Non c'entra se e quando scoppierà ******, hai proprio risposto con frasi che non avevano alcuna attinenza con quello che ho scritto io. Ora torna a pure a nasconderti.
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rischia di fare una brutta fine BRT
Coronavirus, a Bologna focolaio nella ditta di logistica Bartolini: i positivi salgono a 64
L'Ausl: "Uso saltuario delle mascherine". Screening con tampone su 370 persone. Area sanificata e attività ridotta ai minimi termini, mentre proseguono i controlli
di ROSARIO DI RAIMONDO
25 giugno 2020
BOLOGNA - Numeri in evoluzione quelli che riguardano la situazione alla Brt (ex Bartolini), nota ditta di logistica. Nei magazzini di via Roveri dai quarantacinque operai positivi al covid (con un ricovero ospedaliero) si sale ora a 64 persone fra lavoratori e parenti. In particolare, spiega Paolo Pandolfi - direttore del dipartimento di Sanità pubblica dell'Ausl di Bologna - "sono 47 i dipendenti positivi, di cui 6 sintomatici", cui si sommano "altri 17 casi, riconducibili al focolaio lavorativo della Bartolini, tra familiari e conoscenti, di cui tre sintomatici". Cifre che fotografano la situazione a ieri. I ricoverati in reparti covid sono 2, gli altri positivi sono tutti in isolamento a casa.
L'indagine è partita "dopo la segnalazione di un medico, la settimana scorsa. Ma i lavoratori hanno contattato tardivamente il proprio medico - sottolinea Pandolfi- e questo non va bene. Serve molta responsabilità in questo momento". "Le regole, in magazzino, non venivano rispettate in modo sistematico. Abbiamo notato che, qualche volta, le persone non usavano la mascherina e non rispettavano la distanza di sicurezza di un metro. Non è che non venisse usata la mascherina in generale, ma veniva usata in modo saltuario, quindi non in modo corretto", precisa Pandolfi.
Parla anche la ditta di logistica. Bartolini Corriere Espresso "sta seguendo e gestendo con estrema attenzione l'evolversi della situazione legata al cluster Covid-19 verificatosi nel proprio magazzino di Bologna Roveri, e originato da lavoratori di servizi logistici di magazzino gestiti da una società esterna", scrive l'azienda, che "si è prontamente attivata in stretta collaborazione con l'Azienda Sanitaria Locale", facendo uno screening con tampone su circa 370 persone.
Il picco di casi - che fa schizzare le cifre dei contagiati a Bologna - era stato comunicato nei giorni scorsi dalla Regione, e riguarda un reparto di stoccaggio dove lavorano i magazzinieri della ditta. Nei giorni scorsi l'area è stata sanificata e l'attività lavorativa ridotta ai minimi termini perché sono tanti i dipendenti finiti in isolamento precauzionale in attesa dei test.
I controlli sono stati allargati a numerosi dipendenti (che appartengono a più cooperative) e alle famiglie secondo la logica dei "cerchi concentrici": parti da un episodio e ti espandi sempre di più alla rete dei contatti. Per questo non si può escludere che, a partire da oggi, i numeri siano destinati a salire ancora.
Il caso è strettamente monitorato dall'Ausl, dal Comune e dall'assessorato alla Sanità. In particolare è il settore della logistica a ricevere attenzioni particolari in questo periodo.
Pierluigi Viale, direttore delle Malattie infettive del Sant'Orsola, invita alla calma: "Soltanto degli incompetenti possono permettersi di dire che il virus non c'è più. Io ho sempre recitato la parte del gufo chiedendomi non se ci sarebbe stato un focolaio, ma quando. Perché quando si passa da una fase pandemica a una endemica, il virus circola sotto traccia e può scoppiare un incendio. È proprio il caso che stiamo studiando. C'è poi una considerazione importante da fare: non siamo davanti a un cluster di malati ma di infetti, la stragrande maggioranza di queste persone non ha sintomi e soltanto una è ricoverata in ospedale nel reparto di Malattie infettive. Siamo riusciti a identificare il focolaio proprio perché il nostro sistema funziona e abbiamo la possibilità di andare a scovare subito i positivi. La differenza con quattro mesi fa è che oggi siamo pronti, non ci facciamo prendere alla sprovvista. La situazione è sotto controllo, è in corso l'attività per capire le reali dimensioni del contagio. Non siamo né ottimisti né pessimisti".![]()
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Mai quanto COVID
Benché siamo gente di memoria corta, e rapida a cambiare umori, abbiamo ancora in testa inevitabilmente quelle cose che in molti dicevano soltanto due mesi fa: il coronavirus è l’occasione per ripensare tutto, da questa emergenza possono nascere grandi opportunità, e maggiori disponibilità al cambiamento, guardate anche come siamo stati veloci – se costretti – ad accelerare infine la nostra familiarità con le attività digitali, con modi di vivere e lavorare completamente diversi. È l’occasione per ripensare tutto.
