Intervengo a gamba tesa per riportare qui due recensioni due di cose borderline che avevo iniziato a copincollare nel vecchio thread (avendo poi smesso per mancanza di materiale, ma adesso ne ho scritte un altro paio).

21.

Citazione Originariamente Scritto da Opossum
Millenni fa comprai per puro caso una rivista di videogiochi per Playstation (forse era SuperConsole), contenente, caso strano, un articolo simpatico e interessante (e probabilmente inventato d sana pianta, ma tant'è): un redattore aveva telefonato a diverse Case di produzione cinematografiche fingendosi un addetto di una software house interessata a comprare i diritti per creare i tie-in di una serie di film. Ovviamente si trattava di pellicole completamente fuori target, ad esempio Lolita di Kubrick. Gli interlocutori non si dimostrarono granché convinti.
Mi è tornato in mente quell'articolo pensando al gioco di questo post. È possibile scrivere un videogioco tratto da Il nome della rosa di Umberto Eco? Apparentemente sembra un'idea un filo idiota. Eppure.

Il coraggioso tentativo di digitalizzare il lavoro di Eco ha origine in quel di Madrid. Già qui occorre aprire una parentesi sul perché di una località così "esotica": videogiochi spagnoli? Ma quando mai?
In effetti, tra la metà degli '80 e quella dei '90 la seconda più prolifica nazione europea in fatto di videogame (dopo il Regno Unito) fu proprio la Spagna. Questo breve regno, noto come "l'epoca d'oro del software spagnolo" (un po' la versione digitale del Siglo de Oro, ma -in puro stile Novecento- molto più breve), ha visto fuoriuscire dalla penisola iberica un gran numero di titoli, molti dei quali effettivamente pregevoli. A causa di disastrose scelte di marketing, le software house spagnole restarono stoicamente (e giocoforza) fedeli ai computer 8 bit, cosa che si tradusse ovviamente in un suicidio sul lungo periodo. Di quel retaggio oggi non resta praticamente quasi più nulla; alla fine degli anni '90 di tutte le softhouse solo la Dinamic era riuscita a switchare verso macchine più potenti e a sopravvivere -non per molto però; quelle cadute furono invece innumerevoli. Tra queste troviamo la Opera Soft, che nel 1987 pubblica La abadia del crimen.

La abadia del crimen (che, lo dico a beneficio dei non ispanofoni, tradotto in italiano suona qualcosa come "Il monastero del delitto") è largamente considerato uno dei migliori giochi di sempre per computer a 8 bit, e si può considerare il magnum opus dell'intera epopea spagnola. Venne pubblicato originariamente per Amstrad CPC, e in seguito convertito per Speccy, MSX e PC (ma non per C64, che era poco popolare da quelle parti). Ovviamente, essendo le leggi del mercato quello che sono, poiché La abadia era un titolo assai valido non venne ufficialmente mai pubblicato fuori dai patrii confini (gnè).

Ok, ma com'è il gioco? Allora, si tratta di un'avventura grafica isometrica (in quegli anni ne erano uscite giusto altre due o tre [cento][mila]) in cui controlliamo Guillermo (ovvero Guglielmo) ed Adso che si trovano in un monastero e devono indagare su... insomma, l'avete letto il libro, no? Paco Menendez, ideatore e programmatore del gioco, riuscì a creare molto intelligentemente abbastanza “spazio” per innestare un meccanismo ludico nella trama del libro. Guillermo ed Adso devono raccogliere indizi e fare debite deduzioni, ma nel mentre vanno seguite le regole dell'abazia, che prevedono il dover seguire alcuni obblighi nel corso della giornata. Il gioco è in effetti diviso in giornate, ed ogni giornata in “ore”, che come ben sa chi ha letto il libro, sono piuttosto dei “periodi” (più lunghi delle ore reali) separati da vari momenti di preghiera. Nel gioco appaiono vari di questi periodi: mattutino, prima, terza, compieta, notte... in alcuni di questi momenti è obbligatorio interrompere le indagini e recarsi a mangiare o a pregare, pena l'abbassamento di una “barra di energia” che misura non l'energia ma l'OBBEDIENZA (!); e se la nostra condotta è così irrispettosa da far calare la barra a zero, l'abate superiore si riterrà così offeso da sbattere la coppia fuori dall'abazia. Con conseguente game over. Tra le cose che azzerano immediatamente la barra dell'obbedienza c'è il girare di notte per il monastero; il che è un bel problema perché ci sono cose che si possono fare solo di notte, con relativo rischio di farsi beccare da un supervisore. Ma la vita è troppo breve per rispettare le regole, no?

Ci sarebbero molte altre cose da dire, ma sarò sincero: questo gioco è D-I-F-F-I-C-I-L-E e ci ho giocato poco, quindi non c'è granché che possa aggiungere di mio. Vi lascio con un video di gameplay e con due curiosità.
a) Il gioco doveva effettivamente chiamarsi El nombre de la rosa, ma pare che Eco non abbia mai risposto ai tentativi fatti da Opera Soft per contattarlo riguardo i diritti..
b) Nella versione PC in un certo momento del gioco parte una registrazione dell'Ave Maria di Schubert; se però la copia è piratata, il software se ne accorge e invece della musica parte una voce che dice “PIRATA! PIRATA! PIRATA!”, dopodiché crasha tutto (andate a 1:50 qui: https://www.youtube.com/watch?v=gVH85XUqIeM). Che sagome 'sti spagnoli.




