DALLA NOSTRA INVIATA
BUENOS AIRES - Javier Milei è il nuovo presidente dell’Argentina. L’anarco-capitalista, arrivato come un terremoto sulla scena politica argentina, ha sconfitto ieri al ballottaggio il peronista Sergio Massa, che ha riconosciuto la sconfitta ancor prima che i risultati ufficiali fossero divulgati: «Non sono quelli che avevo sperato». Il candidato della Libertad Avanza è riuscito a coagulare dietro il suo nome il voto dello scontento in una Paese afflitto da una gravissima crisi economica ma anche il centrodestra tradizionale, rimasto orfano della sua candidata, Patricia Bullrich, arrivata solo terza al primo turno.
Risultati ed exit poll non potevano essere divulgati fino a tre ore dopo la chiusura delle urne. Alla vigilia, un sondaggio dava lievemente in vantaggio l’economista anti-sistema — dirompente sorpresa di queste elezioni — ma il ministro dell’Economia, un veterano della politica che per la seconda volta tenta la scalata alla più alta carica dello Stato, ha ostentato fino all’ultimo una prudente sicurezza.
Hanno fatto la differenza i voti di chi al primo turno non aveva scelto nessuno dei duellanti. In particolare, quel 24% che il 22 ottobre aveva preferito Patricia Bullrich. La candidata di Juntos por el cambio, arrivata terza, e l’ex presidente conservatore Mauricio Macri hanno dato il sostegno a Milei. Altri esponenti dell’alleanza di centrodestra, però, si sono smarcati, arrivando a chiedere il voto per Massa.
In calle Florida, cuore pedonale del microcentro di Buenos Aires, i mercanti del «dollar blue» ieri pomeriggio erano nervosi e impazienti. «Cambio, cambio», urlavano. Cento dollari in strada valgono 93.000 pesos argentini. Al cambio ufficiale, e poco reale, sono solo 35.000 pesos. «Lunedì è festivo, da martedì tutto cambia», avvertono. Sale o scende? «Dipende da chi vince, se passa Milei il dollaro va alle stelle», pronosticano sul mercato nero. Una vera giungla che pochi comprendono e tutti sopportano.
Il nuovo presidente Milei dovrà subito prendere misure importanti su inflazione (oltre il 142%), debito pubblico (419 miliardi di dollari), riserve monetarie agli sgoccioli e negoziato con il Fondo monetario internazionale, cui l’Argentina deve 44 miliardi di dollari. Milei aveva ribadito di voler smantellare la Banca Centrale, privatizzare l’industria e «dollarizzare» l’economia.
Il prossimo 10 dicembre, giorno dell’insediamento del nuovo governo, l’Argentina celebrerà i 40 anni di democrazia dalla fine della dittatura militare. Un buon auspicio, e un’eredità da preservare con molta cura.