Knights and Fights in Tight Spaces

Cosa succede combinando John Wick con un gioco da tavolo a caselle, l’estetica minimalista di Superhot e un deck builder card game? A questo ci risponde qualche tempo fa la recensione di Claudio di Fights in Tight Spaces. Io ho di recente messo le mani su Knights in Tight Spaces e l’esperienza mi è piaciuta così tanto (pur con le dovute riserve di cui parleremo) che ho lasciato passare solo due giorni prima di mettere le mani sul prequel. Concordo molto con la recensione sulla pregevole idea e la direzione artistica, meno sull’esecuzione. Ma sono sbavature che spero vengano corrette in un eventuale prossimo gioco perché alla fine della fiera, l’idea è di quelle semplici, geniali e adattabili.

Essere con le spalle al muro è la situazione di partenza.

DI ARTI MARZIALI E AGENTI SEGRETI

Fights in Tight Spaces è un’opera che ho trovato molto più a fuoco e ben progettata rispetto al successore di stampo fantasy. Un po’ per lo stile grafico minimalista che gli da un sacco di personalità, un po’ perché il sistema messo in piedi da Ground Shatter è molto più digeribile gestendo un solo personaggio. La ridotta quantità di carte e le loro funzionalità rendono inoltre la mano pescata più adattabile alle varie situazioni e dopo l’esperienza di Knights, mi è stato facile finire i primi due capitoli del predecessore senza accusare un singolo punto di danno.

spazi stretti creano disciplina, spazi ampi creano il caos

Ma se mi chiedete dov’è la vera magia di questo gioco, che poi si estende anche al sequel, io vi rispondo con il motto proposto dagli sviluppatori: “Stanze piccole, mente disciplinata. Stanze ampie, mente debole“.
Per citare un altro classico, anche nel Léon di Luc Besson, il titolare protagonista impartisce alla sua allieva un’informazione preziosissima. Tra le prime cose che le spiega, c’è il concetto che più la distanza dal bersaglio si accorcia, più le cose si fanno difficili. O per citare un popcorn movie, una delle scene più iconiche del vecchio Marvel Cinematic Universe ha luogo proprio in un piccolo ascensore. Insomma, gli spazi angusti creano situazioni tutte loro, non trasferibili ad arene più ampie.

Fights in Tight Spaces

Ecco quello che ha portato la spada in una sparatoria.

Ground Shatter va a studiare al dettaglio proprio questa dinamica. Andando nella direzione opposta di quello che è di solito l’ambiente primario di epici combattimenti nei videogiochi. Se pensiamo per esempio ai vari Devil May Cry, il corridoio è uno spazio relativamente sicuro, con nemici semplici, magari persino utili per farmare i punti o oggetti utili del caso. Negli action adventure recenti addirittura sono utilizzati per nascondere caricamenti della prossima porzione di gioco.
Ma è quando l’arena si apre che possiamo essere sicuri che sta per accadere qualcosa. Qualcosa di grosso e pericoloso. In questo viaggio tra spazi stretti, agenti segreti e criminali fumettosi di ogni risma è diverso. Non è detto che un’arena ampia sia necessariamente facile da gestire, è vero. Con nemici in grado di colpire “a raggio” tutte le caselle di fronte a loro bisogna accorciare le distanze schivando i proiettili. Però c’è anche tutto lo spazio per farlo. Ma è quando siamo tutti belli compatti come in un autobus urbano all’ora di punta che i Tight Spaces si esprimono con il loro reale linguaggio scenico.

Quando siamo tutti belli compatti i Tight Spaces si esprimono con il loro reale linguaggio scenico

Immaginate di schivare un montante destro, di scivolare dietro il bruto nel poco spazio disponibile strusciando le schiene, di spingerlo con un bel calcione verso l’altro bullo che vi stava prendendo di mira e si prende in faccia il castagnone originariamente destinato a voi. Però nel mentre siete finiti nel raggio d’azione del calcio volante di un cattivone ninja e niente, le carte movimento sono finite, speriamo di averne qualcuna utile a bloccare. Ancora meglio se ha l’opzione del contrattacco. Ogni cosa che potete fare, che sia movimento, attacco, difesa o mix, è attivabile da una carta con il suo prezzo in momentum (di cui avete un punteggio che si ricarica a ogni turno) o combo (valore che invece alzate con attacchi andati a segno e che di solito corrispondono a carte di attacco sempre più aggressive).

