Spider-Man: Homecoming - Recensione

Spider-Man: Homecoming è una di quelle pellicole in grado di irritare… fino all’ultimo capello! Dopo oltre due ore, si scopre di aver assistito a un film che funziona alla grande, dosato più che bene nei tempi e nelle dinamiche, ma non si può non notare come porti sulla schiena un macigno grosso quanto una casa e che schiaccia ciò che si è appena visto.

Dopo gli eventi in Germania, narrati in Captain America: Civil War, Peter Parker torna nel suo quartiere, attendendo una nuova missione da Tony Stark, così da poter entrare ufficialmente nel team degli Avengers. Purtroppo per lui, passerà le sue giornate a salvare gattini sugli alberi o a sventare furti di biciclette. La grande occasione si presenta allorché Adrian Toomes – che ai tempi dell’invasione dei Chitauri rubò materiale alieno – decide di costruire un esoscheletro volante per rapinare i depositi Stark e procurarsi così altro materiale al fine di creare armi da rivendere al mercato nero.

Spider-Man Homecoming immagine Cinema 04

la morte dello zio Ben, elemento cardine del percorso di crescita dell’eroe, è assente in Homecoming

Spider-Man: Homecoming restituisce dignità a un personaggio che negli ultimi anni non ha avuto molta fortuna al cinema (come peraltro vi ho raccontato qui). I timori iniziali legati a un Peter Parker quindicenne e quindi relativi al racconto prettamente teen vengono meno, perché la sfera scolastica è sì presente in più occasioni, ma puntualmente ben diluita nella trama, anche se ogni tanto esonda dal contesto. Tutti gli elementi fanno da sfondo ad un tema molto più importante: la crescita e la consapevolezza non tanto dei propri poteri, quanto di voler seguire alcune tappe fondamentali per proclamarsi – e farsi proclamare – eroe. Qui cominciano i problemi e il film mostra alcune pecche decisamente gravi, soprattutto perché non legate al tema supereroistico, quanto al percorso di maturazione interiore. È qui che emerge un aspetto disarmante: Spider-Man non è Spider-Man.

Cerco di spiegarmi meglio con un esempio preso dalla concorrenza: Bruce Wayne diviene Batman esattamente nell’attimo in cui vede assassinare i propri genitori. I momenti, i giorni e gli anni successivi serviranno al giovane per maturare e giungere alla catarsi, superando quel momento che ha cambiato la sua vita per sempre e che lo porterà in seguito ad arricchire il proprio percorso di maturazione indossando la maschera. Come ben sappiamo, Peter Parker ottiene i poteri dal famoso ragno geneticamente modificato, mentre il punto fondamentale del suo percorso di crescita è rappresentato dalla morte dello zio Ben. Questo elemento nel film è assente: alla figura dello zio si sostituisce un surrogato paterno nella persona di Tony Stark. Viene dunque a mancare il momento in cui Peter perde tutto (ma trova se stesso), il pathos della scena madre dove il giovane Parker diviene – veramente – Spider-Man e lo spettatore può gioire della nascita dell’eroe. Il percorso, qui, è quasi contrario: Peter si impegna, si sbraccia per farsi vedere solo per il gusto egocentrico di voler entrare a far parte degli Avengers e ciò, nel contesto dell’opera, stona parecchio. Spider-Man è sempre stato l’eroe della porta accanto (“your friendly neighborhood”): nerd, sfigato, ultimo dei romantici, ma con la bussola della giustizia puntata nel verso opportuno. La corsa – quasi da talent show – nel voler fare immediatamente il salto più lungo della gamba e ambire al palco mondiale non è da Spider-Man. Le cose peggiorano decisamente quando entra in scena il personaggio di Tony Stark, che vive il suo minutaggio tra frasi fatte e iperboli da quattro soldi. Assolutamente non giustificata la sua presenza nella pellicola.

Spider-Man Homecoming immagine Cinema 03

Avvoltoio riesce a intavolare con il giovane Parker diverse schermaglie, più verbali che fisiche

Nota di merito, invece, va all’Avvoltoio interpretato da Michael Keaton. Sappiamo quanto gli sceneggiatori Marvel fatichino a inquadrare nemici di un certo spessore, eppure dai calcinacci e dalla polvere di una battaglia tra mondi ne esce un borghese piccolo piccolo che – proprio parafrasando il capolavoro di Monicelli con Sordi – userà le sue armi per portare avanti una rivolta contro quelli che considera i padroni. Il tema è forse bigotto e fin troppo scimmiottato, ma il personaggio ne esce vittorioso; quasi si tende a fare il tifo per lui che, diviso tra casa e famiglia, oscilla perennemente tra bene e male. La sua sconfitta professionale è un mantra: in una società che cambia gli equilibri si capovolgono e forse gli ultimi possono davvero essere i primi.

Due pesi e due misure, dunque, per la costruzione dei personaggi di Spidey e dell’Avvoltoio, ma nonostante la carenza di background del primo, la nemesi riesce a intavolare con il giovane Parker diverse schermaglie, più verbali che fisiche; qualcosa che avevamo già visto e sentito nello Spider-Man di Raimi con il Goblin che cercava di portare Spider-Man dalla sua parte. Lo stratagemma funziona bene anche qui.

Al quadro si aggiungono anche il villain Shocker, mal utilizzato, e il Queens, quartiere che ci fa rimpiangere le carrellate tra i palazzi di New York. Spider-Man: Homecoming è comunque inserito in un giusto percorso di crescita che, sorvolando sugli aspetti meno riusciti, potrebbe regalare una parentesi piacevole al cinema. Sempre tenendo presente il grande difetto, che – almeno personalmente – non sono riuscito a ignorare: questo Peter Parker non è il “vero” Spider-Man.

VOTO 7.5

Spider-Man Homecoming immagine Cinema locandinaGenere: azione, supereroi
Publisher: Warner Bros. Italia
Regia: Jon Watts
Colonna Sonora: Michael Giacchino
Intepreti: Tom Holland, Michael Keaton, Marisa Tomei, Robert Downey Jr., Jon Favreau, Zendaya
Durata: 133 minuti

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