Dopo il terzo capitolo uscito qualche mese fa, la saga di Erdrick continua con i primi due episodi della trentennale saga giapponese, ristrutturati in HD-2D.
Lo ammetto candidamente, ho un debole per Dragon Quest e pure per l’HD-2D, fin dai tempi del primo Octopath Traveler. È proprio il modo perfetto per dare nuova vita ai classici, rendere tridimensionale la pixel art di una volta senza snaturarne l’essenza e l’atmosfera ma, anzi, reinterpretandola con molta grazia. Un matrimonio perfetto, quello tra la serie ideata da Yuji Horii e questo stile grafico e, infatti, il buon remake del terzo capitolo è stato il preludio ad un progetto più ampio che, nel corso del 2025, ci darà la possibilità di (ri)vivere anche i primi due capitoli, serviti in un unico pacchetto, per riscoprire nella sua totalità la trilogia di Erdrick, il leggendario eroe con cui la saga, a fine anni ’80, si fece conoscere al mondo.
Sviluppatore / Publisher: Square-Enix / Square-Enix Prezzo: ND Localizzazione: Testi Multiplayer: Assente PEGI: 3 Disponibile su: PC (Steam), PlayStation 5, Nintendo Switch, Xbox Series X/S Data di uscita: 2025
L’essenza dell’avventura
Nell’assaggio dei due titoli che ho potuto gustare c’è tutto quello che ci si aspetta da un Dragon Quest d’epoca con una quality of life moderna. C’è innanzitutto la schematica alternanza esplorazione-combattimenti a turni, con la prima che beneficia dell’auto-salvataggio ad ogni piano di un dungeon, e sia benedetto, perché i secondi sono tosti come da tradizione, tattici e molto lenti se non si decide di velocizzarli con l’apposita opzione, che rendere il tutto più fluido, evitando di spezzare troppo il ritmo tra le due fasi.
È tutto esattamente come lo si immagina, un JRPG classicissimo, dogmatico nella struttura, scolpito nella pietra eppure essenziale, facile da capire e molto schietto da giocare. Due spedizioni contro il male che si snodano tra verdeggianti colline e cieli tersi, passando per città vivaci, colorate, piene di personaggi simpatici che fanno le loro cose e hanno piacere di scambiare due chiacchiere, accompagnati da musiche capaci di cambiare l’umore di chi gioca, immergendolo in un mondo che sembra uscire dallo schermo, con quell’effetto tilt-shift che sfoca i bordi dell’immagine dando l’impressione di una miniatura infusa di magia.
Le città e i villaggi dei Dragon Quest sono luoghi dell’anima
Le case, i ruscelletti, i giardini, tutto è al proprio posto per restituire immagini estremamente suggestive; le città e i villaggi dei Dragon Quest sono luoghi dell’anima, dove rilassarsi dopo aver esplorato pericolosissimi dungeon o essersi avventurati nelle zone più recondite della world map, accoglienti e adorabili. Proprio quest’ultima si presenta interessante da esplorare e ricca di segreti, nonostante un ritmo particolarmente sostenuto per quanto riguarda gli incontri casuali coi nemici; forse qualche secondo in più tra uno e l’altro avrebbe giovato di più all’esplorazione. Questo fa anche sorgere qualche dubbio sul fatto che, al netto del voler rinnovare due titoli con quasi 30 anni sulle spalle, mantenendo il più possibile intatto il gameplay originale, si sarebbe potuto lavorare sul rendere visibili i nemici. Così non è stato fatto e ci si può fare poco ormai, ma sicuramente questa è, ad oggi, l’unica caratteristica davvero anacronistica del genere e di questi due titoli nello specifico.

Il combat system è classicissimo ma con degli apprezzabili elementi “puzzle” che rendono il tutto molto tattico.
Gli scontri, comunque, come già accennato, sono esteticamente gustosi nella messinscena e mai banali nella difficoltà, laddove nella prova del secondo episodio, con un party di tre avventurieri, mi sono trovato più volte a combattere sul filo del rasoio, ingaggiando battaglie anche con 6 mostri contemporaneamente, con la necessità di pensare allo scontro in maniera strategica, puntando le vulnerabilità, difendendo al momento giusto, curando e bufferando il bufferabile per non finire al creatore prematuramente, giocandolo quasi come un puzzle game. Tutto molto classico ma anche molto stimolante, capace di restituire una sensazione di pericolo costante che esalta il senso d’avventura, con un bell’equilibrio rischio-ricompensa nell’addentrarsi negli anfratti più bui dei labirinti.
Cartoline in HD-2D
Quello che rende veramente speciali questi due remake è però proprio lo stile grafico con cui è stato fatto il make-up. È l’HD-2D che dà ragione di esistere alla riscoperta di questi due Dragon Quest, perché il colpo d’occhio è talmente bello e assuefacente da voler andare avanti per scoprire come sarà stata realizzata la location successiva, prima ancora di vivere gli sviluppi del racconto.
Se a questo aggiungiamo le colonne sonore originali riarrangiate ecco che l’atmosfera prende vita diventando la quintessenza del fantasy made in Japan. Il male che distrugge e trama, inganna, uccide, ma anche il bucolico quotidiano, un meteo benevolo e una natura lussureggiante che caratterizzano l’iconica visione di un medioevo rivisitato con gusto orientale.
Il male che distrugge e trama, inganna, uccide, ma anche il bucolico quotidiano
Per molti, l’altro lato della medaglia per godere di questa atmosfera unica, sarà fare i conti con una struttura sì smussata da opzioni che ne migliorano l’accessibilità a tutti i livelli (difficoltà compresa) ma sicuramente non proprio leggerissima per stomaci magari troppo giovani o che, negli ultimi anni, si sono abituati molto bene con JRPG decisamente più user friendly. Qui si entra nei gusti personali, ma sta di fatto che il lavoro svolto sembra fatto con competenza anche se, ovviamente, andrà testato a fondo nei prossimi mesi, quando si saprà anche di più sull’effettiva data di uscita, ad ora sprovvista di un mese indicativo. Là fuori c’è fame di JRPG, ormai è conclamato, e dopo le più di 2 milioni di copie vendute del terzo capitolo, ci si aspettano belle cose anche da questa doppia avventura.