Life is Strange sopravvalutatone degli ultimi cinque anni; se per tutto il gioco ribasci in modo odioso e privo di coraggio che modificare le scelte del passato non porta mai a nulla di buono (abitudine da sempre accomodante, dai what if fumettistici alle derive cinematografiche tipo il citato The Butterfly Effect) almeno evita di farmi la morale come se ogni volta avessi un grillo parlante sulla spalla. Il mio problema più grande però sono state le protagoniste; odiose allo sfinimento e tipiche diciassettenni da clichè così come potrebbe immaginarle un orrendo quarantenne che viene dai film-tv. Finale (l'unico sensato, l'altro è talmente sbrigativo e assurdo da sembrare una presa per i fondelli) che lasciamo perdere da quanto è telefonato e rapinosetto. La mia impressione, fin dall'uscita episodica, è stata quella di prodotto narrativo costruito a tavolino per far sentire intelligente chi è abituato a molto meno, inevitabile il successo presso determinate frange di videogiocatori. Gli riconosco alcuni momenti riusciti, una buona atmosfera iniziale e la sensazione illusoria di poter realmente cambiare le cose tramite le nostre azioni (proposito in cui i Telltale spesso falliscono miseramente). Un seguito con personaggi e situazioni diverse lo giocherei volentieri - più del prequel che si prefigura venefico - anche perchè tutto sommato di Dontnod mi fido abbastanza.
Nel frattempo ho rigiocato e finito Dead Island, questa volta in veste remastered su PS4. Rimane un gioco dal concept brillante e fra i migliori zombi-games mai realizzati, almeno nelle prime fasi (grande uso del sonoro e ambientazione d'eccezione). Poi il backtracking inizia a farsi persistente fino a prendere per sfinimento, complici gli incarichi che presto si rivelano del tutto privi di varietà e personalità, inesorabilmente ancorati alla funzione "vai dal punto A al punto C passando per B" di volta in volta declinata nel ruolo di fattorino o di bodyguard del Bimbo Gigi di turno. Voto 6.