Approfitto ancora dell’ospitalità degli amici (grazie di nuovo!) per un ulteriore aggiornamento sulla guerra.
Inutile fare il conto delle avanzate ucraine: ormai procedono a una velocità tale che, inevitabilmente, alle località liberate nel momento in cui scrivo questo post se ne saranno aggiunte diverse altre adesso che lo stai leggendo. Mi pare però di poter dire che le mie previsioni stanno ricevendo conferma:
- a nord, la riva orientale dell’Oskil a sud di Kupyansk è stata completamente liberata e l’avanzata procede con decisione verso le località strategiche di Svatove e Troitske: prendere questi due centri significherebbe tagliare l’ultima linea di rifornimento da nord per le truppe russe, con la più vicina linea ferroviaria che entra dalla Russia nel territorio della “repubblica” di Luhansk a Dovzhansk, ben 234 km a sud-sud-est. Una volta occupata questa linea, davanti alle forze ucraine si spalancherebbe di fatto una prateria, in cui muoversi liberamente fino a prendere alle spalle il resto della LPR, persino oltre le linee del 24 febbraio.
- nel settore del Siversky-Donetsk, dopo la vittoria di Lyman, le truppe ucraine stanno aggirando Kreminna e tutto fa pensare che possano arrivare, alla fine delle operazioni, a liberare Severodonetsk e Lysychansk, vanificando tutte le (scarse) conquiste russe della “battaglia del Donbas”. Intanto, i mercenari del gruppo Wagner e i miliziani della DPR continuano i loro insensati assalti nella zona di Bakhmut, puntualmente respinti. Cito questo fatto sia per mostrare quanto poco siano sensate le azioni russe, sia per ricordare come la tenacia dei difensori abbia causato immense perdite agli invasori e contribuito, in maniera forse decisiva, a logorare la loro capacità di combattimento.
- l'avanzata più spettacolare, comunque, è quella sul fronte sud: in meno di 72 ore, il fronte russo è arretrato di 40 km. Arretrato, ma sarebbe meglio dire collassato. La ritirata è stata appena più ordinata di quella di Izyum, ma potrebbe preludere a un disastro ancora maggiore, visto che i russi hanno perso circa un terzo della riva occidentale del Dnipro e che ormai in tutta la sacca non hanno più retrovie: per dare un’idea, qualsiasi punto al suo interno è raggiungibile da un Himars posto in qualsiasi punto entro 5-10 km dalla linea del fronte. L’arretramento, insomma, non sembra indicare un riposizionamento su linee difensive più corte e con una maggior densità ma, al contrario, la concentrazione delle truppe rimaste in un’area sempre più piccola e più esposta, con possibilità di rifornimento (e di fuga) sempre più esigue. Peraltro, non pare che vi siano particolari apprestamenti difensivi, ma solo il tentativo di assestarsi sulle due teste di ponte più vicine a possibili attraversamenti: Kherson stessa e Berislav-Kozatske. Mi arrischio in una previsione: penso che entro la fine del mese la sacca crollerà definitivamente e Kherson sarà liberata.
Intanto, mi permetto un personale pappappero a certi fagianidi e altra cacciagione di penna, che per settimane hanno ciarlato di salienti e di trappole in cui sarebbe finita la controffensiva ucraina: sì, come no.
Resta ancora da capire se gli ucraini avranno forze e tempo sufficienti per una terza offensiva: colpire al centro, dove le linee russe sono parzialmente sguarnite, potrebbe portare a una nuova cavalcata, fino a liberare Melitopol e a raggiungere il mare d’Azov, tagliando in due lo schieramento degli invasori, con tutto il settore est alimentato solamente dal flusso di rifornimenti che potrà passare per il ponte di Kerch, ATACMS permettendo (perché arriveranno anche quelli).
In poche parole: i russi hanno perso la guerra o, comunque, ci sono molto vicini. La campagna di reclutamento sta dando risultati scarsi, con duecentomila nuovi morituri a fronte di 700mila scappati per evitare la mobilitazione (
https://www.forbes.ru/.../478827-ros...le-21-sentabra...). Ancora più significativo, il ciclo di leva di quest’anno inizierà il primo novembre, con un mese di ritardo; secondo l’intelligence militare britannica (
https://twitter.com/DefenceHQ/status...68391005167620), ciò sarebbe dovuto al fatto che la mobilitazione avrebbe già esaurito le capacità del sistema militare russo in termini di alloggi, equipaggiamento, strutture di addestramento. Insomma, c’è poco da fare: stanno perdendo terreno, le perdite di equipaggiamenti e mezzi pesanti sembrano incolmabili e anche le capacità di gestire la nuova carne da cannone sono assai limitate. Difficile, se non impossibile, che i russi possano rovesciare la situazione. Se un mese fa ancora potevano farsi forti del fatto di occupare ancora una parte non piccola del territorio ucraino, ormai questo vantaggio si va riducendo di giorno in giorno, mentre le forze a disposizione crollano a ritmo ancora più sostenuto.
