tekken world tour 2020

Tekken 7

PC PS4 Xbox One

Tekken 7 - Provato

Se seguite The Games Machine da un po’, dovreste ormai sapere che ci sono due generi che non amo particolarmente: gli RTS e i picchiaduro. Se i primi proprio mi indispettiscono, i secondi tutto sommato mi diverticchiano (se presi a piccole dosi e nello spirito competitivo della lotta tra giocatori umani), fatto salvo il mio essere totalmente negato e fungere sovente da sparring partner per questo o quell’amico più esperto di me in materia. In questo scenario un po’ triste (me ne rendo conto), esistono comunque due serie che – vai a sapere perché – mi stregano da sempre, tanto da avermi spinto in passato a spenderci sopra qualche ora più del solito, senza la necessità di avere un avversario in carne e ossa da cui prendere sberle a ripetizione: Guilty Gear e Tekken. Se del primo mi auguro con ansia la venuta su Nintendo Switch (così da menare serenamente le mani in mobilità), il settimo capitolo del secondo ho potuto guardarlo finora solo con una certa curiosità, giacché nelle ultime fiere di settore cui ha partecipato TGM è stato giustamente il buon Davide Mancini a metterci le mani sopra. All’invito di Bandai Namco per un test sui primi otto capitoli dello Story Mode non ho però potuto dire di no, ed eccomi quindi qui a discutere di come appaia al tatto Tekken 7 sui polpastrelli di uno che non mastica pane e picchiaduro dalla mattina alla sera.

THE STORY SO FAR

Per quanto faccia ridere l’idea di uno Story Mode in un picchiaduro (a me, per lo meno, è sempre parsa una cosa stranissima), va detto che dalle parti di Bandai Namco almeno ci provano a dare un senso compiuto alla cosa. Se in Tekken 6 l’esistenza della strana modalità Campagna sembrava persino finalizzata allo scopo di narrare la lotta tra la Mishima Zaibatsu di un Heihachi che non le manda a dire e la G-Corporation del figliolo Kazuya, qui la questione è incanalata in un percorso più canonico, con badili di scene di intermezzo (peraltro ottimamente realizzate, esagerate oltremisura nella spettacolarità e ben integrate con l’Unreal Engine 4 che muove tutto il gioco) e il palleggiarsi da un personaggio all’altro senza soluzione di continuità, in una sorta di mega-tutorial capace di introdurre le caratteristiche dei vari combattenti, in particolare quelli di nuova fattura. È il caso ad esempio di Claudio, lottatore italiano e omonimo del miglior caporedattore dell’universo conosciuto, che parla la nostra lingua con tanto di sincronia labiale; tutti i personaggi di Tekken 7, peraltro, si esprimono col loro idioma nativo (pur essendo lessicalmente onniscienti, visto che il già citato Claudio risponde a tono a un irritato Heihachi, comprendendone le frasi in giapponese).

Lo Story Mode prende a pretesto il percorso di un reporter rimasto solo, dopo che la famiglia è rimasta vittima della guerra

Nell’incedere dello Story Mode di Tekken 7, che prende a pretesto il percorso di un reporter rimasto brutalmente solo dopo che la famiglia è rimasta vittima della guerra, c’è perfino modo di apprezzare alcune strane varianti nel gameplay, incarnate in piccole orde da affrontare (in uno stage che si collega a eventi narrati nel capitolo precedente della serie) o perfino nell’uso di armi da fuoco, con la telecamera che si colloca temporaneamente a tre quarti rispetto al personaggio. Piccole cose, che non distolgono comunque l’attenzione dall’anima da picchiaduro vera e propria, fatta di pugni, calci, combo e juggle come se piovesse.

A tal proposito, da estremo profano del genere vi segnalo di aver percepito una semplificazione delle dinamiche di gioco, come se in Bandai Namco avessero voluto limare parte dei tecnicismi per strizzare così l’occhio a chi ha meno dimestichezza coi picchiaduro come il sottoscritto. La sensazione è che chi è capace potrà certamente andare in profondità nello studio dei diversi moveset (purtroppo, l’unico che conosco come le mie tasche è quello di Xiaoyu, la quale non ha tuttavia fatto capolino a schermo), ma anche che chi è un po’ un legno come il me avrà modo di lasciarsi comunque trasportare. Questo – badate bene – non significa che Tekken 7 si sia trasformato nella fiera del button mashing, ma solo che sono personalmente riuscito a fare le cose con maggior facilità rispetto al passato, nonostante la CPU si sia dimostrata impegnativa anche a livello normale; il merito va ascritto anche (ma non solo) all’introduzione delle Rage Art, mosse potentissime ed effettuabili con la semplice pressione di un tasto solo una volta accumulato il giusto livello di rabbia. Insomma… mi è venuta voglia di metterci su le mani per davvero (magari su PC), il che – detto da uno che guarda i picchiaduro un po’ di traverso – è il miglior complimento che Tekken 7 possa incassare al momento.

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