<<< Ha deciso, comandante?
«Io voglio entrare. Entro nelle
acque italiane e li porto in salvo a
Lampedusa. Sto aspettando cosa
dirà la Corte europea dei diritti
dell’uomo. Poi non avrò altra scelta
che sbarcarli lì».
<<< La accuseranno di favorire
l’immigrazione clandestina e
forse di associazione per
delinquere.
«Lo so».
<<< La multeranno e la nave
Sea-Watch 3 sarà confiscata.
«So anche questo. Ma io sono
responsabile delle 42 persone che
ho recuperato in mare e che non ce
la fanno più. Quanti altri soprusi
devono sopportare? La loro vita
viene prima di qualsiasi gioco
politico o incriminazione. Non
bisognava arrivare a questo
punto».
<<< Ha paura?
«E chi non l’avrebbe, al posto
mio?».
Quando leggerete quest’intervista,
realizzata ieri pomeriggio, la
capitana tedesca Carola Rackete
(31 anni) potrebbe aver già
oltrepassato il Rubicone delle
acque territoriali, una linea
invisibile distante dodici miglia
nautiche dalle coste italiane lungo
cui il ministro dell’Interno Matteo
Salvini ha eretto il suo Decreto
sicurezza bis. Potrebbe essere già a
terra a spiegare alla polizia le sue
ragioni. Oppure sarà ancora là
fuori, quindici miglia a sudest di
Lampedusa, a disegnare una rotta
schizofrenica che va avanti da
tredici giorni. Con le spalle
appesantite da una scelta che
dentro di sé ha già preso ma che,
non riguardando solo lei, tarda a
mettere in atto.
<<< Qual è la situazione a bordo?
«I migranti sono disperati.
Qualcuno minaccia lo sciopero
della fame, altri dicono di volersi
buttare in mare o tagliarsi la pelle.
Non ce la fanno più, si sentono in
prigione. L’Italia mi costringe a
tenerli ammassati sul ponte, con
appena tre metri quadrati di spazio
a testa».
<<< Avete anche minorenni?
«Tre ragazzi di 11, 16 e 17 anni. Non
stanno male, ma in Libia hanno
subito abusi. Il 14 giugno ho fatto
richiesta al Tribunale dei
minorenni di Palermo perché
prendesse in carico il loro caso.
Non mi ha risposto nessuno».
<<< Comunicate con il Centro di
coordinamento soccorsi di Roma?
«Invio almeno dieci mail al giorno
alle diverse autorità competenti, in
Italia, in Olanda, a Malta. Allego
anche il report con le condizioni
sanitarie dei migranti. Da Roma mi
rispondono “non siamo
responsabili”. Allora chiedo il place
of safety, il porto di sbarco, e mi
ripetono “non siamo responsabili”.
Girano tutte le mie mail al
ministero dell’Interno, dicono di
avere le mani legate. È chiaro che il
Centro è stato esautorato, è Matteo
Salvini che decide e provoca lo
stallo».
<<< Secondo lui dovreste andare in
Olanda, il vostro Paese di bandiera.
«È ridicolo, bisognerebbe
circumnavigare l’Europa!
Oltretutto anche l’Olanda non
collabora. “Non è colpa nostra se in
Libia c’è la guerra”, ci dicono. “Non
è colpa nostra se l’Africa è
povera”.Siamo circondati
dall’indifferenza dei governi
nazionali».
<<< Perché non andate a Malta?
«Ha negato l’autorizzazione».
<<< La Tunisia?
«Non ha una normativa che tuteli i
rifugiati. La nave Maridive 601, che
aveva salvato 75 migranti, l’hanno
fatta stare 18 giorni al largo di
Zarzis senza farla attraccare. Ma di
cosa stiamo parlando? Lampedusa
è il porto sicuro più vicino. Il Centro
di Roma sostiene di non essere
responsabile, poi però ha
acconsentito a far sbarcare i
migranti che stavano male. Ora gli
altri rimasti a bordo ci chiedono
quanto dolore bisogna provare per
poter scendere a terra».
<<< È pronta ad assumersi tutte le
responsabilità?
«Sì, e lo ero fin dall’inizio di questa
storia. Sarei entrata subito a
Lampedusa, perché la situazione
politica mi sembrava così
compromessa da non lasciare
speranze. Però non sono sola, la
mia scelta avrà conseguenze legali
anche sul capo missione, sul
proprietario della nave e sulle
persone di Sea-Watch che a terra
lavorano con noi. Rischiano di
essere accusati di reati gravissimi.
Non è facile, sono preoccupata per loro».
<<< Come riesce a rimanere calma?
«Non ho tempo per perdermi
d’animo. Passo le giornate a fare ciò
che un capitano di nave non
dovrebbe fare: cercare un porto di
sbarco. È compito delle autorità
statali darcelo. Nessun
comandante dovrebbe subire la
pressione che sto subendo io. La
sera ci ritroviamo a cena con i 22
dell’equipaggio e parliamo,
condividiamo sensazioni,
cerchiamo di tenere il morale alto.
Ma è dura, la notte non ci dormo».
<<< Cosa spera, Carola?
«Che i giudici italiani, alla fine,
riconoscano che non siamo scafisti
né una minaccia per la sicurezza
nazionale dell’Italia, come invece
sostiene Salvini».
<<< Se potesse parlare con il
ministro cosa gli direbbe?
«Gli direi che l’importanza della
vita umana è un valore ereditato
dai grandi pensatori greci e
romani, e non dovrebbe farci sopra
i suoi giochi politici».
<<< Si era mai trovata in una
situazione così complicata?
«Mai, nemmeno quando ero sulle
navi rompighiaccio in mezzo al
mare artico».
<<< Ma come è finita nel
Mediterraneo a salvare i
migranti?
«La mia vita è stata facile, ho potuto
frequentare tre università, a 23
anni mi sono laureata. Sono bianca,
tedesca, nata in un Paese ricco e
con il passaporto giusto. Quando
me ne sono resa conto, ho sentito
un obbligo morale di aiutare chi
non aveva le mie stesse opportunità».
<<< Quando l’ha capito?
«Durante il mio primo viaggio
all’estero, in Sud America. Ho
conosciuto culture e popoli diversi
dal nostro, e quando sei lì, a meno
di non essere cieco, non puoi non
accorgerti dell’ingiustizia e della
diseguaglianza che ci circonda.
Dovevo fare qualcosa per chi non
ha voce e non ha forza».