Ricciardi: «Serve il lockdown delle città, solo così fermeremo i contagi»
Il consulente del ministro Speranza: «È l’ultimo tentativo prima di chiudere tutto il Paese I posti letto sono saturi, la mortalità per malattie oncologiche e cardiache è salita del 10%»
PAOLO RUSSO
09 NOVEMBRE 2020
ROMA. Walter Ricciardi, super consulente del ministro Speranza e professore ordinario di Igiene alla Cattolica, difende il sistema di misure calibrate sulle fasce di rischio, ma per le grandi città dove l’epidemia è fuori controllo chiede il lockdown. Mentre lancia l’allarme ospedali: «I posti letto sono già saturi, il rinvio di ricoveri e interventi sta già facendo aumentare del 10% la mortalità per malattie oncologiche e cardiovascolari». Per questo, dice, «serve un patto tra istituzioni e cittadini per applicare con rigore le misure già adottate». Perché il collasso degli ospedali «si evita solo raffreddando la crescita della curva epidemica».
Il monitoraggio sta per cambiare i colori alla cartina dell’Italia. Ma si possono affidare decisioni vitali per tante attività economiche a un algoritmo?
«Non è un algoritmo, ma un sistema di 21 indicatori, scientificamente inappuntabile, in grado di segnalarci dove ci siano situazioni di difficoltà o di espansione epidemica fuori controllo. Ma il sistema per funzionare ha bisogno di essere alimentato tempestivamente da dati completi. Quello che si può fare in questa fase è raffinarlo e semplificarlo. Ma le decisioni si prendono in base a considerazioni epidemiologiche, non politiche».
Ma ha senso con questo livello di diffusione del virus dividere il Paese in fasce?
«Si, perché di fatto abbiamo zone oramai fuori controllo e altre nelle quali è ancora possibile controllare la curva dei contagi e fare contact tracing. Questo è l’ultimo tentativo prima di essere costretti a calare la carta del lockdown nazionale che nessuno vorrebbe dover giocare. E per non sprecare questa opportunità è bene che le Regioni collaborino».
La situazione sembra esplosiva soprattutto nelle grandi metropoli. Servirebbe agire con maggior decisione li?
«Non c’è dubbio. Servono dei veri lockdown cittadini e spetta ai governatori proclamarli. Vedo troppa gente ancora in giro per le strade. Nelle grandi città, penso soprattutto a Milano, Genova, Torino e Napoli serve agire con decisione e farlo presto».
Le misure attuali non bastano?
«La semplice raccomandazione a non muoversi di casa riduce del 3% l’incidenza dei contagi, il lockdown del 25%. Se a questo accoppiamo lo smart working, che vale un altro 13% e il 15% determinato dalla chiusura delle scuole si arriva a quel 60% che serve per raffreddare l’epidemia. Per questo dico che fermare un attimo tutto dove la situazione è già fuori controllo è l’unica soluzione possibile».
Intanto negli ospedali la percentuale di letti occupati dai pazienti Covid ha superato la soglia di sicurezza…
«È un disastro. In molte regioni si stanno rinviando ricoveri e interventi chirurgici. Quando si dice rinviamo gli interventi elettivi che richiedono il post operatorio in terapia intensiva, parliamo di sostituzioni di valvole cardiache o interventi oncologici demolitivi per arginare i tumori. Già oggi la mortalità per le malattie cardiovascolari e oncologiche è aumentata del 10%».
Come se ne esce?
«L’unica soluzione è raffreddare la curva epidemica. Per questo dico che tutti, istituzioni e cittadini, dobbiamo giocarci bene questa carta delle misure differenziate».
Intanto i positivi sintomatici in isolamento domestico si sentono abbandonati. Cosa non sta funzionando?
«Non è facile fronteggiare un’epidemia di questa portata, soprattutto dopo anni di tagli alla sanità. Ma ci sono anche le responsabilità di chi ha avuto a disposizione un miliardo e 400 milioni per assumere personale e mettere in sicurezza gli ospedali e invece non lo ha fatto. Però adesso serve anche un maggior coinvolgimento dei medici di famiglia, che devono seguire i loro assistiti per evitare l’intasamento di ospedali e pronto soccorso».
Come?
«Bisogna rivedere la governance della sanità territoriale. O i medici di base passano a un rapporto di dipendenza oppure restano nella libera professione ma all’interno di accordi con il servizio sanitario pubblico più stringenti, dal punto di vista delle funzioni, degli strumenti e degli orari di apertura degli studi».
Le regioni non riescono a stare più dietro alla richiesta di tamponi. Come si risolve il problema?
«I test hanno una funzione importantissima e vanno fatti. Potremmo farli fare anche agli Irccs, gli Istituti di cura a carattere scientifico, sia pubblici che privati. E per alleggerire la pressione sui laboratori non eseguire i tamponi ai contatti stretti, che però devono fare i 14 giorni di quarantena. Ma servono comportamenti responsabili da parte di tutti. In Francia molti non hanno rispettato l’isolamento domiciliare e il risultato è stato il lockdown nazionale».
Lei sta seguendo la partita dei vaccini. Possiamo chiudere con una buona notizia?
«In realtà siamo un po’ in ritardo perché non sono ancora arrivati i dati sulla sperimentazione allargata sull’uomo di fase 3 né del vaccino di AstraZeneca, previsti per ottobre, né quelli della Pfizer che dovevano arrivare questa settimana. Nella migliore delle ipotesi l’Ema, l’Agenzia europea del farmaco, potrà autorizzare l’immissione in commercio nei primi mesi del 2021. Che saranno ancora di dura battaglia. Poi tra vaccino, nuove cure ed effetto delle misure adottate in autunno dovremmo vedere la luce. Ma per uscire dal tunnel servirà buona parte del prossimo anno». —