Interessante intervista con qualcuno che forse ne capisce più di noi

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il commento del generale Antonio Li Gobbi, che in passato ha partecipato a missioni Onu in Siria e Israele, oltre che a interventi Nato in Bosnia, Kosovo e Afghanistan. Già direttore delle Operazioni presso lo Stato maggiore Internazionale Nato a Bruxelles è ora Senior Mentor presso il Nato Defense College.

Quindi non ci si dovrebbe meravigliare dell’azione di Israele e della sua richiesta di arretrare di 5 km, avanzata ai vertici Unifil?


“Sì, perché di fatto la risoluzione Onu al cui rispetto è chiamata Unifil, la 1701, è disattesa da tempo, in effetti da 18 anni: le forze israeliane si erano ritirate al di là della Blue Line e in prossimità di quello che viene ritenuto un confine internazionalmente riconosciuto non avrebbero dovuto esserci operazioni militari, invece Hezbollah non solo ha proseguito con il lancio di missili sul nord di Israele, ma lo ha anche intensificato dopo il 7 ottobre”.
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Pertanto, una missione Onu si può istituzionalmente basare solo sul consenso delle parti al suo operato e questo si fonda sulla fiducia. Se uno degli attori (in questo caso Israele) ritiene che quella Forza non garantisca più il rispetto delle condizioni concordate e che consenta invece alla controparte di acquisire vantaggi ritenuti illegittimi, è inevitabile aspettarsi sfiducia nell’operato della missione Onu. Per questo Israele ha chiesto a Unifil di arretrare di 5 km, per poter agire contro Hezbollah, che ha le sue postazioni proprio in quell’area. Non è perché, come qualcuno sostiene, non vuole che ci siano ‘testimoni scomodi’, ma semplicemente perché avere una forza frapposta impedisce le operazioni e, oltretutto, facilita Hezbollah che può contare sul fatto che l’avversario non lo colpisca per la prossimità con la missione Unifil”.

Esistono dei precedenti?

“Sì, la stessa richiesta di arretrare fu avanzata dall’Egitto il 16 maggio 1967 alla missione Onu che si trovava in Sinai. All’epoca il Segretario Generale delle Nazioni Unite U Thant ci riflettè per tre giorni, poi acconsentì. Neanche un mese dopo Israele, dovette lanciare un attacco preventivo per precedere l’ormai imminente aggressione egiziana (con la guerra dei sei giorni)”.

Cosa c’è da aspettarsi, adesso? Che rischi corrono i caschi blu, anche italiani?

“Il ministro della Difesa, Crosetto, ha protestato ufficialmente e non poteva fare altrimenti, ma l’operato di Israele era prevedibile e personalmente ritengo che Israele non avesse alternative per eliminare la minaccia Hezbollah al suo confine settentrionale: da un anno viene attaccato anche da nord ed è un dato di fatto che l’Iran agisca di concerto con Hamas, Hezbollah e gli Houti. Nel caso di Hezbollah le forze armate libanesi supportate da Unifil non sono state in grado di impedire i ripetuti attacchi dei miliziani. Qualche mese fa le nazioni contributrici più importanti (Italia, Francia e Spagna) avrebbero dovuto porre con forza il problema al Segretario Generale e al Consiglio di Sicurezza: o si cambia la missione per renderla in condizione di far veramente implementare la 1701 o si ritirano i contingenti. Quella finestra di opportunità temporale è, a mio avviso, ormai svanita. Adesso un ritiro del solo contingente italiano non può essere accettato politicamente e apparirebbe una fuga indecorosa, a meno che a livello di Consiglio di Sicurezza Onu non si decida il ritiro dell’intera missione”.