Europa attenta, l’isolazionismo Usa non dipende solo dal presidente
Europei, attenzione: l’isolazionismo americano non è una minaccia legata esclusivamente all’eventuale ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca. In realtà è una corrente poderosa nell’opinione pubblica degli Stati Uniti. Altri presidenti hanno promesso di ridimensionare gli impegni internazionali e occuparsi di priorità domestiche, poi si sono lasciati travolgere dagli eventi e hanno disatteso quelle promesse. Trump è stato l’unico a voler seguire la corrente, anziché remare contro. Ma per quanto tempo i leader di una nazione possono continuare a fare il contrario di quel che il popolo vuole? Forse se lo sta chiedendo anche Vladimir Putin. E’ passato pressoché inosservato l’omaggio che Putin ha reso a Joe Biden. Sì, quando Putin sembra fare l’occhiolino a Trump è una notizia da prima pagina, suscita scandalo e conferma che tra i due c’è una infame sintonia. Se invece Putin dice qualcosa di buono su Biden, cade in un’indifferenza tale da rasentare l’autocensura. Eppure è singolare davvero, pochi giorni dopo aver dato un’intervista-fiume (per lo più noiosa) al giornalista americano Tucker Carlson su X (ex-Twitter), in cui ribadiva le «motivazioni storiche» inventate per giustificare l’aggressione all’Ucraina, Putin è tornato a farsi intervistare. Stavolta dalla tv russa. Più concisa e meno ideologica, questa seconda intervista conteneva dei forti apprezzamenti verso Biden, un vero e proprio endorsement elettorale. Putin ha auspicato la rielezione del presidente democratico in carica, ha detto che preferirebbe avere a che fare con un Biden 2, perché ha più esperienza, è competente, è «prevedibile». Lo ha perfino difeso dalle accuse sull’età avanzata, le smemoratezze e le occasionali perdite di lucidità.
Riecco la teoria del leader pazzo (per spiegare la Pax Trumpiana)
Sulla «prevedibilità» di Biden, Putin sembra confermare la teoria dell’ «uomo pazzo» che ho già ricordato in altre occasioni. Tra chi riconosce che nei quattro anni di presidenza Trump ci sono state meno guerre di quante ne sono scoppiate sotto Obama e Biden, qualcuno rispolvera quella teoria in voga ai tempi di Richard Nixon. Trump sarebbe riuscito a tenere a bada Putin e l’Iran in virtù della sua imprevedibilità. A prescindere dai suoi atteggiamenti amichevoli verso autocrati come Putin e Xi Jinping, nessuno può prevedere cosa farà Trump vista la sua fama di egomaniaco impulsivo che non ascolta i consigli degli esperti. In questo senso Trump funzionerebbe – sempre in base alla teoria del pazzo – come una sorta di «deterrente umano». Seguendo questa interpretazione Putin preferisce avere a che fare col buon vecchio Joe. Che non è proprio invincibile negli affari internazionali. Dopotutto, il luogo comune per cui Biden è superiore a Trump in quanto a esperienza in politica estera, è al tempo stesso inconfutabile e irrilevante. Tutta l’esperienza di Biden non ha impedito che Putin invadesse l’Ucraina, né che Hamas perpetrasse la strage del 7 ottobre; non ha impedito alla Cina di moltiplicare le aggressioni nei suoi mari; non ha impedito che l’Iran aumentasse la sua potenza destabilizzante in tutto il Medio Oriente.
America in ritirata: una promessa dal 1992
L’altro tema su cui Putin può avere giudizi diversi dall’opinione oggi prevalente in Occidente, riguarda il futuro dell’isolazionismo americano. Sì, Biden proclama che se viene rieletto sarà fedele alle alleanze, rispetterà l’articolo 5 della Nato che prevede l’obbligo di difendere qualsiasi Stato membro aggredito. Trump dice praticamente il contrario. Ma l’isolazionismo o l’interventismo americano dipende solo da loro? O ci sono correnti profonde in azione, che influenzeranno il ruolo dell’America a prescindere da chi c’è alla Casa Bianca? Qui torna utile un’analisi del collega Peter Baker sul New York Times. Ci ricorda che «ogni presidente americano dalla fine della guerra fredda si è insediato promettendo di concentrarsi sulle priorità domestiche, di correggere un eccesso di attenzione rivolta all’estero». Bill Clinton sconfisse l’internazionalista George Bush Senior (vincitore della prima Guerra del Golfo nel 1991 alla testa di un’ampia coalizione di alleati) promettendo di «focalizzarsi come un raggio laser sull’economia», poi però con le guerre dei Balcani e l’allargamento della Nato a Est lo stesso Clinton si occupò molto dei territori liberati dall’impero sovietico. George Bush Junior fece campagna contro le «guerre umanitarie» di Clinton nel mondo, poi però divenne il presidente dell’11 settembre e degli interventi militari in Afghanistan, Iraq. Barack Obama conquistò la nomination democratica nel 2008 perché era stato uno dei pochi nel suo partito a opporsi contro l’invasione dell’Iraq, e promise di ritirarsi dall’Afghanistan. Invece portò ai massimi il globalismo: a lungo aumentò la presenza militare in Afghanistan (con il “surge” o aumento di truppe), trascinò la Nato nell’attacco contro Gheddafi in Libia. Obama fu anche l’ultimo globalista sul commercio: voleva a tutti i costi firmare ulteriori trattati di libero scambio, ma gli franò il consenso sotto i piedi e tutti i suoi successori o aspiranti tali (da Hillary Clinton a Biden) hanno accantonato i trattati di liberoscambio. Anche Biden cominciò la sua presidenza con il ritiro dall’Afghanistan, cioè venendo incontro a un desiderio di isolazionismo: ritiro applicato malissimo, ma coerente con le promesse. Poi ha dovuto fronteggiare l’invasione di Putin e la strage di Hamas.
