Neoclassici #2: Sayonara Wild Hearts

È difficile dirlo con certezza e lo sto scrivendo di getto, senza pensarci troppo, basandomi su quello che in questo ultimo decennio ho vissuto come giocatore. Ma se dovessi indicare la nazione più fiorente, influente (anche a livello di immaginario culturale) e innovativa dal 2010 a oggi, farei girare il mappamondo e punterei il mio dito sulla Svezia, patria natia, fra le altre cose, di Sayonara Wild Hearts.

Sayonara Wild Hearts

Al di là dei colossi King, DICE, Paradox e altri in attività da tanti anni con grande successo (quella scandinava è una tradizione ludica che parte da lontano, non lo scopriamo certo oggi), è impressionante come molti team indipendenti siano riusciti ad affermarsi ad altissimi livelli in pochissimo tempo, partendo da piccoli progetti (e con piccoli studi) per poi crescere in maniera esponenziale. Basta citare Mojang, Hazelight Studios, Image & Form e, non ultimo, Simogo. Fondato nel 2010 da Simon Flesser e Magnus Gardebäck, incontratisi in Southend Interactive (XIII, Ilomilo) e battezzando immediatamente iOS come piattaforma di riferimento per i loro progetti, la software house di Malmö ha subito riscosso grande successo e riconoscimenti per il loro modo unico di interpretare il gaming mobile, soprattutto con Year Walk (2013), interessante punta e clicca folk-horror basato sull’omonima tradizione/leggenda svedese (Årsgång in lingua originale) e Device 6, acclamata avventura testuale dall’altissima media Metacritic (92) e pluri-nominata ai BAFTA e altre manifestazioni di settore. Poi nel 2015 la voglia di fare altro, salire di livello, sviluppare un videogioco “di pancia più che di testa” come lo descriverà Flesser guardandosi indietro, lontano da quei puzzle narrativi, “matematici”, che li avevano portati in acque tranquille, col “lusso” di potersi avventurare in un progetto a cui avrebbero dedicato 4 anni di lavoro e creatività allo stato brado. E alla fine avrebbero avuto ragione a fare all-in (Simogo come sviluppatori e Annapurna a fiutarne il potenziale e offrire supporto finanziario), perché Sayonara Wild Hearts, nel 2019, si sarebbe rivelato come uno dei diamanti più puri e brillanti di un movimento straordinario, abbastanza maturo per andare oltre certi limiti autoimposti, portando il videogioco in un nuovo territorio, quello dell’arte “totale”.

ARCADE MUSICAL

Un cuore di cristallo, spezzato, infranto in un’esplosione talmente violenta da attraversare il piano astrale e raggiungere tre divinità appena usurpate del loro potere, che da quei frammenti, con un’ultima, disperata mossa, danno vita allo spirito di un’eroina, la sola che potrà combattere gli oscuri e folli arcani che hanno rubato l’armonia dal mondo. L’incipit recitato dalla profonda voce di Queen Latifah si dissolve mentre la ragazza lascia il suo letto, trascinata da una forza superiore fuori dalla sua malinconia, sospinta dalle prime note composte da Daniel Olsén e Jonathan Eng, vibrazioni synth-pop colorate, fluorescenti, con la voce di Linnea Olsson che riempie le texture di una dimensione low-poly.

Tutto si mescola nel movimento del gameplay, nessuna distinzione netta tra gli elementi che compongono questo musical videoludico unico, speciale, folle

Tutto si mescola nel movimento del gameplay, nessuna distinzione netta tra gli elementi che compongono questo musical videoludico unico, speciale, folle, i sensi annegati in questa melassa virtuale, fluida e densa: rimane solo da alzare il volume e lasciarsi guidare da una coreografia insegnata in tempo reale da un level design votato allo spettacolo, disponibile ad assecondare pirotecniche scelte registiche in nome di uno show da brividi. Ma la cosa sorprendente, in quella che al primo impatto può sembrare un’opera sofisticata (lo è), intellettuale, hipster, più rilevante culturalmente che ludicamente, è scoprire un carattere arcade dominante in stage su binari, molto Rez, sempre veloci, turbinanti, che richiedono buoni riflessi non tanto per essere superati ma per essere risolti bene, con ottimi punteggi e soddisfazione coreografica, giocando come se fossimo degli stuntman, eseguendo azioni piccole e precise per la bellezza del gesto.

Sayonara Wild Hearts

Le situazioni che si creano sono talmente folli che sembra quasi un musical su Bayonetta (hanno più punti di contatto di quanto possa sembrare, compreso uno spiccato feticismo per la storia di SEGA e i tarocchi).

Un’indole che parte da controlli essenziali (movimento e un singolo tasto per le sequenze più ritmiche, setup perfetto considerando il lancio come esclusiva di punta per l’allora neonato servizio Apple Arcade) e si propaga in un citazionismo di gran gusto che reinterpreta i grandi classici per dare personalità a ogni singola traccia/livello: adrenalinici inseguimenti in moto che diventano combattimenti a passo di danza, per poi lottare in stile Space Harrier contro un mecha-cerbero, cadere nel vuoto dolcemente, senza peso, alla NiGHTS Into Dreams per poi ritrovarsi al volante, esibendosi in drifting su autostrade iridescenti, sostituendo una famosa Testarossa cabrio con una sgargiante muscle car viola intenso. Una varietà senza soluzione di continuità che non concede punti di riferimento e stra-vince la sua scommessa, soprattutto grazie alla giusta consistenza con cui queste sequenze riescono sempre a differenziarsi a livello tattile, applicandola al personaggio e ai mezzi che guida o con cui interagisce, esaltata da animazioni fuori scala, plastiche, eleganti, bellissime. Un lavoro di polishing fatto con estremo amore, senza fretta, puntando sempre a una qualità altissima (e probabilmente questo è stato possibile solo grazie al supporto di Annapurna).

