Procedimenti con condanna penale definitiva
- Nel gennaio 2010 la Corte d'Appello penale di Roma lo ha condannato a 1 000 euro di multa per il reato di diffamazione aggravato dall'uso del mezzo della stampa, ai danni di Cesare Previti[85]. Il reato, secondo il giudice monocratico, era stato commesso mediante l'articolo Patto scellerato tra mafia e Forza Italia pubblicato su L'Espresso il 3 ottobre 2002[86]. La sentenza d'appello riforma la condanna dell'ottobre 2008 in primo grado inflitta al giornalista a 8 mesi di reclusione e 100 euro di multa[87]. In sede civile, a causa del predetto reato, Travaglio era stato condannato in primo grado, in solido con l'allora direttrice della rivista Daniela Hamaui, al pagamento di 20 000 euro a titolo di risarcimento del danno in favore della vittima del reato, Cesare Previti[88]. Il 23 febbraio 2011 la condanna per diffamazione confermata in appello per il processo Previti sarebbe caduta in prescrizione[89], che tuttavia non scatterà in ragione dell'inammissibilità del ricorso in Cassazione presentato da Travaglio[90]. Sostenendo che fosse stata lesa la sua libertà di parola, Travaglio ha presentato ricorso davanti alla Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo, che, nel 2017, stabilì che l'articolo Patto scellerato tra mafia e Forza Italia era effettivamente diffamatorio, essendo l'intercettazione riportata "essenzialmente fuorviante e confutata dal resto della dichiarazione non inclusa dal ricorrente nell'articolo".[91]
Procedimenti penali in corso
- Il 15 febbraio 2017 il giornale Il Fatto Quotidiano, diretto da Marco Travaglio, è stato condannato in primo grado dal tribunale di Roma per diffamazione nei confronti di Giuliano Amato. La sentenza afferma che negli articoli del Fatto, a firma di Marco Travaglio: "non può non riconoscersi la sussistenza del reato di diffamazione aggravata a mezzo stampa, sussistendone gli elementi oggettivo e soggettivo, che, come noto, il giudice civile può accertare in via incidentale".[92]
- Il 4 febbraio 2022 è stato condannato in primo grado ad una multa di tremila euro dal tribunale di Roma per diffamazione nei confronti di Giuseppe Sala. Nella puntata del 15 giugno 2018 della trasmissione "Otto e mezzo", Travaglio aveva affermato che Sala avesse ricevuto nel 2016 un finanziamento illecito dal costruttore romano Luca Parnasi, poi coinvolto nella capitale in un’inchiesta sullo stadio della Roma che aveva toccato anche il Movimento 5 Stelle[93].
- In data 6 giugno 2022 è stata resa nota la sentenza del Tribunale di Padova, in base alla quale sono stati ritenuti colpevoli del reato di diffamazione nei confronti della Presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati i giornalisti del Fatto Quotidiano, Marco Travaglio, Ilaria Proietti e Carlo Tecce. Il tribunale di Padova ha infatti accertato la responsabilità dei tre giornalisti “per il carattere diffamatorio, nei limiti e per le ragioni esposte in parte motiva, degli articoli del 17.11.2019 a firma Carlo Tecce, del 20.6.2020 a firma Ilaria Proietti, del 10.12.2019 a firma Marco Travaglio, nonché degli articoli dell’11.12.2019 e del 12.12.2019”. La società editrice e i tre giornalisti dovranno pagare all’esponente di Forza Italia 25mila euro a titolo di risarcimento danni. Poi c’è la riparazione pecuniaria: condannati al versamento di 2mila euro ciascuno Travaglio e Proietti e di mille euro Tecce. Inoltre il rimborso delle spese legali: 940,90 euro più 7mila e 254 euro di onorari, oltre a Iva, Cpa e 15% di rimborso spese generali. Infine è prevista la pubblicazione della sentenza sul Corriere della Sera, Il Fatto Quotidiano, Il Gazzettino e Il Mattino, a cura e spese dei condannati.
Sentenze di condanna in sede civile
- Nel 2000 è stato condannato in sede civile[94][95], dopo essere stato citato in giudizio da Cesare Previti a causa di un articolo in cui Travaglio aveva definito Previti «futur[o] client[e] di procure e tribunali» su L'Indipendente, Previti era effettivamente indagato ma a causa dell'impossibilità da parte dell'avvocato del giornale di presentare le prove in difesa di Travaglio in quanto il legale non era retribuito, il giornalista fu obbligato al risarcimento del danno quantificato in 79 milioni di lire.[96][97]
- Il 4 giugno 2004 è stato condannato dal Tribunale di Roma in sede civile a un totale di 85 000 euro (più 31 000 euro di spese processuali) per un errore contenuto nel libro La Repubblica delle banane scritto assieme a Peter Gomez e pubblicato nel 2001; in esso, a pagina 537, si attribuiva erroneamente all'allora neo-parlamentare di Forza Italia, Giuseppe Fallica, una condanna per false fatture che aveva invece colpito un omonimo funzionario di Publitalia. L'errore era poi stato trasposto anche su L'Espresso, il Venerdì di Repubblica e La Rinascita della Sinistra, per cui la condanna in solido, oltreché alla Editori Riuniti, è stata estesa anche al gruppo Editoriale L'Espresso. Nel 2009, dopo il ricorso in appello, la pena è stata ridotta a 15 000 euro.[98]
- Il 5 aprile 2005 è stato condannato dal Tribunale di Roma in sede civile, assieme all'allora direttore de l'Unità, Furio Colombo, al pagamento di 12 000 euro più 4 000 di spese processuali a Fedele Confalonieri (Mediaset) dopo averne associato il nome ad alcune indagini per ricettazione e riciclaggio, reati per i quali, invece, non era risultato inquisito[68]. Travaglio in un articolo dichiarerà che aveva scritto che "era coimputato con Berlusconi, ma usando un’espressione giudicata insufficiente a far capire che lo era per un reato diverso da quello contestato al Cavaliere".[99]
- Il 20 febbraio 2008 il Tribunale di Torino in sede civile lo ha condannato a risarcire Fedele Confalonieri e Mediaset con 26 000 euro, a causa di una critica ritenuta «eccessiva» nell'articolo Piazzale Loreto? Magari pubblicato nella rubrica Uliwood Party su l'Unità il 16 luglio 2006[senza fonte][100].
