A una settimana dal voto in Emilia Romagna, le sardine alzano il tiro della loro polemica contro Matteo Salvini e nello stesso tempo prendono di mira la comunicazione politica sul Web.
I due nemici si identificano e il leader, Mattia Santori, ora parla addirittura di «populismo digitale». Nella narrazione di questi improvvisati agenti emiliani della «buon costume», il principale artefice della «violenza digitale» sarebbe ovviamente il leader della Lega.
La soluzione? L' espulsione dal Web, transitoria o definitiva, con un procedimento simile a quello applicato negli stadi per gli ultrà. Santori propone infatti un daspo, unito alla «vigilanza di un organo di polizia che garantisca che c' è un livello di sostenibilità democratica all' interno dei social network».Quello di controllare, vigilare, reprimere, ovviamente a fin di bene, è un' idea fissa che accompagna il movimento delle sardine fin dalla loro prima apparizione in pubblico.
Si ricordi la roboante proposta lanciata sulla piazza romana di obbligare i ministri a comunicare solo «attraverso i canali istituzionali»: una prescrizione assurda nell' epoca dell' informazione 2.0, che, se applicata con rigore, impedirebbe anche al Papa di fare un tweet.
Si noti anche il linguaggio anni Settanta: quel «livello di sostenibilità democratica» ricorda da vicino il concetto di «agibilità democratica» che facilmente i militanti di sinistra negavano a chiunque fosse loro sgradito.Facile obiettare alle sardine che chi è senza peccato «digitale» scagli la prima pietra. Ai primi dell' anno, dal loro bel mare è emersa una parodia un po' infame di Gianluca Buonanno, il dirigente leghista morto in incidente automobilistico. Giulia Bridget Bodo pubblicava su Facebook una foto del deputato con la seguente didascalia: «Buonanno a tutti i leghisti».
Mentre altre sardine rilanciavano una foto di Salvini che donava il sangue commentando: «Condividi se anche tu hai sperato che gli stessero facendo l' iniezione letale».
Umorismo da quattro soldi, che però non sembra incorrere in furori censori.
Nota il commentatore politico Alessandro Sansoni: «Si cerca oggi di diffondere l' idea che Salvini sia l' unico responsabile dell' attuale livello della comunicazione politica, ma in realtà il livello si era abbassato di molto a partire dalle piazze del Vaffa day».
Il vaffa il famoso slogan politico che ha fatto la fortuna di Beppe Grillo e che oggi sembra ammiccare alle sardine.Ma volendo andare più indietro nel tempo, ricordiamo che per un ventennio la polemica politica di sinistra si è nutrita di «somatizzazioni», di riferimenti alla fisicità dell' avversario, a voler usare un eufemismo.
Prima ancora che Grillo coniasse per Silvio Berlusconi l' epiteto di «psiconano», già a sinistra si sprecavano gli insulti a Renato Brunetta.
Violenze verbali forse passate in prescrizione.
Per realizzare la sua utopia «cinese» di un controllo censorio a tappeto, Santori finisce col riprendere la proposta dal ministro per l' Innovazione tecnologica, la grillina Paola Pisano, che aveva proposto la «password di Stato» per accedere a Internet, salvo poi fare marcia indietro in poche ore dopo essere stata sommersa dalle critiche.
Riciclare la sparata grillina non è il massimo per un movimento che si vuole libero e innovativo e che forse prima di pretendere di controllare le comunicazioni degli avversari dovrebbe verificare meglio la capacità di autocontrollo della propria base.