Congedo mestruale per le dipendenti di un’azienda di Bristol
By Adriana Costanzo on 2 marzo 2016

La Coexist, un’azienda di Bristol, nel Regno Unito, ha deciso di introdurre un congedo mestruale per le dipendenti afflitte dai dolori connessi al ciclo mestruale. L’obiettivo è dare loro una maggiore flessibilità e creare “un ambiente lavorativo felice e sano”.

L’idea è nata quando la direttrice Bex Baxter ha visto alcune lavoratrici soffrire molto durante il ciclo: “Si sentono in colpa e in imbarazzo a mettersi in malattia per qualcosa che le mette fuori uso una volta al mese e quindi piuttosto tendono a nasconderlo” ha spiegato la manager che così ha inserito la particolare esenzione nello statuto della sua compagnia.

Per farlo ha anche indetto un seminario che si terrà il 15 marzo alla Hamilton House di Bristol, basato sul lavoro di Alexandra Pope, fondatrice del programma di leadership femminile Red School, che si fonda proprio sull’idea di poter trasformare il ciclo mestruale in una forza per le donne.

In effetti, l’NHS, il sistema sanitario britannico, sostiene che ben il 90% delle donne soffra di dolori mestruali, mentre un altro studio riconosce che almeno il 14% della popolazione femminile sia incapace di lavorare durante quei giorni.

Per quanto rovoluzionaria, la scelta non è una novità assoluta. Il primo paese ad introdurre il congedo mestruale, nel 1947, è stato il Giappone, seguito poi da Corea, Filippine, Taiwan, Hong Kong e Cina. A livello internazionale la compagnia che lo ha introdotto in tutto il mondo è la Nike, che dal 2007 lo ha inserito come standard nel suo Codice di condotta in tutti i paesi in cui opera.

Non è mancato chi ha criticato la politica aziendale perché discriminatoria e proprio a loro la Baxter ha risposto che “quando le donne hanno il ciclo sono come in letargo invernale, hanno bisogno di guarire, stare al caldo, nutrire il loro corpo. Ma ‘l’estate’ dei loro corpi, immediatamente dopo il ciclo, è un momento in cui sono tre volte più produttive del solito”.

La notizia però ha sollevato anche delle proposte in Italia. Soprattutto nell’ambito pubblico e nel mondo scuola c’è chi dice che sarebbe una scelta buona se non obbligatoria
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