i 360 gradi. Non mi sono mai divertito tanto. Abbiamo giocato ai videogiochi (terzo alla guida dopo una partenza disastrosa :B): ma nella guerra coi giapponesi non ho avuto tanta fortuna), siamo stati sulle montagne russe col compagno Yu e sull’autoscontro, concludendo il tutto con un giro sul trenino.
C’è stato pure un momento di scambio culturale, quando con le guide nostre e quella del parco ho cantato alcune canzoni nordcoreane: La luna splendente della mia patria, Nessuna patria senza di te, la Canzone del Generale Kim Il Sung, la Canzone del Generale Kim Jong Il e Difendere i quartieri generali della rivoluzione. Per cena tornammo al Yangaggdo: non faceva più tanto freddo e questa volta cenammo al piano terra.
Quinto giorno. In tarda mattinata ci recammo al Monte Mohyang, nel Nord Pyongan, dove visitammo il Museo dei regali al Generalissimo Kim Il Sung, al Generale Kim Jong Il e al Maresciallo Kim Jong Un. Ciò che mi ha stupito è stato vedere la quantità di regali consegnati a quest’ultimo, datati anche a quando non era ancora al potere e in Occidente era pressoché sconosciuto. Per l’Italia è stato soprattutto Giancarlo Elia Valori a tenere alta la bandiera dell’amicizia del nostro popolo col popolo nordcoreano. C’erano poi foto dei vari incontri dei tre Presidenti con varie figure di tutti i paesi.
Ho visto tra le altre cose il treno usato dal Generalissimo Kim Il Sung e quello usato dal Generale Kim Jong Il, dove morì nel 2011, così come le loro macchine, due Mercedes come peraltro ne ho viste spessissimo a giro per le strade di Pyongyang e Nampo, segno evidentissimo che entrambi non ebbero mai lussi e vivevano come il popolo (tra l’altro, il modesto hotel di Nampo, strutturato più come un bungalow, era un alloggio per i funzionari di Partito negli anni ’70), e segno evidentissimo pure del fatto che il popolo nordcoreano non se la passa così male come ci vogliono far credere qui: ho visto molti SUV di marca nordcoreana; le marche straniere più gettonate sono appunto Mercedes, Nissan e Toyota. Ho visto anche qualche FIAT e addirittura una Rexton.
Alla fine della visita al Museo dei regali ci furono dati dei fogli dove scrivere le nostre impressioni. Io scrissi: «È stato impressionante vedere la quantità di doni consegnati al Generalissimo Kim Il Sung, al Generale Kim Jong Il e al Maresciallo Kim Jong Un da parte delle personalità progressiste e dei popoli dell’intero mondo, il che testimonia che la Repubblica Popolare Democratica di Corea sarà sempre il fermo baluardo e il faro delle speranze di libertà, democrazia, pace e indipendenza dell’intero genere umano». La risposta della guida, in seguito alla traduzione della compagna Pak, fu per certi versi ancor più lusinghiera: mi disse che posso fare molto e che di fatto lavoro per la causa dell’amicizia tra Italia e Corea, elogiando le mie conoscenze e le mie parole. Comprai poi altre due pubblicazioni: il discorso conclusivo del Maresciallo Kim Jong Un alla sessione plenaria del PLC del marzo 2013 e una Storia delle attività rivoluzionarie del Presidente Kim Il Sung. Cenammo al ristorante di un altro albergo e cantai con la compagna Pak Nessuna patria senza di te, che suonavano in TV.
Sesto giorno. In quello che avrebbe dovuto essere il nostro ultimo giorno nella RPDC abbiamo visitato il Museo storico della Corea, la Torre dell’Ideologia Juché, il negozio di francobolli e perfino l’hotel Koryo, che non era in programma. Perciò arrivammo tardi all’aeroporto e non riuscimmo a prendere l’aereo, costringendoci a rimandare al giorno dopo la partenza. Ci furono qualche problema e diverse incomprensioni: tutto sembrò fatto apposta per non farci arrivare in tempo.
In breve abbiamo scoperto che la colpa è stata di un funzionario corrotto che ha cercato di farci spendere di più per una notte, ma la cosa si è rapidamente risolta e non abbiamo dovuto spendere più del dovuto. Tutto questo ha comunque creato grattacapi seri tanto a noi come alle compagne guide. La mattina dopo comunque giungemmo regolarmente a Pechino e per la sera tornammo a Firenze.
Riflessione finale: nonostante l’ultimo inconveniente finale, è stato un soggiorno perfetto: l’efficientissima organizzazione dello Stato nordcoreano si è dimostrata coi fatti ai nostri occhi. Tutto era ben programmato e ogni inconveniente si è risolto in tempi brevissimi. La corruzione, d’altro canto, si è rivelata esistente, seppure ovviamente non ai livelli endemici dell’Occidente.
La Corea del Nord è un potente Stato socialista che lotta per migliorarsi ed evolvere continuamente, e non c’è dubbio che i difetti che si manifestano nella sua edificazione socialista verranno eliminati grazie al controllo e alla partecipazione popolari. Ho visto coi miei occhi che il socialismo nordcoreano funziona.
E c’è di più: sono fermamente convinto che l’esperienza e l’esempio della RPDC possono fungere da punto di ripartenza della questione comunista tanto in Italia come negli altri paesi del mondo.
Fonte:
http://www.parmadaily.it/245485/cio-...orea-del-nord/