E se potessi respeccare? – L'Opinione

Le caratteristiche comuni a quasi tutti i videogame, negate invece a noi poveri mortali, sono numerose e irresistibili: possibilità di avere più vite, comodità di calibrare a piacimento il livello di sfida, tranquillità garantita dai checkpoint, veri e propri salvagenti digitali che permettono di ripartire da un porto sicuro anche dopo la catastrofe più totale. Tutti sogni impossibili nella vita reale,  nella quale un errore resta tale, senza reload né savegame.

Tra questi privilegi virtuali, però, ce n’è uno che ultimamente mi ossessiona più degli altri. Non è il potere di schivare la morte, né quello di tornare indietro nel tempo: troppo banali, già abbondantemente saccheggiati da letteratura e fantascienza. È un concetto più sottile, psicologico, quasi filosofico: il Respec. La capacità di cancellare le skill acquisite e ridistribuire i punti abilità, reinventandosi senza dover ricominciare da zero.

NON È SEMPRE STATO COSÌ

Non è facile individuare il primo videogame che abbia concesso questa libertà: per anni i giochi di ruolo hanno scolpito le statistiche nella pietra, trasformando ogni decisione in sentenza definitiva. Se decidevamo di investire tonnellate di esperienza per accrescere Carisma, salvo poi scoprire troppo tardi che i Koboldi erano sordi ai nostri discorsi motivazionali, non restava che abbandonare il personaggio e ricominciare da capo. La vita dei giocatori era una sequenza di punizioni esistenziali senza appello.

Cyberpunk 2077. Quante volte avete respeccato?

Poi, qualcosa è cambiato. Potrei citare Asheron’s Call, che già permetteva una parziale riscrittura delle abilità rivolgendosi a un NPC chiamato Fianhe, o City of Heroes con le celebri Respec Trials, veri e propri rituali digitali che concedevano la grazia della seconda possibilità. Preferisco però il modo in cui hanno affrontato la questione titoli come World of Warcraft o Cyberpunk 2077: il respec non più come ricompensa rara, sudata al termine di missioni estenuanti o perigliose peregrinazioni, bensì pratica commerciale comune. Paghiamo, e ci resettano. Ecco allora che questo grande sogno viene servito su un piatto d’argento, non dalla misericordia degli dèi né dalla clemenza dei game designer, bensì dal capitalismo. Non più un dono, ma un servizio. Per chi se lo può permettere.

IL RESPEC NEL MONDO REALE

Immaginate se potessimo davvero respeccare noi stessi. Non parlo di un corso serale per imparare a preparare il sushi, né di un nuovo hobby per riempire le serate dopo l’ufficio. Intendo un reset totale delle abilità, come negli RPG moderni: cancellare con un colpo di spugna anni di scelte professionali sbagliate e investimenti in competenze oggi obsolete per ridistribuire i punti in discipline fresche, stimolanti e, perché no, assurde. Un click, e il grigio consulente fiscale diventa chef di cucina fusion. Un altro click, e l’ingegnere gestionale si trasforma in cantante lirico. “Oggi non sono più avvocato, ho spostato tutti i miei punti in pasticceria francese.” Una frase che nella vita reale suona come delirio da burnout, ma che in un videogioco passerebbe inosservata: ieri tank, oggi healer, domani DPS. I vantaggi pratici sarebbero enormi. Poter cancellare quel fastidioso +10 in “gestione avanzata delle macro negli spreadsheet” e investirlo in “saper aggiustare un rubinetto che perde” basterebbe da solo a risolvere metà dei problemi domestici dell’umanità.

Bellissimo il Turbo Pascal. Posso convertire il tempo speso su questo linguaggio in altro?

E non parliamo di skill esotiche o radicalmente diverse: alle superiori ho passato tre lunghi anni a studiare Turbo Pascal, linguaggio che non uso da quando ho preso il diploma. Perché non convertire quei punti in Unity, trasformando il mio passato in carburante per un presente più utile? In questo scenario ipotetico, possiamo dunque distinguere due forme di respec.

Potendo respeccare, optereste per qualche lieve aggiustamento o per un cambio radicale?

Da una parte il fine tuning, l’aggiustamento chirurgico: sistemare dettagli, ottimizzare la propria build senza stravolgerla, come un violinista che passa dalla musica classica alle composizioni barocche. Dall’altra la rivoluzione di chi decide di radere al suolo tutto e ricostruire da zero. In entrambi i casi, la logica è la stessa: la libertà di non restare prigionieri delle scelte fatte in passato, bensì di trattarle come punti da riassegnare a piacimento, come se la vita fosse uno skill tree sempre pronto a essere ricominciato.

