Questa mattina sono andato in banca. Non ci vado mai, ma almeno una volta all’anno tocca a tutti farsi vedere, se non altro perché sono i bancari che ti vogliono vedere (per farti firmare chissà che foglio di carta che giace sulle loro scrivanie da tempo). Poco male, mi son detto, tanto debbo scendere anche a controllare il contenuto della cassetta di sicurezza che mi lasciarono i miei genitori e che io non tocco da anni, da allora. Arrivo, qualche minuto di coda con mascherina e distanziamento d’ordinanza, entro e mi rivolgo alla bancaria-receptionist che si ricorda di me (che bello). Mi accodo vicino alla cassa e attendo seduto su una poltroncina che mi accompagnino nel caveau. Si avvicina un signore, accompagnato dalla receptionist di prima, che dice al suo collega in cassa di accompagnarmi giù nel caveau e, dopo, di aiutare il signore che ha vinto al Gratta&Vinci. Che fortuna, penso. Nulla di strano, in effetti, qualcuno al Gratta&Vinci deve pur vincere. Se non fosse che il signore, sulla quarantina, è di colore; camicia con un fregio africano, pantaloni kaki gualciti, mocassini di camoscio indossati come sabot. Lo guardo, mi guarda; sorrido, sorride, poi distoglie lo sguardo quasi con imbarazzo. E non posso fare a meno di pensare che la fortuna, per una volta, ha visto giusto. Perché sì, quel signore avrà pure usato del denaro per gioco, invece che spenderlo in maniera forse più costruttiva (e di questo pure si imbarazza, come noi ormai non siamo nemmeno più capaci!), ma è innegabile, credo, che oggi da quel gioco gestito dallo Stato, che alla fin fine siamo noi italiani, riceva finalmente un po’ di quella liquida gratitudine che proprio noi italiani, una volta popolo di migranti come il suo, siamo diventati così ritrosi a dare. E la cosa, quindi, non può che metterci tutti di buon umore.![]()