A.I.L.A è un nome che sembra familiare e minaccioso allo stesso tempo: un’intelligenza artificiale che promette di trasformare le nostre paure in un videogioco, ma che potrebbe avere piani ben diversi.
Sviluppatore / Publisher: Pulsatrix Studios / Fireshine Games Prezzo: ND Localizzazione: Assente Multiplayer: Assente PEGI: 18 Disponibile su: PC (Steam) Data di uscita: 2025
C’è un fascino particolare nell’idea che sorregge A.I.L.A: lasciarsi osservare da una macchina, permettere a un algoritmo di scandagliare i nostri timori più reconditi per restituirceli sotto forma di esperienza interattiva.
Pulsatrix Studios, già noto per Fobia – St. Dinfna Hotel, con questo progetto alza l’asticella: non più un hotel maledetto o un culto segreto, ma una tecnologia in grado di piegare lo spazio e la mente in un labirinto di incubi personalizzati.
UN TEATRO DEGLI ORRORI MADE IN IA
Il presupposto narrativo è semplice e disturbante: siamo un tester incaricato di provare A.I.L.A, un’intelligenza artificiale il cui compito è realizzare esperienze horror VR su misura. In realtà, fin dai primi minuti emerge che non è solo un software sperimentale, bensì un’entità capace di leggere e manipolare la percezione umana con inquietante precisione. Nella preview build che abbiamo provato gli scenari non seguivano una logica lineare, si presentavano come scenografie appartenenti a immaginari differenti – una serie di stanze e corridoio inquietanti infestati da una logica bizzarra, poi una fattoria in campagna dal torbido passato.
Ogni ambiente racconta una paura diversa, come se l’IA si divertisse a costruire un catalogo di ossessioni e trascinarci al suo interno. È lei la spietata regista del macabro spettacolo in cui il giocatore svolge è protagonista e vittima. La particolarità è che questi mondi reagiscono non solo all’azione, ma anche alla scoperta perché più si esplorano, più la realtà che li compone si deforma: porte che scompaiono, prospettive che si allungano all’infinito, corridoi che si restringono fino a soffocare, manichini che si muovono solo se non sono osservati. Peccato per l’interazione ambientale limitata, con qualche accorgimento ad hoc vedrei bene anche una versione VR del gioco. Ad ogni modo fin dall’introduzione, utile a gettare le basi del gameplay, non c’è mai la certezza di ciò che è reale e, ben presto, ci si accorge che è proprio questa ambiguità la vera arma di A.I.L.A contro il giocatore.
A.I.L.A TRA FUGHE, ENIGMI E MUNIZIONI CONTATE
Concettualmente il gioco si colloca a metà strada fra survival horror tradizionale e sperimentale. La fuga e il nascondiglio sono le opzioni migliori, spesso le uniche: si sopravvive guadagnando tempo, evitando il confronto diretto ove possibile sfruttando ogni anfratto per celarsi all’orrore sulle nostre tracce. Pulsatrix, però, introduce una variabile che complica le scelte: il combattimento. All’inizio, ad esempio, si recupera una pistola scarica, e poco più in là una manciata di munizioni. Sparare diventa così un’opzione, tuttavia ogni singolo colpo è una decisione drammatica: può salvarti la vita nel breve, ma anche privarti di risorse che potrebbero rivelarsi fondamentali più avanti, Dio solo sa cos’ha in mente l’IA.
Concettualmente il gioco si colloca a metà strada fra survival horror tradizionale e sperimentale
Gli enigmi hanno un ruolo altrettanto centrale. Non sono puzzle “fuori contesto”, ma meccanismi che si intrecciano con la narrazione specifica di ogni ambientazione. Decifrare un codice o ricostruire un’interfaccia significa alterare lo scenario: una porta che si apriva su un corridoio sterile può improvvisamente condurre in un’area rituale, o viceversa. A volte, risolvere un enigma scatena addirittura la reazione avversa del sistema, come se A.I.L.A non gradisse l’intrusione e cercasse di punire il giocatore per la sua curiosità.
Nulla resta identico a sé stesso, e persino un’area che sembrava “risolta” può tornare a ospitare pericoli nuovi
SUGGESTIONI SENSORIALI
Dal punto di vista tecnico A.I.L.A punta a costruire più che a mostrare. Realizzato in Unreal Engine 5, sfrutta Lumen e MetaHuman per dare credibilità alle superfici e ai volti, ma non cerca l’iperrealismo sterile e, anzi, in talune circostanze sembra quasi meno recente di quel che effettivamente è tra texture, modelli e animazioni non sempre convincenti (ma i lavori sono in corso, ci sta). Per colpire lo spettatore preferisce piuttosto sfruttare le dissonanze visive: corridoi che alternano neon tremolanti e bui assoluti (fin troppo a volte!), materiali metallici che riflettono bagliori innaturali, ombre che sembrano più solide dei muri stessi. L’obiettivo è trasmettere un senso costante di inganno, come se anche ciò che sembra familiare fosse in realtà una trappola. Si vive sul chi va là, si subisce il fascino dell’incertezza.
Se la grafica fornisce il contesto, è l’audio dargli corpo. Rumori improvvisi, interferenze elettroniche, voci sintetiche interrotte a metà: un tessuto acustico che non accompagna le scene, gli dona autenticità. Giocato in cuffia diventa un’esperienza fisica, in cui il suono non è semplice accessorio ma colonna vertebrale del disagio. Non si tratta solo di vedere un orrore, ma di sentirne l’eco quando non c’è, di non capire se un rumore proviene dall’ambiente circostante oppure dall’IA che orchestra lo show. Questa attenzione al comparto sensoriale restituisce un horror che lavora in profondità, sulle percezioni, non sui soli jump scare o sulle scene splatter.
A.I.L.A sembra voler trasformare la promessa dell’horror personalizzato in un esperimento a tutto tondo