Il 21 ottobre 2009 è stato condannato in Cassazione (Terza sezione civile, sentenza 22190) al risarcimento di 5 000 euro nei confronti del giudice Filippo Verde che era stato definito «più volte inquisito e condannato» nel libro Il manuale del perfetto inquisito, affermazioni giudicate diffamatorie dalla Corte in quanto riferite «in maniera incompleta e sostanzialmente alterata» visto il «mancato riferimento alla sentenza di prescrizione o, comunque, la mancata puntualizzazione del carattere non definitivo della sentenza di condanna, suscitando nel lettore l'idea che la condanna fosse definitiva (se non addirittura l'idea di una pluralità di condanne)»[101]. Travaglio scriverà che "avevo scritto “più volte condannato” nel senso del primo e del secondo grado, mentre il giudice ha inteso due volte condannato in via definitiva".[99]
- Il 18 giugno 2010 è stato condannato[102] dal Tribunale di Torino – VII sezione civile – a risarcire 16 000 euro al Presidente del Senato Renato Schifani (che aveva chiesto un risarcimento di 1 750 000 euro) per diffamazione avendo evocato la metafora del lombrico e della muffa a Che tempo che fa il 10 maggio 2008. Il Tribunale ha invece ritenuto che le richieste di chiarimenti, da parte di Travaglio, circa i rapporti di Schifani con esponenti della mafia siciliana rientrino nel diritto di cronaca, nel diritto di critica e nel diritto di satira.[103]
- L'11 ottobre 2010 Travaglio è stato condannato in sede civile per diffamazione dal Tribunale di Marsala, per aver dato del "figlioccio di un boss" all'assessore regionale siciliano David Costa, arrestato con l'accusa di concorso esterno in associazione mafiosa e poi assolto in appello. Travaglio è stato condannato a pagare 15 000 euro[104]. Dopo l'assoluzione in primo e secondo grado, nel 2013 Costa verrà condannato a 3 anni e 8 mesi di carcere dalla Corte di Appello di Palermo per concorso in associazione mafiosa.[105]
- Il 23 gennaio 2018 è stato condannato per diffamazione dal Tribunale di Roma in merito ad un editoriale su Il Fatto Quotidiano contro tre magistrati siciliani, riguardo alla latitanza di Bernardo Provenzano; la provvisionale disposta ammonta a 150 000 euro[106]. Il 15 ottobre 2013 in un articolo intitolato “La cluster-sentenza”, Travaglio scrisse: “…nelle prime 845 (pagine) non parlano del reato contestato ai loro imputati: cioè la mancata cattura di Provenzano” e aggiunge: “Si avventurano invece nella storia delle stragi e delle trattative del 1992-’93, oggetto degli altri due processi”; la sentenza “non si limita a incenerire le accuse del processo in cui è stata emessa ma, già che c’è, si porta avanti, e fulmina anche altri processi, possibilmente scomodi per il potere”.[107]
- Travaglio è stato citato in giudizio per diffamazione nei confronti di Tiziano Renzi (il padre di Matteo Renzi), per due editoriali su Il Fatto Quotidiano riguardanti un processo penale per bancarotta che ha visto lo stesso imputato assolto con formula piena[108]. Nel primo articolo, parlando dell'indagine in corso a Genova sulla azienda controllata dalla famiglia di Tiziano Renzi Chil Post, Travaglio aveva usato il termine "fa bancarotta"; nel secondo articolo Tiziano Renzi era stato accostato per "affarucci" a Valentino Mureddu, iscritto, secondo le cronache, alla P3. Il 22 ottobre 2018, il tribunale civile di Firenze lo ha condannato (in solido con la giornalista Gaia Scacciavillani e con la Società Editoriale Il Fatto) al pagamento di una somma di 95 000 euro a titolo di risarcimento per diffamazione[109].
- Il 16 novembre 2018, in un procedimento (relativo alle parole pronunciate nel corso di un'ospitata nella trasmissione "Otto e mezzo"), Travaglio è stato condannato dal Tribunale di Firenze al pagamento di 50 000 euro per diffamazione nei confronti di Tiziano Renzi[110]. Travaglio disse che “Il padre del capo del governo si mette in affari o s’interessa di affari che riguardano aziende controllate dal governo”. Travaglio dichiara nel suo editoriale su Il Fatto Quotidiano del 17 novembre 2018 che "Tiziano Renzi era ed è indagato dalla Procura di Roma per traffico d’influenze illecite con la Consip, società controllata dal governo, ai tempi in cui il premier era il figlio Matteo" e che "Tiziano Renzi si era messo in affari con un'altra società partecipata dal governo, Poste Italiane, ottenendo per la sua “Eventi 6” un lucroso appalto per distribuire le Pagine Gialle nel 2016". Dichiara inoltre di non avere avuto notizia alcuna del processo in corso contro di lui, e di non essere stato quindi in grado di difendersi.[111]
- Il 5 giugno 2022 è condannato in primo grado per diffamazione ai danni di Maria Elisabetta Alberti Casellati.[112][113]