Vorrei aggiungere ancora un punto, che credo vada ribadito: il crescente gap di capacità tra le forze russe e quelle ucraine, che di fatto mostra la schiacciante superiorità tecnologica e operativa occidentale. Faccio due esempi.
Il primo riguarda le capacità di colpire in profondità. La Russia sta continuando la sua campagna di attacchi contro le città e le infrastrutture ucraine. Lo fa con missili S-300 e simili e con i famosi droni iraniani: i primi sono armi antiaeree, che possono essere usate solo contro bersagli terrestri fissi e molto grandi e, anche in questi casi, con scarsa precisione e letalità; i secondi hanno notevoli limiti sia dal punto di vista del carico bellico, sia da quello della precisione. Infatti, gli Shaheed-136 sono praticamente “ciechi”: non hanno nessun sensore di bordo, solo un ricevitore GPS per andarsi a schiantare su una posizione prestabilita; in pratica, funzionano come dei mini-HIMARS, con due differenze non irrilevanti. La prima è che il razzo americano ha una carica esplosiva di 90 kg e il drone iraniano di 16; la seconda, che i primi sono guidati con un GPS militare ad alta precisione e resistenza alle contromisure, i secondi con un GPS commerciale, meno preciso e resistente o, nel caso russo, dal GLONASS, la cui affidabilità è… beh, è un sistema russo. Fatto ancora più importante, gli ucraini hanno un sistema di acquisizione dei bersagli molto preciso ed efficiente, che consente di individuare e colpire anche bersagli “semi-mobili”, come depositi provvisori di munizioni, centri di comando, concentramenti di truppe e di artiglieria non semovente. In poche parole, se stai fermo più di un paio d’ore, sei a rischio. I russi, invece, riescono a prendere di mira solo obiettivi completamente statici e già noti, con il risultato che colpiscono solo edifici e infrastrutture civili, con un effetto terroristico ma nessuna utilità militare. Se la cavano molto meglio i ribelli Houthi, che usano gli stessi droni per colpire le raffinerie saudite: bersagli grossi e fissi, ma molto fragili e di importanza critica.
Il secondo esempio viene proprio dall’avanzata di Kherson: pare che i russi siano stati colti di sorpresa anche perché i mezzi ucraini, almeno in alcuni casi, avrebbero mostrato i contrassegni tipici degli invasori, le famigerate Z e V. Un trucchetto simile riesce, nella guerra di oggi, solo se il nemico non dispone di un sistema C2 (comando e controllo) tale da verificare efficacemente e in tempo reale dove sono le proprie unità. Oggi, praticamente ogni piattaforma e ogni squadra, o almeno ogni compagnia, ha una mappa digitale dove sono segnalate le unità amiche (e la collocazione stimata di quelle nemiche): se d’improvviso mi arriva davanti un gruppo di corazzati che non risulta sulla mappa, mi pongo qualche domanda, le prendo di mira e ordino loro di fermarsi per procedere all’identificazione, non mi limito a fare ciao ciao solo perché hanno un disegnino sopra. Inoltre, chi usa questo tipo di travestimento deve essere sicuro di non essere preso a cannonate dai suoi. Ancora una volta, un C2 digitale permette di evitare questi equivoci. Insomma, gli ucraini lo hanno, i russi no. Ed è una differenza notevole, un vero moltiplicatore di forze che aumenta il coordinamento operativo e intensifica il ritmo e l’efficacia delle azioni, specie in una fase di movimento offensivo e ancor più nelle operazioni notturne, in cui è vitale sapere dove ci si trova, dove si trovano le unità amiche e quelle nemiche.
Insomma, siamo arrivati al punto in cui uno dei contendenti ha esaurito le sue capacità di proseguire lo scontro e dovrebbe, razionalmente, cercare la pace. Anche perché nessuno pone condizioni particolarmente insostenibili per ottenerla: in fondo, tutto quello che la Russia dovrebbe fare sarebbe di rispettare i confini internazionalmente riconosciuti dell’Ucraina. Basta questo a rendersi conto del fatto che il ricatto nucleare non ha senso, se non a partire dalla prospettiva di un regime che teme di perdere tutto e non vuole affrontare una sconfitta che si è procurato da se stesso.
Dall’altra parte, non ci sono reali segni di cedimento nel sostegno all’Ucraina. Gli USA hanno annunciato un nuovo pacchetto di aiuti militari e sul versante europeo si segnalano due importanti iniziative congiunte: un programma di addestramento per 15.000 militari (
https://www.reuters.com/.../eu-train...-ukrainian.../) e la decisione di Germania, Danimarca e Norvegia di acquistare 16 obici semoventi slovacchi ZUZANA-2 per l’Ucraina (
https://defence-blog.com/germany-nor...denmark-to.../) . Sono i primi passi concreti in direzione di un coordinamento europeo dell’assistenza militare che, auspicabilmente, potrà portare anche allo sviluppo delle capacità industriali necessarie a fornire armamenti pesanti in quantità significative e con modelli standardizzati. Ci vorrà tempo, certo. Ma proprio la definizione dell’orizzonte temporale è forse l’incognita maggiore.
