Nel corso della notte sono usciti i primissimi dati sull'effetto di omicron sulla capacità neutralizzante del siero di individui guariti da precedente infezione e vaccinati secondo diversi schemi. I dati sono ovviamente da considerarsi come strettamente preliminari e derivanti da studi in vitro condotti con metodiche diverse le une dalle altre, su un numero piuttosto limitato di campioni, oltre a non essere ancora stati, come è ovvio che sia, oggetti a peer-review. Sono tuttavia utilissimi per farsi una prima idea sul possibile effetto che questa variante potrà avere sulle dinamiche della pandemia nei prossimi mesi, ed in particolare per provare ad immaginarsi in che misura i vaccini continueranno ancora a proteggerci.
Qui i risultati, per chi fosse interessato a darci un'occhiata in prima persona:
1) dal gruppo di Alex Sigal:
https://www.ahri.org/wp-content/uplo...17v1-Sigal.pdf
2) dal gruppo di Ben Murrell:
https://drive.google.com/file/d/1Cux...ntxXwlfXQ/edit
3) dal gruppo di Sandra Ciesek (EDIT, il preprint è appena uscito: EDIT - il preprint è uscito nelle ultime ore,
https://www.medrxiv.org/content/10.1....07.21267432v1)
EDIT: 4) da Pfizer stessa (da un briefing appena rilasciato) - il grafico è nei commenti sotto
Pur con risultati leggermente diversi (legati anche alle diverse tecniche utilizzate), in tutti e quattro i casi si evidenzia un forte calo del titolo neutralizzante, come ampiamente previsto sulla base del profilo delle mutazioni della proteina spike. Calo che però, avrebbe potuto essere anche maggiore di così, basandosi semplicemente sull'analisi della sequenza. Attenzione però, perché questo forte calo, notevolmente superiore a quello osservato per le precedenti VOC e VOI, non deve essere interpretato letteralmente in termini di riduzione nell'efficacia della vaccinazione. In altre parole la riduzione di 40 volte del titolo neutralizzante in soggetti vaccinati con doppia che si nota nel lavoro del gruppo si Sigal non significa che l'efficacia della vaccinazione nel ridurre il rischio di infezione sarà ridotta di 40 volte e men che meno significa che lo stesso ragionamento possa essere applicato alla riduzione del rischio di ospedalizzazione o di decesso. Per delta ad esempio, gli stessi saggi indicavano una riduzione di circa 7 volte, eppure sappiamo molto bene quanto la protezione nei confronti della malattia si sia mantenuta molto elevata, ed anche quella nei confronti dell'infezione, pur calando in modo decisamente più sensibile e tempo-dipendente, sia sia mantenuta significativa, consentendoci di arrivare fino a dicembre con numeri decisamente gestibili e ben lontani da quelli dello scorso anno.
Complessivamente, i tre studi evidenziano chiaramente come questo calo sia meno pronunciato in soggetti che abbiano ricevuto, tramite diverse strategie, la somministrazione di un booster, oppure che siano stati vaccinati da una precedente infezione ed in seguito vaccinati. Si può dunque ipotizzare che chiunque abbia già ricevuto una somministrazione della terza dose di vaccino, e chi la riceverà nelle prossime settimane, continuerà a beneficiare di un certo grado di protezione (difficilmente quantificabile in questo momento) anche nei confronti dell'infezione. D'altra parte sappiamo ormai con certezza dai dati sudafricani che chi è guarito da una precedente infezione può essere facilmente reinfettato da omicron ed allo stesso tempo le attuali dinamiche di diffusione della variante in Europa (con Rt stimato attorno a 3 sia in UK che in Danimarca, simile cioè a quello della Lombardia del marzo 2020, laddove delta ha un Rt di poco superiore ad 1) fanno intuire che la protezione vs infezione in soggetti vaccinati con due dosi sia scarsa.
E' molto difficile poter estrapolare da questi dati in vitro stime precise per quanto riguarda la riduzione dell'efficacia dei vaccini. Tuttavia, partendo dal presupposto che un elevato titolo anticorpale neutralizzante è un fattore importante per prevenire l'instaurarsi di un'infezione e che la protezione dalla malattia sintomatica, specialmente nella sua forma grave, può essere garantita, anche in assenza di un titolo neutralizzante rilevabile, dalla risposta cellulare, è possibile fare alcune considerazioni a riguardo. Lo scenario più plausibile, condiviso in questo momento da una buona fetta della comunità scientifica, è che la precedente immunizzazione da vaccinazione con due dosi e guarigioni non possa da sola (in assenza di NPI) arginare in modo significativo le infezioni nella popolazione, pur garantendo una riduzione molto significativa dei tassi di ospedalizzazione e di letalità, anche se probabilmente inferiore a quella vista nei confronti di delta. La somministrazione dei booster (che in questo momento non è specifico vs omicron, ma che potrebbe diventarlo nel giro di pochi mesi) sembra davvero fondamentale a questo punto per garantire un'adeguata protezione alle persone fragili, che indipendentemente dalle varianti continueranno sempre ad essere quelle soggette ai maggiori rischi.
In sostanza, la mia impressione è che omicron, nel grafico che mette in relazione R0 con l'evasione immunitaria (intesa come capacità di causare infezioni in soggetti precedentemente immunizzati, indipendentemente dalla forma clinica con cui l'infezione si manifesta), possa essere posizionata più o meno in corrispondenza della X rossa. Una variante dunque altamente evasiva, ma intrinsecamente meno trasmissibile di delta (ovvero una variante che in una popolazione ipoteticamente priva di immunità pregressa sarebbe svantaggiata rispetto a delta, ma che in una popolazione ampiamente immunizzata, dove delta non trova un numero di individui suscettibili all'infezione sufficientemente alto, goda di un notevole vantaggio evolutivo). Attenzione perché lo scenario sotto è quello ipoteticamente applicabile al caso del Sud Africa, dove si può ipotizzare ragionevolmente un tasso di immunizzazione vicino all'85% (quasi interamente dovuto a precedenti infezioni e solo in piccola parte alle vaccinazioni), con effetto dei booster pari a zero, presupponendo peraltro (cosa ancora non certa) che per omicron l'intervallo seriale di contagio (ovvero il tempo che intercorre mediamente tra la manifestazione dei sintomi nel "contagiante" e nel contagiato) sia identico a quello delle altre varianti (ovvero circa 5 giorni).
Questo spiegherebbe anche il motivo per cui in UK, in una popolazione ampiamente vaccinata, omicron stia mostrando un Rt solo di poco inferiore al suo ipotetico R0 (mitigato in parte dai booster, in parte dalle poche NPI attualmente in atto), mentre delta, pur con un R0 decisamente superiore, mostri un Rt vicino ad 1, soppresso notevolmente rispetto al suo R0 proprio grazie alla diffusa immunità della popolazione.
Gli scenari che si aprono per il futuro prossimo della pandemia sono complessi: meglio parlarne un'altra volta...