“Di che anno sei?
“1987”
“Ah, una delle ultime classi buone, si dice…”
“Non fare di tutta l’erba un fascio.”
Era una buona serata.
La folla produceva suoni di incitamento primitivi e scoordinati, smorzati dalle fredde mura dell’anticamera, in sostanza un corridoio tra gli spogliatoi e l’arena. Si poteva sentire qualche coro abbozzato solo per una manciata di secondi, ogni tanto. Il tifo non era più quello di una volta.
Gli uomini non erano più quelli di una volta.
Allo stadio veniva naturale riunirsi in bande per sostenere la propria squadra e dare sfogo a quegli istinti che, all’epoca, si doveva seppellire sotto il pesante strato di apparenza e accettabilità che ti imponeva la società. Come una maschera.
Non più.
Non che lui fosse mai andato a vedere una partita di pallone. Non era proprio nelle sue corde, ma aveva tanti amici che lo facevano. Come una mandria.
Non più.
La porta della gabbia era fredda e umida di sangue e sudore, come ogni sera. Escoriavale mani e la fronte, la rete metallica elettrosaldata, rossa di sangue raggrumato e ruggine ormai indistinguibili tra loro sulla struttura di ferro. Un materiale che conosceva bene. Piccoli momenti di svago.
Non più casa. Non più famiglia, per quel che ne sapeva. Non più ferie, non più lavoro.
“Mesdames et messieurs, pour le dernier combat de ce soir, nous vous donnons... le sang! Les os! La foudre! Faites sentir votre chaleur pour... Les Tourbillon Noir!”
Non erano più le sensazioni delle prime volte, ormai, dopo anni nella gabbia. Spingi la porta a rete, dieci passi lunghi e ben distesi nel corridoio, ecco la sabbia. Ecco le urla! Guardali tutti, gira su te stesso. Se urlano poco, incitali. Stai per morire! Stanno per vederti morire. Stanno per vederti uccidere! Vogliono vederti morire. O uccidere. Avranno il loro Circensem. Per il Panem, ci stiamo organizzando! avrebbe detto il suo vecchio lanista.
Non più.
Ma aveva ancora le urla, e tutte le costole sane.
Non c’era stata nessuna promessa di libertà, di qualsiasi ricompensa. Non era neanche la sua vocazione. Quando era arrivato alla gabbia, nel 2023, aveva 36 anni e una vita di lavori sedentari alle spalle.
Un uomo tranquillo.
Non aveva abilità particolari. Un corpo poderoso, leve lunghe e spalle larghe, un regalo della genetica. Una lotta continua contro la sedentarietà della vita d’ufficio.
Decisamente non più.
Adesso ogni fibra del suo sistema muscolare vibrava attraverso la pelle al più piccolo movimento. Aveva rasato i capelli: Lunghi, sono un punto debole. Aveva smesso di fumare: serve fiato. E comunque le sigarette non si trovavano più tanto, anzi. Eran moneta sonante. Tutto risparmiato. Aveva smesso di bere, volente o nolente.
Scatta indietro, guardia.
Jab, jab, diretto
Dopo averla avuta nel cervello tutta la giornata, niente di meglio che scaricarla addosso a qualcuno.
Piega a destra, arco basso.
Gancio sinistro, diretto.
Travelling Wilburys. L’originale è di Del Shannon, ma non ha lo stesso ritmo. A volte il jab corrispondeva a uno strumento, a volte associava gli attacchi alle percussioni o ai bassi, durante le parti cantate, e il balletto di schivate e spostamenti alle parti strumentali.
Il risultato era sconcertante.
"Why?" gli scappò. Rischioso. Piega indietro.
Uno due, uno
Gli avversari tendevano ad adeguarsi al suo ritmo, inconsapevolmente. Questo, naturalmente, dava molti benefici nell’economia della lotta nella gabbia.
Solitamente finiva prima del secondo ritornello. Gli piaceva finire con l’ultima strofa del ritornello, dava completezza al rituale.
“Hai vinto di nuovo, Nero! Oramai non c’è più gusto. Fai attenzione, qui la gente si stanca in fretta.”
“Tu sei stanco, Jean?”
“Io tifo per te, lo sai! Ah, Nero! - proseguì il corpulento secondino mentre il lottatore si allontanava nel corridoio, seguito dalle urla della folla in visibilio, camminando lento verso gli spogliatoi - Datti una bella strigliata, c’è una sorpresa che ti aspetta in stanza!”
“Immagino che sorpresa… Grazie Jean, a domani.”
