Arco – Recensione

PC Switch

Quando non rimarrà altro che sabbia e catrame, non ci sarà più aria da respirare. Questo recita la riuscitissima title track di Arco, e noi non vogliamo che accada, vero?

Sviluppatore / Publisher: Franek, Max Cahill, Bibiki, Fáyer / Panic  Prezzo: 17.99 euro Localizzazione: Assente Multiplayer: Assente PEGI: Non disponibile Disponibile su: PC (Steam, Epic), Nintendo Switch, Mac App Store Data d’uscita: Già disponibile

Per motivi incomprensibili, i lama sono tra gli animali più utilizzati nei videogame senza che la loro presenza sia in alcun modo giustificata dal contesto. Da Llamatron di Jeff Minter al Supply Lama di Fortnite, i simpatici camelidi hanno sempre allietato le nostre run, diventando un po’ come il colore nero nell’abbigliamento, che si dice stia bene con tutto. In un gioco ambientato nella Mesoamerica coloniale, però, calzerebbero a pennello: non solo ci troveremmo nel loro habitat, ma avrebbero anche un ruolo attivo dato che le popolazioni autoctone li utilizzavano per il trasporto o la soma.

Accogliamo dunque con piacere Arco, RPG con combattimenti a turni simultanei che ci accompagna lungo una trilogia basata sulla vendetta, in cui i protagonisti sono vittime e carnefici allo stesso tempo, in perenne lotta con i fantasmi del proprio passato. Nonostante siano storie completamente diverse, potrebbe in qualche modo ricordare la Vengeance Trilogy del regista sudcoreano Park Chan-wook, che conoscerete sicuramente per Old Boy, il secondo e più famoso capitolo della serie. La genesi di questo lavoro tocca letteralmente i quattro angoli del globo in quanto vi han preso parte il pixel artist polacco Franek Nowotniak, il musicista spagnolo José Ramón García, lo sviluppatore australiano Max Cahill e il messicano Antonio Uribe, già direttore di Hyperbeard, la più importante realtà di mobile game development in patria.

LA VENDETTA È UN PIATTO CHE SI SERVE CON I FRIJOLES

Arco ci mette nei panni di Tizo, membro di una tribù nomade che si trova suo malgrado a convivere con i cosiddetti “nuovi arrivati”, gli europei che finiranno per colonizzare i territori. La storia è vista con gli occhi del nativi, che conducono la propria esistenza seguendo le tradizioni e cercando al contempo di evitare contatti con gli invasori. I riferimenti alla cultura dei nativi mesoamericani sono ovunque, dalla religione alla cucina, e proprio nei primi minuti assistiamo sia alla preparazione del tamal, piatto tipico tutt’ora presente in tutta l’America latina, che all’organizzazione di una processione per portare doni a un sacro altare.

Guardate come prosperavano gli autoctoni prima dell’arrivo degli europei.

L’espansionismo della società straniera Red Company però non conosce limiti e non guarda in faccia nessuno, e presto un’imprudenza di Tizo causerà lo sterminio della propria gente. Conclusa questa prima fase, che funge anche da tutorial, ritroviamo il nostro protagonista qualche anno dopo, indurito dal dolore e consumato dal rimorso, in cerca di ricordi ripercorrendo i luoghi che furono teatro della sua gioventù. Nemmeno il tempo di ambientarsi nel villaggio che lo accoglie, che questo viene bruciato con tutti i suoi nuovi amici all’interno, destinati a morire arsi vivi.

Il sistema a combattimento ibrido a turni ci mostra i prossimi movimenti degli avversari, così da organizzare la strategia. Poi, tutti agiranno allo stesso tempo

A questo punto, comprensibilmente, a Tizo iniziano a girare un pochino. Seguirà un crescendo di eventi non sempre scontati, in quanto il colpevole va ricercato con cautela; possibile che la Red Company, per quanto forte, possa agire così impunemente? Non sarà stata aiutata da qualche tribù compiacente? In cambio di cosa? La sezione investigativa è un misto tra RPG e adventure in un continuo girovagare in groppa al nostro lama conversando con gli autoctoni, aiutandoli in semplici side quest e raccogliendo indizi lungo varie ambientazioni splendidamente disegnate raffiguranti sterminate praterie, piccoli insediamenti umani, pericolose grotte e maestosi templi. Un magnifico viaggio in un’America Centrale che oggi non esiste più. Fauna selvaggia e coloni senza scrupoli però sono tutt’altro che amichevoli, dunque la maggior parte delle interazioni prevede spargimenti di sangue. E qui si entra nel vivo del gioco.

