Se un dodicenne non comprava Videogiochi o Zzap! e quindi non seguiva la scena, cosa tutt'altro che da escludere, può pure darsi che, nella sua ingenuità, inizialmente potesse pensare a produzioni originali italiane (erano altri tempi, il medium videogioco era praticamente agli albori, non c'era una cultura videoludica in Italia... ovviamente poi notando che "Prendi le mele" era uguale alla conversione di "Bomb Jack" comprata "originale" dall'amico è probabile che qualche dubbio gli venisse).
Al contrario di quello che quasi tutti pensano, nonostante fino al 31 dicembre 1992 mancasse una legislazione specifica, le cassette da edicola non erano propriamente legali già da prima. Infatti ci furono diversi casi di sentenze di condanna ai pirati che facevano giurisprudenza, alcune delle quali riportate in questo articolo, al paragrafo "Software pirata 'legale'?"
http://ready64.it/articoli/leggi/ida...0-introduzione
Sempre da lì:
"Ancora questo sito ha rivelato pubblicamente per la prima volta, nell'intervista a Roberto Preatoni, la prassi degli editori pirata di far firmare un contratto al cracker di turno in cui dichiarava di essere l'autore del gioco piratato. Evidentemente una forma di manleva di responsabilità da parte dell'editore, che in pratica addossava all'operaio i rischi dell'impresa illegale.
Dal web, inoltre giunge testimonianza dell'esistenza di vere e proprie liste[2] di Software House da non piratare, stilata dai pirati dell'epoca. Questa lista conteneva infatti i nomi di tutti quegli editori ed importatori più battaglieri e decisi a proteggere le loro opere sul territorio italiano.
E questo ci porta diritti a considerare un'altra concausa tra quelle che hanno permesso l'esistenza e diffusione dei titoli camuffati. Osservando bene i nomi degli editori che hanno fatto causa (molti dei quali costituitisi in consorzio chiamato "Assoft"), scopriamo trattarsi di tutti editori italiani o importatori ufficiali, come la Mastertronic di John Holder.
Affinchè la Software House pubblicatrice del prodotto originale avesse interesse o convenienza ad intentare una causa, era di fatto necessaria una presenza legale sul territorio in cui era commessa l'infrazione. E' facile immaginare quindi la ragione per cui notissime case inglesi, tedesche o americane non provassero a contrastare questo fenomeno. Intentare una causa in uno Stato estero avrebbe presentato un grosso punto interrogativo e la non certezza di riuscire a far valere i propri diritti.
Inoltre occorre ricordare che questi publisher avevano già il loro bel da fare a guardarsi dalla pirateria di casa loro, che sebbene si svolgesse con modalità diverse (cioè non "dissimulata" e non "industriale") aveva comunque dimensioni tali da nuocere ai loro affari. In altre parole il gioco non valeva la proverbiale candela".