Fights in Tight Spaces

L’agente 11 è in grado di passare con disinvoltura tra Kung Fu, Muay Thai, Judo e occasionale Wrestling.

Questo riassunto esprime tutto ciò che è richiesto al giocatore, il risultato da ottenere turno dopo turno. Fare qualche danno, levarsi dalle scatole, preferibilmente fare in modo di sbattere i nemici fuori dall’arena o manipolarli a colpirsi tra di loro. Magari simultaneamente. La seconda azione è fondamentale perché nei mondi disegnati da Ground Shatter non c’è spazio per l’idea “mi avvicino, incasso uno o due colpi, poi sono a distanza utile per colpire”. No. I nemici fanno danni devastanti, se l’energia è verso i 40 punti ferita, un pugno ne tira giù 8. Un coltello 12, con aggravante di sanguinamento.

Non basate le vostre strategie sui danni controllati

E le opportunità per recuperare energia sono pochissime, spesso a discapito di quelle di potenziare le carte. Altra cosa che sarebbe utilissimo fare, onde evitare di proseguire sempre meno preparati. Non basate le vostre strategie sui danni controllati insomma, due errori di fila e siete già KO. E gli errori arriveranno. Oppure, a volte c’è la frustrante situazione di trovarvi circondati e qualsiasi cosa facciate, un colpo da qualcuno arriva.

Fights in Tight Spaces

Ecco, per esempio questa situazione è un bel casino.

A volte il sistema è ingiusto, non è colpa vostra, spero che abbiate giocato in difensiva fino a quel punto. Ma mentre Fights è abbastanza bilanciato e chiede un buon deck di carte solo nelle battute finali, su Knights dobbiamo invece dire due cosine a riguardo del bilanciamento.

DI SPADE E VIANDANTI INCAPPUCCIATI

Knights in Tight Spaces è una più ambiziosa opera che include nel cocktail anche molti degli archetipi del fantasy. Non quello elegante e organizzato di un Lord of the Rings, no. Bensì quello che sembra una normale run tra amici nerdoni all’intramontabile Dungeons & Dragons. Ok, forse non proprio così, non si può parlare ai comodini tramite un druido necromante.

Però ci sono ladri, cospirazioni, un clan misterioso che usa la magia, un necromante (perché il personaggio c’è!) che può resuscitare i membri del party e l’immancabile taverna in cui radunare il party stesso dietro ragionevole compenso. Tutto familiare come la routine mattutina, insomma. Proprio in una taverna inizia la vicenda, dopo aver selezionato il nostro archetipo tra diverse classi, divise sostanzialmente in due macro-gruppi. Ci sono gli utilizzatori della magia chiamati “attuned” e chi invece è nato senza doni particolari e ripiega su più convenzionali spade, archi o anche ben allenati schiaffoni. Quasi l’intero deck di carte di Fights è stato riproposto qui nella figura del brawler, il picchione ben atletico che non abbisogna di armi.

Il cast giocabile si arricchisce di una variegata manciata di personaggi

Ma a lui si è aggiunta un’altra manciata abbondante di personaggi, ciascuno con i propri talenti unici. Il Ladro è molto agile e subdolo con attacchi leggeri, ma spesso avvelenati. L’Arciere non ha bisogno di essere proprio sotto al nemico per essere pericoloso, anzi, ma non può equipaggiare scudi e bisogna quindi fare doppia attenzione alle botte. Il Chierico è un buon mix di nobile magia bianca, una discreta armatura e una mazza per educare i villani, mentre la Strega è andata così addentro nella magia nera che alcune carte possono colpire tutta l’area, senza distinzione tra amici e nemici.

Tira al mingherlino, io prendo quello grosso.