IL DUBBIO VELENOSO

In quest’ultimo caso, però, entra in scena la domanda più scomoda, quella che nessun NPC potrebbe mai liquidare con due opzioni di dialogo a scelta multipla: se ambisco al respec nella vita, significa forse che ho fallito? Che ho imboccato la strada sbagliata, sprecato anni, investito punti preziosi in competenze irrilevanti come la padronanza forzata del flauto dolce alle medie? Oppure, al contrario, è il segno di una sana inquietudine, scintilla vitale che mi impedisce di fossilizzarmi, spingendomi a cambiare rotta non appena compare una nuova passione all’orizzonte? Forse è proprio la traduzione concreta del celebre “Stay hungry, stay foolish” di Steve Jobs: non accontentarti, non diventare mai troppo saggio da smettere di rischiare. Il problema è che il confine tra fallimento e crescita è sottilissimo, quasi invisibile.

Stay hungry. Stay foolish. Un invito a respeccare crescendo skill random.

Da una parte c’è la voce del giudice interiore, severo come un insegnante di storia degli anni ’80, che rinfaccia: “Se vuoi respeccare, è perché hai fatto scelte idiote e ora non te ne vuoi assumere la responsabilità!” Dall’altra c’è il ribelle interiore, che seduce con energia travolgente: “Dai, molla tutto, diventiamo scalatori e andiamo a prenderci l’Everest domani stesso, in scarpe da ginnastica e senza bombole d’ossigeno!” Cos’è, dunque, il desiderio di respec? Una confessione di colpa o una dichiarazione di libertà? Forse entrambe le cose. E c’è chi vorrebbe lucrarci.

L’ILLUSIONE DEL BOTTONE MAGICO

La conoscenza assoluta è una delle chimere più rincorse dall’umanità, da quando il Dottor Faust firmò col sangue un contratto con Mefistofele. Noi, in confronto, siamo molto più modesti: non chiediamo l’universo intero, ci basterebbe spostare un po’ la nostra area di competenza. Un respec limitato, sobrio, quasi timido. E che forse proprio per questo appare raggiungibile. Il diavolo lo sa, e si è riciclato in versione 2.0: non appare con livrea di serpente, ma travestito da life coach, esperto di mindset o motivatore seriale.

Faust non ha avuto bisogno di respeccare, si è preso direttamente tutto l’albero delle skill.

Ci martella con slogan quali “Reinventati”, “Non è mai troppo tardi”, “Puoi essere chi vuoi”. Frasi che suonano bene, ma che trascurano un piccolo dettaglio: non diventeremo mai piloti di Formula Uno a cinquant’anni, né ginnaste olimpiche dopo tre gravidanze. A meno di non comprare il loro corso esclusivo del valore di 5000 euro, solo per oggi in offerta a 997, con tanto di attestato digitale in Comic Sans. Il rischio, però, è enorme: trasformare il desiderio di respec in veleno puro.

Farci sentire inadeguati è una delle strategie più comuni per indurci a “respeccare”.

Non più spinta a rimboccarsi le maniche, imparare davvero qualcosa di nuovo, sperimentare con pazienza. Ma una sensazione cronica, tossica, di vivere nella build sbagliata, aver puntato tutti i talenti in sciocchezze inutili e non essere mai abbastanza. È il lato oscuro dell’insoddisfazione che invece di motivare divora tempo, morale e soprattutto conto in banca, alla ricerca di un bottone magico che non esiste.

QUANTO SAREMMO DISPOSTI A PAGARE?

Addentriamoci ora in una situazione in perfetto stile Black Mirror e fingiamo che esista davvero, in un futuro non troppo lontano, un centro autorizzato di Riprogrammazione delle Abilità. Entriamo, firmiamo una pila di liberatorie incomprensibili, e per una cifra proporzionata alla profondità del reset ci riassegnano attributi e competenze. Un pacchetto base, giusto per ripulire il curriculum e aggiornare qualche skill obsoleta, potrebbe costare come un master universitario: diciamo trentamila euro. Per un full respec, con reset totale di inclinazioni caratteriali e persino attributi fisici, sotto il mezzo milione non se ne parla. Varrebbe la pena? Dipende. Ci sarebbe chi si indebita per una macchina sportiva e chi per un respec. Il costo, però, non sarebbe soltanto economico: sarebbe soprattutto sociale ed esistenziale. Se ogni errore fosse reversibile, ragionare prima di scegliere non avrebbe più senso.

Voglio un episodio di Black Mirror sul respec.

La vita si ridurrebbe a un eterno “cambia build”, senza più il peso del rimpianto ma anche senza il gusto della responsabilità. Non saremmo più esseri umani — creature affascinanti proprio perché imperfette — ma un’infinita sequenza di personaggi lasciati in beta, incapaci di arrivare a una release stabile. Ed è forse qui che capisco la verità: in fondo io sto bene così, con i miei errori, perché sono parte di me. Sono le mie stonature e le mie scelte buffe ad avermi reso quello che sono. E poi, chi lo sa? Magari un giorno mi tornerà davvero utile aver imparato il flauto dolce alle medie. Sarà la skill segreta che salverà la mia run.

PS: non è vero, è solo che non posso permettermi il pacchetto da 500K. Ma mi piaceva finire l’editoriale con un messaggio positivo.

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