Come dicevo, in condizioni “normali” la Russia dovrebbe ammettere la propria sconfitta, al più tardi, entro la fine del mese. Se Putin fosse un dittatore mediamente razionale, come Saddam Hussein, penserebbe a mettere insieme una quantità sufficiente di truppe fedeli e ben armate per proteggersi e chiuderebbe le ostilità badando a salvare ghirba e cadreghino. Ma, a quanto pare, non è così: ha deciso di sacrificare persino i suoi reparti migliori, i “paracadutisti” della VDV, lasciandoli intrappolati nel calderone di Kherson; difficilmente potrà contare su di loro, una volta che la polvere si sarà posata sulle macerie. Quelli che riusciranno a ritirarsi dai combattimenti saranno i rimasugli di formazioni battute e sbandate, con tutti gli equipaggiamenti pesanti lasciati sull’altra sponda e ben poco affetto per i vertici che li hanno cacciati in questa situazione, a partire dal grande kahuna.
A questo punto, sembra che la sua strategia consista semplicemente nel bruciare i ponti, sperando che la minaccia nucleare, sempre accennata ma mai esplicitamente formulata, sia sufficiente a costringere la controparte a fornirgli una via d’uscita. Va detto, comunque, che le sue abilità di giocatore di poker sono in linea con le sue competenze militari: dopo aver fatto tutta la caciara dei plebisciti forzati e delle annessioni, si è trovato di fronte ad avanzate ucraine sempre più profonde in quello che, a detta sua e dei suoi sicofanti, sarebbe a tutti gli effetti territorio russo. La risposta? Che i confini non sono ancora stati stabiliti, che deve votare la Duma, che Putin deve controfirmare il decreto, che è stato messo il bollo quadro ma ci andava quello tondo, che la carta carbone non era a norma e quindi si devono rifare tutte le copie, che l’ufficio timbri ha mandato la pratica all’ufficio marche da bollo eccetera. Insomma, a pochi giorni dalla gran cafonata sulla Piazza Rossa, tutta la faccenda è stata sostanzialmente già messa in soffitta. Come dire, un guappo di cartone.
A questo punto, che succederà? La risposta facile è: non la pace. Per quanto terreno gli ucraini possano liberare, per quante vittorie possano ottenere, tra poche settimane le operazioni si dovranno assestare. E comunque il problema è che non si vede un punto di mediazione accettabile per entrambe le parti e, in generale, sensato: con l’annessione dei quattro oblast, il regime russo ha fatto saltare ogni mediazione possibile, se ne sono resi conto non solo i leader occidentali più possibilisti, ma persino i paesi più vicini a Mosca, che infatti hanno condannato questa follia. Accanto a Putin restano Kim Jong-Un, il papa e Orsini: un po’ poco, anche se in prima linea farebbero la loro figura.
L’apparato del potere putiniano mostra ormai parecchie crepe e manda molti scricchiolii, ben sintetizzati un’analisi dell’ISW (
https://www.understandingwar.org/......offensive...); in poche parole, le diverse componenti del blocco nazionalista stanno reagendo ai recenti rovesci con una serie di accuse reciproche e manovre fratricide, che ovviamente complicano ancor più il quadro generale. Ma non voglio fare l’apprendista cremlinologo: non so se tutto ciò possa portare a una reale erosione del regime e, soprattutto, non so se da qui possa venire una via d’uscita.
Direi che, allo stato attuale, non sembra esserci una plausibile prospettiva di fine della guerra. Ciò non significa, però, che non se ne possa abbassare l’intensità. Potrebbe darsi che, dopo il prevedibile rallentamento dei prossimi mesi, ci sia una nuova fase di offensive, con la probabile liberazione di altro territorio, anche oltre le linee del 24 febbraio e persino della Crimea. Solo che non credo che, nemmeno a questo punto, la Russia ammetterà la sconfitta: si continuerà in una situazione di guerra strisciante, con qualche tregua e qualche nuova fiammata, mentre le sanzioni andranno avanti, i paesi sotto l’influenza russa si staccheranno uno ad uno (all’inizio della guerra indicavo l’Asia centrale, l’anno prossimo potrebbe anche toccare alla Bielorussia). E avanti così, fino a che non cederà di schianto: non il regime, tutta la federazione russa.
E qui la faccenda si farà decisamente complicata. Perché nella storia non è sempre vero che un sistema crolla solo quando è pronta l’alternativa. A volte si precipita, semplicemente, nel caos. La storiografia russa ha un termine preciso per questa situazione: il periodo dei torbidi.