La legge n. 242 del 2016 indica le finalità per le quali la coltivazione della canapa è consentita o, meglio, per le quali è “promossa”, ma non disciplina la commercializzazione della canapa oggetto della coltivazione, essendo diretta ai produttori e alle aziende di trasformazione e non regolando i passaggi successivi del prodotto.
La commercializzazione, tuttavia, deve ritenersi implicitamente consentita per i prodotti della canapa oggetto del "sostegno e della promozione", espressamente contemplati negli artt. 2 e 3 della legge medesima. Si tratta di una legge di "sostegno e... promozione" della produzione, nella quale, quindi, il riferimento a determinate tipologie di uso non comporta che siano di per sé vietati gli altri usi non menzionati, né potrebbe essere ritenuta vietata la commercializzazione del prodotto di tale sostegno.
6.
La questione che sorge, a questo punto, è se la commercializzazione possa riguardare anche la vendita al dettaglio delle infiorescenze, contenenti il THC, nei limiti fissati dalla legge n. 242 del 2016.
Al riguardo, secondo un indirizzo, la liceità della cannabis è circoscritta alla sua coltivazione e alla destinazione dei prodotti coltivati entro l'alveo degli scopi esplicitamente contenuti nella legge n. 242 del 2016.
Le disposizioni di questa legge che consentono, a certe condizioni, la coltivazione di cannabis, infatti, sono ritenute norme eccezionali, non estensibili analogicamente alle altre condotte disciplinate dal d.P.R. n. 309 del 1990, tra le quali la vendita e la detenzione per il commercio. Da questo assunto, si conclude che la presenza di un principio attivo sino allo 0,6% esenta da responsabilità il solo coltivatore, non anche per chi commercia i prodotti derivati dalla cannabis (Cass. pen. sez. VI, n. 56737 del 27/11/2018; Cass. pen. sez. VI, n. 52003 del 10/10/2018; Cass. pen. sez. IV, n. 34332 del 13/06/201
.
(...)
Il collegio, invece, propende per la diversa interpretazione secondo cui la liceità della commercializzazione dei prodotti della predetta coltivazione (e, in particolare, delle infiorescenze) costituisce un corollario logico-giuridico dei contenuti della legge n. 242 del 2016.
Dalla liceità della coltivazione della cannabis alla stregua della legge citata, in altri termini, deriva la liceità dei suoi prodotti contenenti un principio attivo THC inferiore allo 0,6%, nel senso che non possono più considerarsi (ai fini giuridici) sostanza stupefacente soggetta alla disciplina del d.P.R. 309 del 1990, al pari di altre varietà vegetali che non rientrano tra quelle inserite nelle tabelle allegate al predetto d.P.R.
(...)
Così ricostruita la disciplina applicabile, la Corte ha affermato che, se il rivenditore di infiorescenze di cannabis provenienti dalle coltivazioni considerate dalla legge n. 242 del 2016 è in grado di documentare la provenienza lecita della sostanza, il sequestro probatorio delle infiorescenze, al fine di effettuare successive analisi, può giustificarsi solo nei casi in cui emergono specifici elementi che rendano ragionevole dubitare della veridicità dei dati offerti che lascino ipotizzare la sussistenza del reato di cui all’art. 73, comma 4, del d.P.R. n. 309 del 1990.