
Originariamente Scritto da
Kraven VanHelsing
uno degli studi citati è quello sottomesso a Nature, e non ancora pubblicato, in cui un team di ricerca anglo-indiano ha misurato su un piccolo campione di medici, vaccinati e contagiati in tre diversi ospedali, il livello di virus trovato nel naso di chi si è infettato con la variante Delta. Oltre a qualche dato inglese circa la maggiore durata di una carica virale più alta (una mediana di 18 giorni per la variante Delta, contro 13 giorni per le varianti ancestrali), dato questo che implica anche una possibile revisione della durata della quarantena nei soggetti infetti.
A questi dati, per quel che riguarda la variante Delta sono affiancati nel materiale della Cdc i dati misurati in una epidemia recente di casi avvenuta nella contea di Barnstable, località turistica del Massachusetts ove i residenti presentano una copertura vaccinale con due dosi molto alta. Nei nasi di questi soggetti vaccinati, la quantità di virus Delta presente è risultata 3 volte maggiore (non 1.000 volte, forse c’è stato un errore nella base dei logaritmi) rispetto alle altre varianti; soprattutto, paragonando 80 soggetti vaccinati e 65 non vaccinati, la carica virale è risultata pressoché la stessa. Inoltre, fonti Cdc hanno dichiarato ai giornali che si sono osservate trasmissioni da individui vaccinati ad altri individui vaccinati, a giudicare dal fatto che alcuni pazienti sono stati trovati infetti da virus con sequenza identica; questo dato, se confermato ed esteso, è il primo caso documentato del suo genere.
Al netto di questi elementi, le conclusioni che si possono trarre dal materiale presentato sono le seguenti. La variante Delta è differente perché:
a) E’ molto contagiosa – Cdc afferma che la contagiosità è ormai paragonabile a quella della varicella, e quindi per esempio superiore a quella del raffreddore.
b) Probabilmente causa conseguenze cliniche più severe; questo sulla base dell’analisi dei dati dell’esito clinico di infezione riportati per Canada, Singapore e Scozia. Ciò, per inciso, indica ancora una volta come bisogna andare molto cauti nell’immaginare che la traiettoria evolutiva di un virus comporti necessariamente la perdita di rilevanza clinica – ricordate la sciocchezza del virus buono?
c) Le infezioni tra i vaccinati, quando avvengono, potrebbero causare la trasmissione come tra i non vaccinati. Il condizionale è d’obbligo, perché il tasso di attacco – cioè quanti soggetti si ammalano fra i contatti di un vaccinato, rispetto a quanto avviene per un non vaccinato – non è stato misurato, ma per ora si hanno i dati solo sulla carica virale.
d) Al tasso attuale di vaccinazione negli Usa, sono necessarie anche le misure non farmacologiche (tra cui le maschere al chiuso per tutti). Notare le condizioni al contorno: negli Usa, la variante Delta è in forte crescita, e visto che si può avere un caso di infezione fra i vaccinati per ogni 3 fra i non vaccinati (pur se con conseguenze cliniche mediamente molto diverse), è necessario ripristinare alcune misure non farmacologiche, come le mascherine al chiuso e il divieto di assembramento al chiuso anche per i vaccinati (misure da noi non abrogate).
Inoltre, riporta Cdc, i vaccini prevengono oltre il 90 per cento dei casi gravi (inclusi i casi di morte), ma potrebbero essere meno capaci di prevenire l’infezione e/o la trasmissione. Se questa diminuzione di efficacia nel prevenire infezione e trasmissione fosse confermata, quale sarebbe il valore di protezione offerto? Secondo la Cdc, il rischio di infezione dei vaccinati, anche con la Delta, è pari a un terzo di quello dei non vaccinati (cioè, presi due gruppi di eguali dimensioni vaccinati e non vaccinati, osserverò il 75 per cento dei casi tra i non vaccinati e il 25 per cento tra i vaccinati). Questo conferma quanto si diceva già ieri: i non vaccinati, anche con la Delta, rimangono responsabili del grosso della circolazione del virus (a meno che non siano così pochi da non pesare sulla popolazione).