Isolazionisti anche a sinistra
Il quadro complessivo – confermato dai sondaggi – è quello di un’America che desidera ritirarsi a casa propria, ma non ci riesce perché eventi imprevisti costringono i suoi leader a calpestare le promesse fatte agli elettori e con le quali avevano vinto alle urne. Quanto a lungo può durare questa divaricazione? Se l’isolazionismo è l’umore prevalente, se Trump è l’unico che lo porta fino alle estreme conseguenze, è concepibile che alla Casa Bianca continuino ad esserci dei leader che promettono una cosa agli americani e poi fanno l’esatto contrario? E’ questo stato di cose che forse dà speranza a Putin: Biden non potrà remare controcorrente all’infinito. L’isolazionismo non è solo di destra. Alla sinistra di Biden, le ampie correnti pro-palestinesi considerano che la politica estera americana è sempre stata imperialista e sostanzialmente criminale. Tutto questo dovrebbe risvegliare gli europei dall’illusione che «basta sconfiggere Trump» alle urne, e tutto tornerà come prima.
Europei parassiti? Lo disse Obama
Barack Obama usò dall’alto del pulpito presidenziale l’espressione «free-riders» per descrivere gli europei nella Nato. «Free-riders» sono i passeggeri di un mezzo pubblico che non pagano il biglietto. Parassiti, profittatori, abusivi. Trump fa notizia, e giustamente, perché allude all’uscita degli Stati Uniti dalla Nato. Ma il globalista Obama già confessava con quell’espressione sui «free-riders» l’insostenibilità degli equilibri attuali. Obama suo malgrado doveva prendere atto che gli elettori-contribuenti americani non volevano pagare per la sicurezza di «parassiti». Sull’ultimo numero della rivista americana di geopolitica Foreign Affairs, pubblicata dal Council on Foreign Relations di cui sono membro, la studiosa italiana Nathalie Tocci firma un’analisi collettiva insieme con altri esperti, sul tema: come mettere l’Europa al riparo da un ritorno di Trump? Ne estraggo un dato: nonostante le auto-congratulazioni con cui gli europei si gratificano ogni volta che approvano un pacchetto di aiuti all’Ucraina, il contributo europeo vale solo il 55% di quello americano. E sì che l’America sta strascicando i piedi, per via dell’ostruzionismo repubblicano al Congresso. Non parliamo dello stato dell’industria bellica europea: minuscola, frammentata, del tutto inadatta alle responsabilità di difendere il continente. E chi sta aumentando seriamente il reclutamento nelle forze armate?
Protezione atomica francese: chi ci crede?
Poi c’è la questione nucleare. I tremori provocati da Trump hanno rilanciato un tormentone che conosco dalla mia gioventù: l’idea di una difesa autonoma dell’Europa con ombrello nucleare francese, in sostituzione di quello americano. Poiché se ne chiacchiera a vuoto da decenni, sarò lapidario. Primo problema: la force de frappe voluta a suo tempo dal generale-presidente Charles de Gaulle è minuscola, palesemente inadeguata rispetto agli arsenali di Russia e Cina. Secondo: nessun presidente francese ha mai fatto il passo decisivo che consente nel metterla al servizio dell’Europa sottoponendone l’uso a un comando integrato, non ad una decisione di Parigi. E nessuno dei partner europei finora si fida che la Francia rischierebbe l’annientamento nucleare del proprio territorio per difendere con i suoi missili nucleari Roma e Milano, Berlino e Amburgo, Bruxelles e Rotterdam, Varsavia e Copenaghen. Un dibattito serio su questi ed altri temi deve ancora cominciare. Lo shock Trump potrebbe anche essere salutare, se almeno servisse a risvegliare gli europei dal loro torpore. E’ più probabile che li spinga verso un’implicita resa alla Russia. Imboccare la strada contraria – essere pronti a difendersi sul serio, anche senza l’America – significa non solo alzare le spese militari fino al 2% del Pil (l’Italia non ha fatto neppure questo: e lo promise ai tempi di Obama) ma andare molto, molto al di sopra. Dietro l’appoggio di Putin a Biden non mi sembra fantapolitica leggere questo: lo Zar pensa che prima o poi l’America mollerà l’Europa, perché in cuor suo (nelle priorità degli elettori) l’ha già mollata. Altrimenti lo stesso Biden non sarebbe stato così categorico due anni fa nell’escludere un intervento diretto degli Usa in difesa dell’Ucraina. Queste correnti profonde valgono più di un articolo 5 scritto nel testo di un trattato nato 75 anni fa. Quando dovesse giungere il momento di rischiare la vita di decine di migliaia di soldati americani per salvare altre nazioni che non vogliono o non sanno proteggere se stesse, non ci sarà un notaio a Washington a far valere la sacralità degli impegni contrattuali. Trump, in questo senso, ci sta solo dicendo con la sua solita brutale arroganza che «il re è nudo». Ma poiché è già nudo ora, a Putin sta bene continuare a gestire il rapporto col vecchio Joe. L’uccisione di Navalny, che naturalmente resterà impunita e per la quale Putin non pagherà alcun prezzo, cos’altro significa se non che lo status quo va bene così allo Zar?