La questione magica è l’unica che può portare a dialoghi differenti nei momenti chiave, in sequenze che altrimenti sono identiche indipendentemente dal personaggio scelto. Decisione un po’ meh visto che differenti personaggi hanno differenti corporature e caratterizzazioni e ‘nsomma, per quanto la storia sembri spesso cucita addosso al Chierico o al Mago ormai attempato, fa strano vederli per esempio insinuarsi in un fienile dove si tengono incontri clandestini.
Mentre invece sarebbe una situazione ovvia per il Brawler o eventualmente il Ladro. Knights in Tight Spaces prova ad avere una vicenda un po’ più elaborata del suo predecessore, ma la scrittura rimane semplice e intrisa di un archetipo classico dietro l’altro.

Knights in Tight Spaces prova ad avere una vicenda un po’ più elaborata del suo predecessore, ma la scrittura rimane semplice

Molto più riuscito invece è il “dettagliamento” di ambienti e costumi. Mentre Fights puntava al minimalismo spinto, Knights studia molto le proprie scenografie, riempendole di oggetti, illuminazione, ostacoli che ne caratterizzano lo scopo. Una piccola latrina comune sarà un semplice cubicolo, una forgia avrà quelle ingombranti incudini e fiamme controllate a cui è spiacevole finire appresso. Gli ambienti faranno la felicità degli appassionati di disegno prospettico, è un piacere ruotarle a destra e sinistra e vedere l’animazione dei muri e arredamento che si mettono in posizione.
Similmente, i costumi dei personaggi sono pensati in modo che sembrino tutti tipici viandanti fantasy. Con cappucci, cappe, tabarri più o meno lunghi, cinturoni e borselli, ma senza orpelli eleganti d’alta classe. Raminghi da Puledro Impennato, insomma. Il filo rosso che unisce tutte le classi. Non agenti segreti eleganti allenati in Dojo, quanto piuttosto avventurieri di cappa e spada. E arco, ascia, bastone lungo.

Dovete solo fare qualche danno e togliervi di torno. Facile, no?

La situazione comincia nella più classica delle taverne, con l’oste che ci redarguisce per qualche conto non saldato o occasionali risse con altri avventori, o una combinazione delle due cose. Il tempo di scambiare due parole ed ecco che veniamo coinvolti nella solita missione più grande di noi: si dice in giro che diversi individui siano stati rapiti a causa di “capacità strane” e si dà il caso che, a seconda del personaggio scelto, sono le stesse che potremmo possedere noi. Chierico, Mago e Strega sono i 3 archetipi più “attuned”, che nel gergo del gioco significa quelli più affini alla magia. Da un punto di vista di mere skills parliamo di varianti della classica magia bianca, magia nera e vie di mezzo. Ma è il “come le giochiamo” nel contesto di questa serie a proporre una ricca variazione sul tema.

La magia è una ricca variazione sul tema rispetto al predecessore

Finché parliamo di una palla di fuoco, siamo all’equivalente più pirotecnico di freccia. Passerà sopra a ostacoli bassi e attraverserà tutta l’arena fino a bersaglio o stop forzato. Ma il miniterremoto aprirà il terreno in linea retta di fronte a voi, il fulmine farà letteralmente cadere dal cielo l’ira degli Dei su una qualsiasi casella a vostra scelta (occhio, che rimane sempre vero che non siete gli unici a essere capaci…), il teletrasporto ci può levare d’impaccio scegliendo una qualsiasi altra casella in cui muoverci. Il tornado può spostare tutti i personaggi (anche gli alleati, a meno di upgrade) di una casella verso una qualsiasi direzione. La magia del sangue può ferire tutti i nemici al prezzo di infliggerci danno. Il fulmine maledetto è un’ira dall’alto ancora più feroce che ci lascerà nel mazzo una fastidiosa carta maledizione. Whoops. E queste? Beh, sono l’equivalente delle carte ferita di Fights, ma più subdole. Mentre è ovvio che una frattura avrebbe influenzato negativamente il brio dei nostri attacchi, queste carte oscure dall’altro mondo hanno effetti più peculiari. A volte ritorcono contro elementi favorevoli come convertire i punti difesa in danni a nostro carico. Oppure possono avvelenare tutti i membri del party a fine turno. O causare danni da sanguinamento. O far pescare metà carte del solito al prossimo giro. Ma la più fetente è la carta “Hubris”, che ci farà danni tante quante sono le carte già utilizzate e scartate. Capite bene che se abbiamo 50 carte e i punti vita massimi del personaggio sono 40, abbiamo un grave problema. Insomma, sono carte di cui sbarazzarsi quanto prima o in qualche modo alla fine del turno daranno fastidio. Come? Con le carte “consuma” esclusive della strega. Le maledizioni si possono convertire in recupero energia, carte movimento, o magie ancora più infami da ritorcere contro i nemici.