Il consiglio era ridondante, Nero era maniaco dell’igiene. La vita non era stata facile in quel senso, dal Diluvio. Una doccia di tre minuti, calda per gli ultimi 30 secondi, non sarebbe bastata per lui, prima. Ora l’alternativa era il bagno comune, e grazie ma no, grazie.
Cercò il telo più pulito e, asciugati frettolosamente testa e torso, se lo avvolse in vita avviandosi verso la sua camera.
Era una donna più o meno della sua età, castana di capelli e di occhi. Aveva un corpo sottile ma formoso, ben nutrita.
“Paghi, immagino.”
“Immagini bene. Ora basta con l’immaginazione, sarai pieno di adrenalina per la lotta. Voglio sentirla dentro…”
Lo era, in effetti. La sovrastò e quasi meccanicamente afferrò il corpo della donna, una mano dietro la nuca e una sul fianco. Una morsa di cinque dita d’acciaio le penetrò nella natica destra. L’estasi le fece inarcare la schiena e, di nuovo come da manuale, Nero le morse un seno. Poi le premette la testa sul cuscino e prese a possederla con dedizione.
Era una buona serata, la vittoria nella gabbia, il clima tiepido. Fecero l’amore a lungo e volentieri, poi la donna, esausta, estrasse con circospezione due sigarette. Le accese entrambe nella sua bocca e gliene porse una.
“Sono stato bravo, allora?” disse, accettandola di buon grado.
“Tu che ne dici? Pensavo fosse stato chiaro almeno tre volte…”
Era una buona serata.
***
“Parlavo spesso con mio padre, a volte gli parlo ancora”
Chi parlerà con me quando sarò morto, papà?
***
Il forte tuono lo trovò col viso tra i folti capelli ricci di lei, che profumavano di noce di macadamia. Lo sapeva perché era anche il suo shampoo preferito. Nel sonno, dovevano aver trovato riparo dal fresco del temporale l’una nelle braccia dell’altro.
“Sei sempre così agitato, nel sonno?”
Accarezzò il dorso della mano di lui, che stringeva forte il suo seno sinistro. La spostò sul fianco fresco della donna. Piccole rughe agli angoli degli occhi impreziosivano il suo viso sorridente quando, girandosi verso di lui, lo baciò dolcemente.
“Non saprei. Non dormo quasi mai con le… con…”
“Con le donne che pagano, o che vengono pagate per fare l’amore con te?”
“Il più delle volte non è nemmeno un’opzione. Tu mi hai tranquillizzato. E poi mi hai offerto una sigaretta, sei rimasta, ho pensato che ti avrebbe fatto piacere. Il lanista non si preoccupa di queste cose, e poi godo di una certa libertà qui. Ho un valore…”
“Che cosa facevi, prima?”
“Mi annoiavo. Cercavo di fare finire le giornate, pagare le bollette, come tutti.”
“Sei uno di quelli che è rinato nel Diluvio, eh?”
In un certo senso sapeva che la fine del mondo gli aveva tolto tutto e dato ancora di più. Era un disadattato, non era fatto per vivere. Non aveva uno scopo. Questo, prima del Diluvio.
“Mi sento in colpa per chi non c’è più. Ma questo…” Si guardò intorno sollevando leggermente la testa dal cuscino. “Questo mi riesce bene. Niente più ansia. Niente più responsabilità di cose sulle quali non ho il controllo. Ora ho il controllo solo su me stesso.”
“Da quanto tempo sei qui dentro, Nero?”
“Da… A proposito!” esitò qualche istante. “Come ti chiami?”
Lei sorrise.
“Credevo non me lo avresti mai chiesto. Barbara.”
Le labbra carnose promettevano sogni di lussuria e desiderio a ogni consonante scandita con grazia.
“Domani sarà tutto finito e non ti vedrò più.”
“Non deve essere per forza così, Nero. Lo sai come è il mondo là fuori, adesso?”
“So che qui sono al sicuro, ho tre pasti al giorno e ho una reputazione.”
“E puttane ogni sera?”
“A volte mi pagano anche, per scopare!”
Lei lo colpì con uno schiaffo assordante sull’orecchio e si alzò di scatto. Lo guardò con occhi lucidi.
“Scusami, lo sai che non intendevo…”
“So cosa intendevi. La società sta rinascendo, Nero! Puoi andartene quando vuoi.”
Nero tacque lunghi istanti, poi allungò un braccio verso di lei. “Vieni, questo giro offre la casa.”
***
Si svegliò senza sussulti, così poè osservare per alcuni secondi le due figure in piedi nel buio della stanza.
Una era certamente Barbara, l'altra con il passare dei secondi divenne una ragazza anch'essa, più bassa e piccola. Sembravano sussurrare tra loro.