Se interessa uno spaccato sincero del sistema-Italia, si può iniziare dal dopopartita di Cagliari-Juventus. Prologo: Moise Kean, 19 anni, di Vercelli, è vittima di fischi e ululati scimmieschi a ogni pallone toccato per diversi minuti di gioco, poi esulta sotto la curva di casa il suo gol del 2-0 (càpita: non è sportivissimo, ma nemmeno tragico). Epilogo: studi Sky, un giovane conduttore condanna l'episodio razzista in due parole, notando en passant «Kean ha voluto sfidare un po’ troppo il pubblico di Cagliari» (dunque alle “sfide” bisogna stare attenti, pena la riduzione a macaco); il bordocampista della rete, in collegamento da Cagliari, spiega subito che si trattava di «pochi individui isolati» (in diretta sembrava di trovarsi di fronte a una sedizione di primati, ma pazienza, avremo sentito male). Poi arriva Leonardo Bonucci, senatore della Juventus, e dice senza fare un plissé che la colpa è da dividere «50 e 50» tra il suo compagno di squadra di colore e la tifoseria cagliaritana. Non contenti, i giornalisti Sky chiedono quindi all'appena giunto Max Allegri, allenatore della Juve, se la mancata maturazione di Kean si nota anche da «un'esultanza come quella». Il gran finale è la comparsata del buffo presidente del Cagliari, un individuo anonimo di cui non vale la pena nemmeno cercare il nome su Google, che spiega, afferma, ripete che «il pubblico avrebbe fatto lo stesso con qualunque altro giocatore», e fa anche i nomi ipotetici di Bonucci e Bernardeschi (erano ululati *incidentalmente* razzisti, pare di capire, dunque: si usa la scimmia per convenzione sportiva). A guardar bene, c'è tutto: victim blaming, benaltrismo, minimizzazione cialtron-procedurale, assenza di consequenzialità logico-razionale e una generale connaturata tendenza a fare spallucce e dire che siamo meglio di come ci dipingono (e invece no: ci dipingono male perché facciamo schifo).