Vaiolo delle scimmie, l'Oms dichiara l'emergenza sanitaria mondiale. L'esperto: ecco perché il virus preoccupa
Vaiolo delle scimmie, l'Oms dichiara l'emergenza sanitaria mondiale. L'esperto: ecco perché il virus preoccupa
Il Comitato di emergenza dell’Organizzazione Mondiale della sanità (Oms), riunitosi il 14 agosto, ha dichiarato Mpox - conosciuto in precedenza come vaiolo delle scimmie - un’«emergenza sanitaria pubblica di portata internazionale» (PHEIC), decisione che comporta l’implementazione di misure straordinarie a livello globale per contenere l’epidemia.
Già il 13 agosto l'Africa Centres for Disease Control and Prevention ha dichiarato Mpox un’emergenza sanitaria pubblica per il Continente africano.
Ma cos’è e come si trasmette quest’infezione? Quali sono i sintomi? Come si può curare? E perché l’Oms si preoccupa? Ecco le risposte a queste e altre domande, con l’aiuto del dottor Andrea Antinori, direttore del Dipartimento Clinico all’Istituto Nazionale per le Malattie Infettive Lazzaro Spallanzani IRCCS di Roma.
«Il virus Mpox è un poxvirus, simile - ma molto meno grave - a quello che provoca il vaiolo nell’uomo, malattia endemica fino agli anni Settanta anche in Italia, poi eradicata a livello globale grazie alle vaccinazioni – spiega il dottor Antinori –. Il contagio del virus Mpox avviene principalmente attraverso il contatto stretto con cute e mucose infette, quindi soprattutto durante i rapporti sessuali ma anche tramite il contatto di materiale contaminato (per esempio: vestiti, lenzuola, asciugamani) con le lesioni cutanee infette. Recenti studi, condotti nel laboratorio di Virologia dell’Istituto Spallanzani, hanno dimostrato che, anche se il virus è contenuto nello sperma in forma replicante, la principale modalità di trasmissione, più che attraverso il liquido seminale, risulta essere il contatto stretto pelle contro pelle, durante i rapporti sessuali».
«Dopo alcuni giorni dal contagio, di solito un tempo variabile dai 6 ai 14 giorni, la malattia si manifesta con sintomi generali quali febbre, cefalea, stanchezza, dolori muscolari, linfonodi ingrossati, e soprattutto con una tipica eruzione sulla cute che può presentare da poche a numerosissime lesioni cutanee, spesso localizzate nelle zone genitali o intorno all’ano, come espressione di stretti contatti di tipo sessuale. Queste lesioni cutanee hanno un’evoluzione caratteristica: la lesione diventa vescicola, poi diventa crosta, poi si apre. In misura minore – riferisce l’esperto – possono essere interessate le mucose del cavo orale, la zona del canale anorettale (proctite), e, più raramente, la congiuntiva dell’occhio. Raro il convolgimento degli organi interni, che si osservano in genere nelle persone immunodepresse».
«Si conoscono due tipi di virus, denominati clade I e clade II, entrambi africani – chiarisce il dottor Antinori – . Il clade I, diffuso soprattutto in Africa centrale, nella Repubblica Democratica del Congo, dove la malattia è endemica e si trasmette dall’animale (in genere roditori che “ospitano” il virus) all’uomo e, in questi focolai più recenti, da uomo a uomo, ed è questo il problema – sottolinea l’esperto –. L’altro tipo di virus, il clade II, diffuso soprattutto in Africa occidentale, prevalentemente in Nigeria, è in grado di trasmettersi in modo efficiente da uomo a uomo, ed è quello che ha generato l’epidemia globale tra il 2022 e il 2023, provocando circa 100 mila casi, in gran parte attraverso i rapporti sessuali tra uomini. Tuttavia, la letalità del clade II è bassa (0.2% con circa 200 morti nel mondo, in Italia nessun morto a fronte di poco più di un migliaio di casi). La malattia, non grave nella maggior parte dei casi, può avere però conseguenze più serie in persone immunodepresse come chi vive con l’HIV, le donne in gravidanza, i bambini».
Ma perché ora l’Oms si sta di nuovo preoccupando? Spiega Antinori: «Il clade I è da sempre un virus più aggressivo e letale (ha una letalità stimata tra il 3 e il 5 %); inoltre, l’attuale focolaio nella Repubblica Democratica del Congo ha caratteristiche diverse rispetto alle epidemie degli anni precedenti nella stessa regione. In primo luogo è un focolaio esteso, non circoscritto come i precedenti, con 14 mila casi segnalati solo dall’inizio di quest’anno, e già più di 500 morti, più del doppio di quelli osservati in tutto il pianeta durante l’epidemia da clade II 2022-2023.