SI CHIAMA ARCO PERCHÉ SI USA L’ARCO

Gli scontri con gli uomini della Red Company sono impari, dato che loro dispongono di revolver, fucili e dinamite, mentre noi siam dotati solo di arco e frecce; dobbiamo dunque sopperire all’inferiorità numerica e bellica con una buona dose di strategia. Arco propone un combattimento a turni ibrido, in cui mentre il gioco è in pausa si ha una panoramica delle prossime azioni nemiche consentendo di pianificare la proprie.

L’albero delle skill necessita di un continuo e poco pratico scrolling.

Dopodiché tutti si muovono contemporaneamente per poi fermarsi nuovamente dando inizio al turno successivo. Se un pistolero sta per spararci, è inutile tentare di piantargli una freccia nel petto, dato che i suoi proiettili sono molto più veloci; meglio tentare un dash per schivare i colpi o, se siamo a distanza ravvicinata, accoltellarlo. Ogni abilità ha il suo tempo di reazione e i combattimenti sono un continuo balletto tra giochi d’anticipo e ricerca di copertura. Guadagnando esperienza si possono sbloccare varie skill che pian piano trasformeranno Tizo in un Legolas, ma occorre prestare attenzione alla magia – così viene chiamata la barra che ci permette di effettuare attacchi speciali, fate finta che sia la stamina – per non trovarsi esausti sul più bello.

Arco è pieno di riferimenti ai nativi mesoamericani nel periodo a cavallo tra IXX e XX secolo. Una lezione di storia e un viaggio verso terre che non esistono più

La presenza di alleati per formare un party in cui ciascun membro dispone di abilità e albero delle skill esclusive, unita alla varietà di situazioni da affrontare, rende la sezione dei combattimenti estremamente avvincente, e la morte non porta conseguenza alcuna se non la ripetizione dello scontro in cui abbiamo avuto la peggio o, se non ci sentiamo pronti, la fuga per tornare in un secondo momento.

COME IN BUBBLE BOBBLE!

La vendetta ha sempre un prezzo, e Tizo è un uomo tormentato dai fantasmi del suo passato, i quali diventano sempre più forti man mano che deve togliere vite, iniziando presto a tormentarlo in battaglia. Simili a Baron von Blubba, questi non conoscono ostacoli e soprattutto non rispettano le pause tra un turno e l’altro, muovendosi costantemente verso di noi costringendoci a ragionare velocemente per non perdere preziosi punti vita.

Ok, io prendo quelli a sinistra, tu quelli a destra.

Proseguendo, si capisce che Tizo è solo un Django che avrebbe preferito esser lasciato in pace. Arco è un gioco magnifico e ottimamente confezionato, con una cura maniacale per i dettagli, capace anche di illustrarci, strada facendo, vari aspetti della cultura e del folklore degli indigeni mesoamericani nel periodo in cui il mondo si stava per affacciare al ventesimo secolo. Una piccola curiosità: in un mondo in cui Unity domina l’indie game development, gli sviluppatori hanno scelto Löve, framework gratuito e open source. Sono sicuro che Tizo avrebbe approvato.

In Breve: Arco è il tipo di videogioco a cui calza a pennello la definizione “hidden gem”. La storia è interessante e sapientemente raccontata, con numerosi riferimenti alla cultura dei nativi mesoamericani. La minuscola grafica è ricca di punti di interesse da scoprire lungo una mappa piuttosto ampia che presenta minacce in ogni angolo. I combattimenti, vero fulcro del gioco, sono gestiti con una modalità a turni ibrida che obbliga a ragionare per ribaltare la situazione inizialmente sempre a nostro sfavore, e la presenza dei fantasmi del passato – veri e propri nemici da uccidere – richiedono rapidità nel prendere decisioni. Chi ama gli RPG a turni si divertirà molto.

Piattaforma di Prova: PC
Configurazione di Prova: AMD Ryzen 9 6900HS, 16GB RAM, GeForce RTX 3080, SSD
Com’è, Come Gira: I minuscoli sprite non dovrebbero impensierire nemmeno i sistemi meno moderni, ma va segnalata una UI un po’ caotica, con alcune finestre che non legano benissimo con lo stile grafico del gioco.

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Pro

  • Combattimenti ibridi ben realizzati / Storia ricca di riferimenti agli autoctoni mesoamericani / Pixel art ottimamente disegnata

Contro

  • UI migliorabile / Finirete per usare le stesse quattro o cinque abilità (come in tutti gli altri giochi del genere)
8.8

Più che buono

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