Avanti veloce di due mesi. Quegli annunci possono essere stati un po’ esagerati o sovreccitati, e frutto di una straordinarietà del momento che – in molti sensi per fortuna – sembra in questi giorni già lontanissima. Ma quella lontananza arriva fino a un certo punto – la normalità è superficiale, la crisi sotto è gravissima – e niente garantisce che sia duratura: “se dovesse ricapitare una cosa del genere, adesso sappiamo che dobbiamo arrivarci preparati”, è un’altra cosa che ci siamo detti molto, ci sembra di ricordare.
Avanti veloce di due mesi, dicevamo. E tutto quello che rimane di quella coraggiosa, sincera, promettente volontà di “ripensare tutto” sono più tavolini dei bar sui marciapiedi e una manciata di piste ciclabili. Le dimensioni del ripensamento, della creatività, della sperimentazione, dell’adattamento e dell’innovazione si fermano qui. Almeno sul piano pubblico, ché le aziende private qualche maggiore sforzo autonomo sono costrette a farlo, nel loro piccolo.
Gli interventi del governo centrale per “far ripartire il paese” sono oggi rappresentati da scelte facili, pigre, clientelari e improduttive. Quando non fallimentari. La spinta all’economia si è finora limitata a contributi economici spesso preziosi per i singoli ma codardi per la crescita e lo sviluppo: in una strategia che si può condensare in “diamo a tutti qualcosa perché non si lamentino, e che li tenga lì dove sono”, senza sforzi o coraggio a rischio di critiche o della temutissima “impopolarità”.
Invece che incentivi al “ripensamento” si sono dati finora incentivi alla conservazione anche di ciò che agonizza strutturalmente, in una prosecuzione naturale di un approccio canonico del rapporto culturale che le classi dirigenti e il paese hanno con l’innovazione e il cambiamento. Un paese di cui si celebra la creatività dei singoli ogni giorno, ma che sul piano pubblico ha un’indolenza e un timore strutturali uniti a un patologico malfunzionamento delle dinamiche pubbliche. “Ma questa è la volta che possiamo – dobbiamo! – ripensare tutto!”, si era detto. Niente, solo numeri di soldi senza un’idea o un progetto o un indirizzo. Col risultato che anche gli stessi contributi economici finiscono per essere mal gestiti, sprecati, se non addirittura impossibili da ottenere (si veda il caso dei ritardi sulla cassa integrazione) perché lo Stato non sa gestirli, e non sa ripensarsi dove è importante ripensarsi.
(Vi ricordate quel proverbio presunto cinese sul pesce e sull’insegnare a pescare? Lo abbiamo rivisto e ridiscusso nei decenni, ormai, e da un pezzo avremmo stabilito che servano sia il pesce che dare la possibilità di pescare).
Quello poi che è a parole il luogo prioritario di sviluppo di ogni prospettiva di crescita di un paese moderno – economica, sociale, culturale – e di cui si chiede ipocritamente il rilancio e la ricostruzione da sempre, oggi lo sarebbe più che mai per il triplo delle ragioni usuali: ovvero la scuola.
E in questi mesi – malgrado le tante chiacchiere, i tanti articoli, le tante polemiche – sta andando a prendere il posto che tradizionalmente nel disinteresse politico ha il carcere: un pezzo di popolazione e un fondamento proverbiale del funzionamento di una società democratica rimosso e messo in coda alle priorità. Consegnato a un ministro la cui inettitudine è la rappresentazione definitiva della vocazione all’inettitudine e all’inadeguatezza del partito che oggi lo esprime: nei confronti della quale inettitudine è incredibile ormai che possa avere ancora indulgenza il secondo partito di governo, ma forse persino il primo. Eppure. Il governo – i partiti che lo compongono – sta buttando via la scuola, mentre siamo riusciti a far ripartire il campionato di calcio.
Altri settori in cui l’intervento del governo – che si era riempito e si riempie ancora la bocca di “ripensare” – è imbarazzantemente privo di qualunque pensiero sono cruciali, a cominciare da quello innovativo per definizione: che grazie al soccorso di società esterne è riuscito a ottenere una app di cui è stata tanto proclamata l’importanza, e adesso non riesce a promuoverne l’utilità e la diffusione, trascurando i meccanismi di comunicazione più ovvii, di cui sarebbe capace l’ultimo social media editor di una catena di pizzerie.
Oggi non c’è un singolo responsabile di governo, in una crisi come quelle che di solito premiano chi sappia minimamente mostrarsi in grado di iniziative decise ed efficaci, che emerga nel consenso e nell’apprezzamento popolare per le scelte e le decisioni prese, per un progetto, per un’intuizione, per un “ripensamento” di qualcosa.