Un recente lavoro di esperti internazionali, pubblicato sulla rivista Nature Medicine, ha dimostrato alcune caratteristiche peculiari di questo nuovo Mpox virus clade I del Congo. Il virus ha una delezione (un tratto del DNA virale viene a mancare rispetto alla sequenza originaria ndr), e questa modificazione genetica comporta che il virus acquisisca nuovi caratteri che ne modificano l’epidemiologia.
La trasmissione interumana oggi in Congo – spiega l’infettivologo dell’Istituto Spallanzani - è infatti molto più efficiente di quanto non sia stato finora con il vecchio clade I, e il contagio interessa prevalentemente le persone giovani adulte, avvenendo soprattutto attraverso i rapporti sessuali».
«Finora il clade I centroafricano di Mpox virus si caratterizzava per il passaggio dall’animale all’uomo e per piccoli focolai di trasmissione interumana – prosegue Antinori – . Il nuovo virus, che è stato denominato clade Ib in contrapposizione al clade Ia originario dell’Africa Centrale, sembra in grado di essere trasmesso in modo più efficiente da uomo a uomo, attraverso i rapporti sessuali, nella popolazione giovane adulta sessualmente attiva.
Questo nuovo clade Ib si comporta in modo simile al clade II dell’epidemia globale del 2022-2023, diffondendosi rapidamente, ma rispetto a quel virus ha una letalità oltre dieci volte superiore. Da qui la preoccupazione dell’Oms, anche perché il focolaio è esteso e interessa altre aree del Congo dove prima non era presente e si sta diffondendo anche in Stati limitrofi come Uganda, Kenia, Burundi, Ruanda, in cui la malattia non era precedentemente endemica».
Insomma, una malattia più grave e che si trasmette più rapidamente. Ma, rassicura il dottor Antinori, «nessun allarmismo: sia il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC) sia i CDC americani, quindi agenzie internazionali di salute pubblica, ritengono che al momento non ci sia un vero allarme a livello mondiale e il rischio di propagazione dell’infezione in Europa e negli Stati Uniti sia “molto basso”».
La malattia si può prevenire? «Contro il Mpox non esiste un vaccino specifico ma si utilizzano i vaccini messi a punto contro il vaiolo umano, oggi di terza generazione, basati su un virus vaccinico non replicante – spiega Antinori –. Il vaccino più utilizzato su scala globale, che è poi quello che abbiamo somministrato anche in Italia durante l’epidemia del 2022-2023, è il MVA-BN (derivato da un ceppo non replicante di virus vaccinico di tipo Ankara modificato), vaccino raccomandato dal ministero della Salute del nostro Paese per alcuni gruppi di persone a rischio. Questo stesso vaccino, oltre ad essere sicuro, è efficace anche contro il nuovo clade virale Ib. Quanto alla terapia, in genere viene riservata solo ai casi gravi, nelle persone immunodepresse, e si basa su farmaci antivirali (tecovirimat, cidofovir), attivi nei confronti dei poxvirus, anche se il molto limitato numero di casi trattati non consente di essere sicuri della loro effettiva efficacia».
«La pregressa vaccinazione antivaiolosa non conferisce un’immunità sicura contro il virus Mpox, quindi chi è stato vaccinato ma è a rischio deve comunque vaccinarsi – chiarisce l’esperto –. Al momento, in base al protocollo adottato in Italia, chi ha già avuto una vaccinazione antivaiolosa può ricevere solo una dose di vaccino, mentre chi non è stato vaccinato in passato deve fare due dosi a distanza di un mese. Il vaccino è immunogeno, protettivo e sicuro, e ha contribuito in modo sostanziale allo spegnersi dell’epidemia del 2022-2023. Per questo, l’OMS in questi giorni ha rivolto un invito ai produttori dei vaccini contro Mpox virus a esprimere una manifestazione di interesse, per avere i loro prodotti valutati secondo conformità e autorizzati dall’OMS stessa per l’uso in emergenza in Paesi, come quelli africani, in cui il loro utilizzo è ancora molto limitato; si spera che campagne vaccinali mirate e strategiche, basate sulla vaccinazione preventiva e su quella post-esposizione al virus, possano circoscrivere la diffusione dell’epidemia» conclude Antinori.