CUORI IMPAVIDI

Il risultato è una pop opera deliziosamente queer che fonde con classe synthwave, fantasy, simbologia dei tarocchi e game culture per deflagrare in qualcosa di unico, riconoscibile, istantaneamente classico. Un musical videoludico, un album interattivo, uno sperimentale videoclip di un’ora e mezza: una di queste tre definizioni potrebbe anche essere azzeccata, ma la verità è che Sayonara Wild Hearts è un videogioco totale, perché tutti i suoi elementi cardine comunicano, interagiscono e fluiscono perfettamente coordinati tra loro senza che ci siano stacchi percepibili al di là di qualche “retry”; un continuo scambio sensoriale che, nelle giuste condizioni, annulla totalmente il mondo esterno, alleggerendo corpo e anima per fluttuare dentro al codice. L’opera Simogo si scioglie sotto la lingua, entra in circolo, alza i battiti. Un non-rhythm game che rifiuta gli “estremismi” di un genere che non gli compete ma dove tutto diventa (e risponde alla) musica, prendendo forme, illuminando colori e guidando azioni che la spingono a liquefarsi in level design, visual art e interazione con dei picchi assolutamente clamorosi, da brividi, portando su un livello forse superiore quello che è il concetto di sinestesia applicato al videogioco che ha sempre guidato il genio di un maestro come Tetsuya Mizuguchi (Rez poche righe fa non era citato a caso).

Dead of Night è la mia traccia/livello preferita, tra continui cambi di prospettiva, missili ovunque e indole shooter. Spettacolare!

In Sayonara Wild Hearts, gli sviluppatori non avevano necessità di imporre il ritmo chiedendo pressioni a tempo o passaggi particolarmente tecnici ma hanno invece interpretato il ritmo come qualcosa di vaporoso, che succede ovunque e riempie lo schermo, decidendo il posizionamento dei collezionabili, condizionando le inquadrature, modificando l’architettura stessa degli stage quando un personaggio schiocca le dita. Tutto a tempo, programmato su spartito.

il lavoro di composizione ha dello sbalorditivo

Questo non sarebbe possibile senza un lavoro di composizione che ha sinceramente dello sbalorditivo, seguendo la strada del nuovo electro-pop (Chvrches in primis) a livello melodico, adattando i tempi e i modi dell’arcade game ad una struttura da album, con intermezzi più brevi e strumentali alternati a boss fight cantante e intense. È il video di Californication dei Red Hot Chili Peppers elevato all’ennesima potenza. Un colpo di fulmine tra i due media, intesa istantanea, simbiosi, intimità, sensualità, avvolti in lenzuola di mille sfumature viola, blu, fucsia. E la voce eterea, delicata, elettrica di Linnea Olsson su queste tracce diventa narrante, testi-racconto che parlano di amori finiti e ricerca di una nuova dimensione personale, tristezza e speranza, buio e luce, ricordi e futuro. Inebriante.

Sayonara Wild Hearts

Le scene con i Dancing Devils fanno molto Grease e le coreografie dei balletti sono fenomenali.

Sayonara Wild Hearts è un gioco ancora giovane, la sua influenza si vedrà in questi anni, ma un pensiero finale lo vorrei spendere per immaginare (sognare?) che questo possa essere un punto di partenza da cui tracciare una nuova via di rinnovamento, per un mercato musicale in profonda crisi da anni. Case discografiche e software house unite in sinergie vincenti per progetti che diano ai loro artisti uno spazio virtuale, interattivo, perfetto per esprimere il potenziale di certi dischi che oggi potrebbero andare oltre il semplice ascolto, prendere vita, coinvolgere tutti i sensi. La volontà delle major di combinare qualcosa in questo senso sicuramente c’è, e i concerti-evento all’interno di Fortnite ne sono una dimostrazione palese ma allo stesso tempo un po’ timida, estremamente sicura e indolore, mentre altre opere, sperimentali e audaci, continuano a sbocciare in un sottobosco sempre più fitto, fatto di Thumper, Wandersong, Vectronom, Ape Out, Mini Metro, Genesis Noir, a suo modo anche Hotline Miami (tornando in Svezia, da Dennaton Games). Titoli che, capitanati dal capolavoro Simogo, non solo hanno dimostrato che andare oltre il puro rhythm game è possibile, ma che unire musica e gameplay fino a farle sembrare una cosa sola è meraviglioso.

Articolo precedente

La Fiera delle Illusioni - Nightmare Alley - Recensione

Articolo successivo
Z690 Aorus Pro Recensione

Gigabyte Z690 Aorus Pro – Recensione

Condividi con gli amici










Inviare

Password dimenticata