E naturalmente se si parla di consenso popolare si deve citare l’eccezione del presidente del Consiglio, nel cui caso il consenso è innegabile e gli va riconosciuta la capacità di raccoglierlo, lavoro a cui si è dedicato con assiduità e risultati. Ma intorno a cosa, oltre alla accorta scelta comunicativa di “metterci la faccia”, presentarsi con l’abito buono e le maniere beneducate e pronunciare parole a volte sagge e sempre inconsistenti? Conte si è preso la responsabilità di essere quello che parla al paese: ma il fatto è che non ha niente da dirgli, al paese. Il tentativo di costruire strutture che gli dessero le idee e il coraggio che non ha si è risolto in fallimenti e ritirate. Gli “Stati generali” sono stati il simbolo di questa enfasi teatrale vuota di concretezza e prospettiva. Ed è finito il tempo dell’alibi “ci siamo trovati di fronte a un’emergenza enorme e imprevedibile”. Non stiamo ripensando un bel niente. Ma con educazione.
Il coraggio, la creatività, l’intelligenza, il ripensamento, sono ancora una volta affidati ai singoli, ai privati, senza che lo Stato dia loro strumenti, contesti e scenari che li favoriscano (al massimo celebra fantozzianamente – “com’è umano, lei” – attraverso i suoi rappresentanti “le stanze lussuose degli ospedali privati offerte ai pazienti ordinari“). Il funzionamento del paese e della sua inclinazione all’innovazione e all’adattamento al nuovo restano quelli di sempre, non ci sarà nessun ripensamento: e non era un paese che funzionasse benissimo già prima, ricorderete.
(fa ridere, usato rispetto a questa crisi, l’uso dello slogan “tornare a crescere”)
Con chi prendersela?, per questa palude, per questa pigrizia e questa viltà, viene istintivamente da chiedersi in coda a queste quotidiane riflessioni. Con noi stessi, probabilmente, che direttamente o indirettamente – incapaci di diffondere un pensiero diverso – esprimiamo l’assessore, la ministra, e soprattutto una cultura di mediocrità al potere. Ma forse anche con il nostro istinto a chiederci sterilmente con chi prendersela, quando un’alternativa può arrivare soltanto dalla costruzione di modelli diversi di pensiero, di progetto, di lavoro. Di ripensamento.
Ci sono in Italia moltissime persone, enti, aziende, associazioni, gruppi, che cercano di portare il paese in altre direzioni, di toglierlo – ognuno con i suoi mezzi – da questo circolo vizioso che coinvolge elettori ed eletti, e sistema intorno. E che stanno cercando di ripensare, di inventare alternative, di sfruttare le occasioni, persino di fare di necessità virtù. Come già dicemmo poco prima che iniziasse tutto questo – e ora vale ancora di più – non sono tempi da rassegnarsi, ma che anzi offrono grandi spazi e opportunità per fare le cose bene, farle meglio, per avere idee, per aiutare chi le ha e chi ci prova, mettere insieme le forze. E lavorare con ancora maggior impegno per costruire non solo alternative politiche, ma alternative di pensiero e di priorità. Se non lo fate voi non lo fa nessun altro.
ok
Bravo Picard, ben scritto![]()
Continua la gara a chi è peggio tra Trump e Bolsonaro.
Oggi punto per ciuffetto.
Trump taglia i fondi a 13 siti per i test
La Casa Bianca ha confermato il suo piano di tagliare i fondi federali aper 13 siti in cui si effettuano test del Covid-19 nel giorno in cui gli Usa registrano un nuovo record di quasi 36mila nuovi casi. L'annuncio è arrivato dopo che Donald Trump ha resto noto, a Tulsa, di aver ordinato di rallentare i test per ridurre i numeri dei contagi. Sette dei 13 siti si trovano in Texas, uno tra gli Stati che registra un'impennata di casi di coronavirus. La decisione è stata criticata dai senatori repubblicani texani Ted Cruz e John Cornyn![]()
Chi conosce tutte le risposte non si è posto tutte le domande. (Confucio)
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Stamattina una signora ha esternato il suo fastidio per il fatto che io e un amico indossassimo le mascherine per strada (che poi ci stavamo semplicemente spostando da un interno a un altro, quindi era più pigrizia che altro..), nel pomeriggio veniamo accolti da negozianti senza mascherina ma con "tanta simpatia".
Io non sono neanche troppo fiscale, ma se non vuoi fare neanche il minimo e ti senti pure mazinga per questo..
Sì è vero ci sono anche quelli (o quelle) che non solo non mettono la mascherina ma perculano se non insultano chi la mette.
Ne ho incontrati più di uno ahimè.
Chi conosce tutte le risposte non si è posto tutte le domande. (Confucio)
Spe, non ho capito.
Ma che fastidio davate alla signora se voi mettevate la mascherina?
Ma saranno pure cazzi vostri, o no?
Le cose da pazzi.
Stendo un velo sui negozianti: posso capire che non vuoi fare lo sceriffo coi potenziali clienti, ma te la mascherina te la devi mettere e stop.
Tipo quelli che fumano nel loro negozio.
Il negozio sarà pure tuo, ma se entro e ti trovo così stai certo che è l'ultima volta che mi vedi.