Riporto da La Repubblica, che mi pare scriva due dettagli in più rispetto ai vari nicola porro, libero e La Verità di turno


L’ex primo ministro libico Omar el Hassi, pronto ad aggregarsi alla Flotilla con la sua Omar al Mukhtar, tenuto lontano con un pubblico “no grazie”, non è stato l’unico lasciato a terra dalla missione marittima umanitaria in viaggio verso Gaza. Negli stessi giorni, al porto tunisino di Biserte è rimasto Khaled Boujemaa, fra i coordinatori del settore nordafricano della flotta, vicino a un partito di ispirazione religiosa.

“Gli organizzatori ci hanno mentito, ci hanno nascosto l’identità di alcuni degli esponenti di prima linea della Flotilla”, ha detto in un video postato sui social e ripreso il 16 settembre dal Courier de l’Atlas e ieri improvvisamente diventato virale. Oggetto del contendere, la presenza a bordo di Saif Ayadi, attivista queer e figura di riferimento per la sinistra radicale tunisina, da tempo in rotta con il presidente Kais Sayed.

A detta di Boujemaa, la lotta per Gaza non dovrebbe essere “sporcata” da altre istanze, per questo avrebbe deciso di prendere le distanze dalla Flotilla. In realtà, fanno filtrare gli attivisti, non sarebbe stato lui a dimettersi, ma il comitato organizzatore a non cedere al ricatto e a indicargli la porta quando ha messo tutti di fronte all’aut aut: “O io, o lui”.

Due versioni totalmente opposte. Sulle barche che adesso si dirigono verso Gaza è rimasto Saif Ayad, mentre in Tunisia, dove l’omosessualità è punita con il carcere fino a tre anni e si registrano sempre più arresti e aggressioni nella comunità Lgbtq, si è infiammato il dibattito.

Con Boujemaa si sono schierati alcuni personaggi pubblici, anche considerati ‘progressisti’, come Mariem Meftah, e volti noti della tv come il presentatore tunisino Samir Elwafi. “La Palestina è prima di tutto la causa dei musulmani e non può essere separata dalla sua dimensione spirituale e religiosa”, ha detto.

In realtà, spiegano alcuni esponenti dell’opposizione tunisina che chiedono l’anonimato per timore di possibili ritorsioni, la questione è più profonda, spinosa e ha a che fare anche con il curioso e contraddittorio atteggiamento della Tunisia di Kais Saied nei confronti della Flotilla. Formalmente, la Tunisia di Saied, economicamente in ginocchio e sempre più vicina a una svolta autoritaria, è impegnata per la causa palestinese, ha sottoscritto iniziative legali contro il massacro israeliano e si dice pronta a supportare gli attivisti. Tuttavia, i due attacchi con granate incendiarie subite dalla Alma e dalla Family derubricati a “incidente dovuto a un mozzicone acceso” e le lungaggini burocratiche che hanno tenuto inchiodate per settimane le barche tra Sisi Abou Said e Biserte hanno fatto dubitare i più del reale sostegno.

“Pur non essendo a conoscenza direttamente di questa situazione, confermo che abbiamo una politica antidiscriminatoria molto chiara e concordata fin dall'inizio. Nessuna discriminazione di razza, sesso, religione, orientamento sessuale, età, capacità fisica o altro è accettata”, spiega la portavoce italiana Maria Elena Delia.

Ruggini e polemiche che, nei giorni di sosta obbligata in Tunisia, dalla Flotilla si è tentato di tenere fuori dal dibattito perché “la priorità è Gaza”, ma hanno finito per tracimare sui media mentre il viaggio delle 43 barche prosegue, nonostante le minacce di Israele. “Questa flottiglia, organizzata da Hamas, è destinata a servire Hamas. Israele non permetterà alle imbarcazioni di entrare in una zona di combattimento attiva”, ha fatto sapere ieri con una nota il ministero degli Esteri israeliano, rivendicando la legittimità del blocco navale. “Se il reale intento dei partecipanti alla flottiglia è quello di fornire aiuti umanitari e non servire Hamas, Israele invita le imbarcazioni a attraccare al Marina di Ashkelon e a scaricare lì gli aiuti”.

Parole che per la Flotilla si inseriscono “in un modello di lunga data: la deliberata ostruzione da parte di Israele degli aiuti destinati a Gaza e i suoi tentativi di delegittimare chi contesta il suo blocco illegale”. Da maggio 2025, dopo la revoca del “blocco totale”, ricordano, Israele ha consentito l’ingresso a Gaza di una media di 70 camion al giorno, sebbene l’Onu abbia stimato che siano necessari quasi dieci volte tanto e solo per soddisfare i bisogni di base. “La retorica di Israele contro la Global Sumud Flotilla prepara il terreno a ulteriori escalation. Dipingere una missione umanitaria pacifica come una «violazione della legge» è un pretesto per la violenza contro civili che agiscono legittimamente per consegnare aiuti”.
Insomma, non pare esserci una barca con bandiere arcobaleno e cazzi di gomma attaccati all'albero maestro... semplicemente un estremista religioso non voleva stare nella stessa flotta (perchè dubito fosse la stessa barca) in cui c'era anche un famoso (da loro) attivista Lgbtq