Dopo gli eventi in Germania, narrati in Captain America: Civil War, Peter Parker torna nel suo quartiere, attendendo una nuova missione da Tony Stark, così da poter entrare ufficialmente nel team degli Avengers. Purtroppo per lui, passerà le sue giornate a salvare gattini sugli alberi o a sventare furti di biciclette. La grande occasione si presenta allorché Adrian Toomes – che ai tempi dell’invasione dei Chitauri rubò materiale alieno – decide di costruire un esoscheletro volante per rapinare i depositi Stark e procurarsi così altro materiale al fine di creare armi da rivendere al mercato nero.
la morte dello zio Ben, elemento cardine del percorso di crescita dell’eroe, è assente in Homecoming
Cerco di spiegarmi meglio con un esempio preso dalla concorrenza: Bruce Wayne diviene Batman esattamente nell’attimo in cui vede assassinare i propri genitori. I momenti, i giorni e gli anni successivi serviranno al giovane per maturare e giungere alla catarsi, superando quel momento che ha cambiato la sua vita per sempre e che lo porterà in seguito ad arricchire il proprio percorso di maturazione indossando la maschera. Come ben sappiamo, Peter Parker ottiene i poteri dal famoso ragno geneticamente modificato, mentre il punto fondamentale del suo percorso di crescita è rappresentato dalla morte dello zio Ben. Questo elemento nel film è assente: alla figura dello zio si sostituisce un surrogato paterno nella persona di Tony Stark. Viene dunque a mancare il momento in cui Peter perde tutto (ma trova se stesso), il pathos della scena madre dove il giovane Parker diviene – veramente – Spider-Man e lo spettatore può gioire della nascita dell’eroe. Il percorso, qui, è quasi contrario: Peter si impegna, si sbraccia per farsi vedere solo per il gusto egocentrico di voler entrare a far parte degli Avengers e ciò, nel contesto dell’opera, stona parecchio. Spider-Man è sempre stato l’eroe della porta accanto (“your friendly neighborhood”): nerd, sfigato, ultimo dei romantici, ma con la bussola della giustizia puntata nel verso opportuno. La corsa – quasi da talent show – nel voler fare immediatamente il salto più lungo della gamba e ambire al palco mondiale non è da Spider-Man. Le cose peggiorano decisamente quando entra in scena il personaggio di Tony Stark, che vive il suo minutaggio tra frasi fatte e iperboli da quattro soldi. Assolutamente non giustificata la sua presenza nella pellicola.
Avvoltoio riesce a intavolare con il giovane Parker diverse schermaglie, più verbali che fisiche
Due pesi e due misure, dunque, per la costruzione dei personaggi di Spidey e dell’Avvoltoio, ma nonostante la carenza di background del primo, la nemesi riesce a intavolare con il giovane Parker diverse schermaglie, più verbali che fisiche; qualcosa che avevamo già visto e sentito nello Spider-Man di Raimi con il Goblin che cercava di portare Spider-Man dalla sua parte. Lo stratagemma funziona bene anche qui.
Al quadro si aggiungono anche il villain Shocker, mal utilizzato, e il Queens, quartiere che ci fa rimpiangere le carrellate tra i palazzi di New York. Spider-Man: Homecoming è comunque inserito in un giusto percorso di crescita che, sorvolando sugli aspetti meno riusciti, potrebbe regalare una parentesi piacevole al cinema. Sempre tenendo presente il grande difetto, che – almeno personalmente – non sono riuscito a ignorare: questo Peter Parker non è il “vero” Spider-Man.
VOTO 7.5
Genere: azione, supereroi
Publisher: Warner Bros. Italia
Regia: Jon Watts
Colonna Sonora: Michael Giacchino
Intepreti: Tom Holland, Michael Keaton, Marisa Tomei, Robert Downey Jr., Jon Favreau, Zendaya
Durata: 133 minuti