LE BOTTE (DI FORTUNA E DI S…)

Ora però, va detta una cosa spiacevole che vale per entrambi i giochi, ma in particolare per Knights: data la disposizione iniziale casuale dei vostri personaggi e nemici, a volte potreste finire in situazioni senza via d’uscita. Potete provare ogni combinazione con ogni carta, ma se capita che la prima pescata vi dice male… mi spiace, vi abbraccio. Ho ricominciato la campagna di Fights tre volte. Quella di Knights, sette. Alcuni nemici hanno un damage output allucinante ed è una delle poche volte della mia carriera recente di gamer in cui ho dovuto passare a una modalità più facile di quella standard. Che tra le varie cose non concede i restart. In Knights, grazie alla scusante della magia, stavolta è possibile ottenere carte di cura, ma se un nemico avanzato è in grado di oneshottarvi il mago, siete già belli che fregati. Procedere con un personaggio KO in fasi avanzate equivale sostanzialmente a una lenta e amara fine.

A volte la disposizione casuale potrebbe non darvi via d’uscita

Emblematica in questo senso è stata la mia esperienza con il boss finale segreto (eh sì, ci sono anche decisioni da prendere di cui una che può portare al branching path), per cui avevo un mazzo molto inadatto. Il simpaticone non poteva essere stordito, aveva armatura di più di 20 punti, un contrattacco in grado di ferire per 40 danni su due caselle di distanza e schivata automatica sul primo attacco ricevuto. Picchiarlo era insostenibile, insomma. Servivano o l’arciere o il mago con carte colpo a lunga distanza che non avevo. Avevo però diverse carte spinta. Fossi riuscito ad attirarlo vicino ai bordi dell’arena e gliene avessi buttato addosso due di fila avrei vinto, ed è così che ho risolto la situazione dopo numerosi turni a ballarci attorno sul ciglio della stanza. Un po’ anticlimatico battere il boss finale di un fantasy facendogli scendere le scale con i denti, ma uno si arrangia come può.

Le risorse scarseggiano, le decisioni sulle carte da prendere e migliorare saranno pesanti.

Va detto che arrivati a quel punto del gioco è abbastanza improbabile non avere o un arciere, o un mago o carte spinta in generale, ma se per assurdo aveste puntato su una squadra di picchioni, tanti auguri. Il sistema di Knights vi obbliga, nel bene e nel male, a studiare un deck tuttofare e in questo la scelta della classe personaggio risulta un po’ farlocca. Ci sono evidenti facilitazioni in gameplay nell’iniziare con il ladro (più soldi guadagnati ad ogni scontro) o personaggi magici (più carte esclusive, possibilità di colpire in modo inconsueto da distanza, carte cura più probabili).

Sono curioso di un eventuale, boh, Lights in Tight Spaces ispirato agli archetipi horror sci-fi

Però parliamo di un problema di bilanciamento, non strutturale. Per esempio tutto sarebbe molto mitigabile concedendo i restart ad ogni livello di difficoltà. Entrambi i giochi azzeccano un gameplay loop che funziona e dividere il tutto in piccole arene che si possono risolvere anche in 5 minuti garantisce il classico “ancora una e poi smetto”.
Che dire, ho avuto momenti esaltanti e esclamato imprecazioni in lingue che non credevo di sapere, ma l’esperienza finale è per me un pollice alto e sono curioso di un eventuale, boh, Lights in Tight Spaces ispirato agli archetipi horror sci-fi. Non credo che sia finita qui con carte che ritraggono calci e gomitate.

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