22.

Citazione Originariamente Scritto da Opossum
Italiani, spaghetti pizza mandolino mafia. Una cosa bella della sagra degli stereotipi è che colpisce tutti indistintamente: i giapponesi nerd, i francesi con la baguette, gli africani col ritmo nel sangue, i coreani coi cani nel piatto. Gli italiani hanno una bella lista di tropi da portarsi dietro, e non è forse poi <i>così</i> strano che qualcuno abbia pensato di prenderne uno -l'amore per la pasta, nientemeno- e farci un videogioco. Ci voleva comunque una mente un po' contorta per avere un'idea del genere, e il gioco che ne è uscito lo dimostra assai bene.

Mangia' venne prodotto dalla statunitense SpectraVision nel 1983 e distribuito unicamente in Nordamerica. Per la serie "cominciamo bene" già il nome suscita perplessità: cosa rappresenta l'apostrofo? Oltretutto, considerata la scarsa attitudine anglofona a maneggiare gli apostrofi, resta anche il dubbio di trovarsi davanti ad un'elisione piuttosto che ad una parola tronca è lecito: solo che "mangià" non è neanche una parola vera, mentre "mangia'" -che ha quantomeno una sua dignità dialettale- non ha alcun senso nel contesto. Il manuale leva ogni dubbio nel modo peggiore, dato che se ne estrapola questa riga:

" Eat! Eat - Mangia'! Mangia'! Come on it's good for you!! "
Per la SpectraVision (o almeno per l'anonimo programmatore del gioco) "mangia'" è l'imperativo di "mangiare" per la seconda persona singolare. Beh, dai, quasi indovinato...

Lasciando da parte 'ste stronzate da cruscante della domenica, passiamo al software. Mangia' è un... mah... diciamo pure un puzzle game di stramba fattura. La schermata è fissa e inquadra un sobrio soggiorno arredato con un tavolo e una sedia. Una musica che diventa insopportabile dopo pochissimi picosecondi risuona in sottofondo. Un brutto quadro picassiano e una finestra ornano l'unica parete visibile, mentre quattro loschi figuri popolano la sala: una donna, suo figlio, un cane e un gatto (ok, il gatto è in realtà fuori dalla finestra, ma non sottilizziamo). La mamma porta piatti di pasta al suo bimbo, il suo bimbo -che è seduto al tavolo- deve mangiarli, il cane e il gatto ciondolano dentro e fuori lo schermo. Ah, secondo mistero del gioco: stando al manuale il cane si chiama Sergio e il gatto Frankie; si suppone quindi che siano sempre gli stessi due individui, ma ogni volta che riappaiono il loro colore cambia. Come sarà possibile?
Va beh, veniamo alla meccanica di gioco, in realtà estremamente semplice benché efficace. La mamma porta la pasta al bimbo, come già detto, ma c'è un problema: già nel primo livello ne ha preparato 30 piatti, quantità eccessiva per la creatura che può reggerne al massimo 20 (alla faccia...). La genitrice fa continuamente la spola tra cucina e tavolo ed ogni volta porta un piatto, e se sul tavolo se ne accumulano 10 il mobile cederà per il peso. Combattuto tra il non poter mangiare tutta la pasta (cosa che finirebbe per ucciderlo) e il non poterla lasciare stare (per non distruggere il tavolo), il figlio dovrà sovente prendere una terza strada: gettare il cibo agli animali.<br />
Sta a noi controllare le scelte del bimbo, e il gioco sta tutto qui. Sostanzialmente si tratta di prendere un piatto dal tavolo e lanciarlo al cane o al gatto, e continuare fino a quando la scorta di pasta è esaurita (c'è un contatore che ce lo ricorda sempre). Lanciare cibo agli animali è rischioso perché non solo va fatto quando gli animali sono al posto giusto, e già questo è problematico, ma anche quando la mamma è di spalle; ovviamente gli esseri pelosi hanno la tendenza ad apparire e scomparire nei momenti meno adatti, il che obbliga a mangiare alcuni dei piatti di pasta se non vogliamo che se ne accumulino troppo e il tavolo crolli. Se questo succede, o se il bimbo mangia 20 piatti di pasta (cosa che provoca la versione atariana del destino di mister Creosote, gh...) si perde una vita delle tre disponibili. Se invece veniamo colti dalla madre a scartare cibo, o se gli animali non lo raccolgono perché lo lanciamo nel momento sbagliato, saremo puniti con la consegna di tre piatti contemporaneamente e l'innalzamento del totale complessivo di piatti da smaltire (quindi i 30 piatti totali del primo livello diventano 33).

Sostanzialmente non c'è altro. Un gioco abbastanza involuto già ai tempi in cui uscì, Mangia' non ebbe a quanto pare grande successo. AtariAge segnala un indice di rarità pari a 10/10 (unbelievably rare), e nonostante l'attuale mondo dell'emulazione resta a tutt'oggi un titolo piuttosto oscuro. Risulta però divertente per qualche minuto, e una tangibile prova dell'incredibile caos di idee che regnava nel mondo del videogame in quegli spensierati eighties.


E basta. Quando ne avrò altre le aggiungerò.

Ed è una minaccia.